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Il Teatro Scientifico/Teatro Laboratorio di Verona è una struttura stabile di produzione teatrale riconosciuta dal Ministero della Cultura attiva dal 1968. Il suo pane quotidiano è la drammaturgia contemporanea, il teatro civile, il teatro sociale. Suo fiore all’occhiello è il festival “Non c’è differenza” dedicato alla cultura dell’inclusione e all’abbattimento delle barriere fisiche e mentali. Ha una sezione di studio e ricerca antropologica sulla Commedia dell’Arte. “Da cinquantasette anni siamo un presidio culturale del territorio, che non opera solo nella città di Verona, ma anche in luoghi svantaggiati della provincia, in piccoli comuni e piccoli centri oltre che sul territorio nazionale, che costruisce comunità, spazio aggregativo e inclusivo che accoglie e forma raccontando attraverso il teatro le complessità del presente, cercando sempre di stimolare il pensiero e la riflessione in rapporto costante con la comunità – ci racconta la direttrice Isabella Caserta – portando avanti anche progetti dedicati alle fasce fragili della popolazione e sul femminile”.
Il Teatro Laboratorio nasce nel ’67 per volontà di Ezio Maria Caserta e di Jana Balkan. La sua prima sede, fino al ’75, è uno spazio periferico, dove il gruppo affianca all’attività di produzione quella di ospitalità. Lì arrivano le più importanti compagnie d’avanguardia italiane e straniere: “Nel ’75 la compagnia ristruttura la stazione di partenza dell’ex funicolare di Santo Stefano che era diventata discarica di immondizie del quartiere e la trasforma in un teatro. Da noi in quegli anni si sono esibiti Salvatores, Benigni, Paolo Poli, Elio De Capitani, Odin Theatre, Living Theatre, Grotowski, Carmelo Bene, Pippo Delbono oltre che concerti con nomi illustri come Gianna Nannini, Paolo Conte, al suo debutto, Francesco Guccini, Leo Ferrè, Gino Paoli. Nel ’77 subiamo un attentato doloso che brucia il nostro teatro. Nel frattempo la compagnia nel ’75 viene invitata da Ronconi alla Biennale di Venezia e cominciano le tournée estere: Colonia, Parigi, Berlino, Praga, Mosca, Atene, Marsiglia, Copenaghen, Città del Messico, New York, Montevideo, Vienna, Avignone, Valencia”. Nonostante i grandi lavori di agibilità che il Teatro Scientifico aveva sostenuto per adeguare lo spazio, il Comune di Verona decide di ripristinare la funicolare sfrattando di fatto il gruppo teatrale che nel 2010 trova un altro spazio nell’ex arsenale rimettendolo a nuovo e a norma. Ma anche da qui, nel 2021, vengono allontanati: “Dopo aver ristrutturato per tre volte beni pubblici diroccati trasformandoli in teatri, ci siamo rivolti verso un progetto privato sostenendo la riqualificazione di un ex stamperia in riva all’Adige che è stata inaugurata nel 2023”.
Abbiamo incontrato la direttrice artistica Isabella Caserta. Lei ci tiene a specificare, con giusto orgoglio, che “è nata” sulle tavole del palcoscenico.
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Ci può raccontare il suo rapporto con il teatro e con la recitazione?
“Il Teatro Scientifico/Teatro Laboratorio è stato fondato dai miei genitori prima della mia nascita e mi sono trovata catapultata sul palco da neonata, il mio rapporto col teatro è cominciato così. Erano anni in cui c’era un grandissimo fervore, c’erano meno regole rispetto ad oggi, in tournée capitava anche di dormire tutti insieme nei teatri, cosa che adesso sarebbe impensabile, erano anni di grandi sperimentazioni e ho avuto la fortuna di passare un’infanzia girovagando per il mondo al seguito dei miei su un bus Volkswagen che a volte è stato il nostro letto, accanto a personaggi del calibro di Grotowski e Julian Beck. Dopo il liceo classico volevo vedere anche l’altro lato della medaglia, quello del teatro “più tradizionale” e ho fatto il provino in una delle accademie più antiche d’Europa che è quella dei Filodrammatici di Milano (attiva dal 1796, ndr) mentre d’estate frequentavo i corsi che Giorgio Albertazzi teneva al Festival di Tagliacozzo in Abruzzo. Al saggio di diploma erano presenti degli osservatori che mi hanno chiesto di fare un provino al Piccolo Teatro di Milano per la nuova produzione che stava partendo, una coproduzione con lo Stabile di Catania, provino che vinsi. Da lì sono iniziati anni in cui ho lavorato come attrice scritturata con le grandi compagnie di giro, l’INDA di Siracusa, a fianco di grandi nomi del teatro, fino a quando mio padre è stato investito e purtroppo è scomparso. A quel punto ho scelto di tornare a Verona per affiancare mia madre e proseguire quel progetto che è il Teatro Scientifico/Teatro Laboratorio, che ho poi sviluppato anche in una mia visione. Di questa scelta non mi sono mai pentita perché mi consente di portare avanti progetti e valori nei quali credo fortemente”.
Quali sono stati gli spettacoli che sente più suoi, quelli che ricorda maggiormente, quelli che l’hanno formata, cambiata, stravolta, quelli che ci ha lasciato un pezzo di cuore?
“Tra gli spettacoli che ho visto quello che mi ha incantata, che ricordo ancora, quello che considero lo spettacolo è stato Le Troiane del Cafè La Mama di New York (con cui poi da adulta ho lavorato a Milano) alla Biennale di Venezia, avrò avuto cinque anni, quello è uno spettacolo per me indimenticabile. Tra quelli che ho fatto ce n’è più d’uno, alcuni anche per ragioni personali. Per citarne uno tra i più recenti sicuramente La Bambola e La Putana il dittico che ci ha donato lo psichiatra Vittorino Andreoli, perché non edulcora la realtà, non nasconde la polvere sotto il tappeto, te la sbatte in faccia in tutta la sua crudezza e ti costringe a riflettere, a guardare cose che magari si preferirebbe evitare di vedere e ti mostra non una realtà lontana ma fatti che accadono dentro e fuori dalla porta di casa, toglie il velo del perbenismo ipocrita dietro il quale spesso ci si nasconde, per cercare di capire il disagio, la malattia, la realtà. E poi Orgia di Pasolini che lui stesso definì il dramma della disperata lotta di chi è diverso contro la normalità che respinge ai margini. Entrambi gli spettacoli sono miei e del collega Francesco Laruffa”.
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Cos’è per Lei il teatro? Qual è la sua funzione oggi e se questa è cambiata nel corso degli anni?
“Penso che il teatro sia il mezzo che abbiamo a disposizione per parlare di certi argomenti, una tribuna aperta sul mondo. Spesso si sente dire che morirà, invece non muore mai, perché lo spettacolo dal vivo è qualcosa dove tutto accade in diretta, il qui e ora, è l’interscambio tra umani, è la relazione nell’immediato, è come la vita, ti avviene davanti mentre guardi. In un’epoca come questa in cui si è sempre connessi virtualmente, ma di fatto soli, il teatro mantiene le relazioni tra le persone, in presenza, vivi tra i vivi, raccontando delle storie che siano lievi o drammatiche, antiche o moderne, contemporanee o di tradizione, ma sempre intersecando emozioni”.
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Come vede il panorama veneto teatrale e come ha visto cambiare quello nazionale in questi cinquant’anni?
“Vivido, vivace, ricco di sfaccettature, il Veneto che ha dato i natali alla Commedia dell’arte, ha una molteplicità di espressioni artistiche che vanno dalla tradizione al contemporaneo, mi pare che, pur nell’iperproduzione, che caratterizza questi anni non solo in Veneto, ma su tutto il territorio nazionale ci sia un maggior professionismo e una maggior consapevolezza rispetto al passato, ma è cresciuta molto anche la burocratizzazione, spero che questo non tarpi le ali e non tolga linfa vitale, penso però che gli artisti che hanno qualcosa da dire, oggi come ieri, trovino comunque sempre il modo di dirlo”.
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Dove sta andando e quale direzione sta prendendo il Teatro Scientifico?
“Credo nella funzione civile e sociale del teatro e in questa direzione lavoro, mettendo il focus su tematiche che mi stanno a cuore. Per esempio recentemente mi è capitato di assistere ad una violenta discussione tra adulti allora mi sono chiesta che cosa potevo fare per provare a spostare la sensibilità sul reciproco rispetto e così è nato Cuor di Smeraldo il nostro spettacolo per i più piccoli. E la stessa cosa vale per il festival Non c’è differenza che ho ideato nel 2014 dopo un fatto molto grave di intolleranza successo a Verona ed è dedicato all’altro da sé per una cultura del rispetto perché, citando Camilleri: Non bisogna mai aver paura dell’altro perché tu, rispetto all’altro, sei l’altro e per i vari progetti legati alla violenza sulle donne, il femminile, le fasce fragili. Un teatro che porti riflessioni, dove attraverso gli spettacoli poter valutare anche punti di vista diversi dai propri, aprire visioni altre. Vorrei che il Teatro Scientifico/Teatro Laboratorio continuasse a mantenere la sua indipendenza, la sua onestà di pensiero, la sua coerenza, aldilà delle mode del momento anche se a volte questo vuol dire andare in direzione ostinata e contraria, ma libera”.
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Cosa cerca adesso nel teatro?
“Cerco purezza, cerco verità, cerco poesia, cerco ironia per avere l’occhio dell’incanto e l’occhio del disincanto e cerco contaminazioni. Cerco di portare avanti solo progetti nei quali credo e mi riconosco, sia nelle nostre produzioni, sia come collaborazioni”.
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Ultima domanda: quale spettacolo/sogno nel cassetto vorrebbe mettere in scena nei prossimi anni?
“Certamente mi piacerebbe prima o poi riuscire a mettere in scena un Don Chisciotte”.
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