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Quando si esce da uno spettacolo come La grande magia diretto da Gabriele Russo (a noi è capitato domenica 1 dicembre al Teatro Masini di Faenza), due domande risuonano nella mente:
Cosa è vero?
Cosa è falso?
Questo duplice interrogativo non è solo al cuore del testo di Eduardo De Filippo, ma anche del modo in cui Russo lo reinterpreta, in un meccanismo teatrale a orologeria che dialoga con Luigi Pirandello, David Lynch e perfino il surrealismo di René Magritte.
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TIEPIDA ACCOGLIENZA, NEL ‘48
Quando Eduardo scrisse e mise in scena La grande magia per la prima volta, nel 1948, il pubblico rimase spiazzato.
In un’Italia che cercava ancora di riprendersi dalla guerra, lo spettacolo, con la sua atmosfera onirica e filosofica, sembrò quasi troppo distante dai drammi quotidiani a cui Eduardo aveva abituato gli spettatori.
La commedia non fu un grande successo immediato: troppe metafore, troppi livelli di lettura.
Solo con il tempo si è riconosciuta la sua potenza, non solo come riflessione sulla verità e sull’illusione, ma anche come specchio della modernità.
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UN FILO (IN)VISIBILE
C’è un filo (in)visibile che lega Eduardo De Filippo, Luigi Pirandello e David Lynch, e Gabriele Russo lo rende tangibile nella sua messa in scena.
A prima vista sembrano mondi lontani: Eduardo, figlio del teatro popolare napoletano; Pirandello, esploratore della crisi dell’identità e della realtà; Lynch, regista di sogni e incubi.
Eppure, in questo spettacolo, universi lontani convergono in un modo sorprendentemente naturale.
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EDUARDO E PIRANDELLO: LA VERITÀ COME ILLUSIONE
Il tema centrale de La grande magia, cioè il confine labile tra vero e falso, sembra quasi un omaggio al maestro siciliano.
Pirandello, con opere come Così è (se vi pare) o Sei personaggi in cerca d’autore, aveva già scardinato le certezze del pubblico: la realtà non è mai oggettiva, ma sempre una costruzione, un’interpretazione.
Eduardo, però, aggiunge un tocco tutto suo: mentre Pirandello gioca con la mente e con le strutture teatrali, Eduardo ci mette il cuore.
La crisi di Calogero, che costruisce un mondo fittizio per sopravvivere alla propria mediocrità, non è solo un esperimento filosofico, ma un dramma profondamente umano.
La Figura interpretata da Natalino Balasso, come molti personaggi del grande autore siciliano, vive intrappolata nella maschera che si è costruita.
Diventa una sorta di demiurgo di un universo alternativo, proprio come Pirandello immaginava che il teatro fosse uno specchio deformante della vita.
Eduardo ci ricorda che, a volte, scegliere l’illusione è più sopportabile che affrontare la crudezza della verità.
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E LYNCH? PERCHÉ LYNCH?
È qui che la regia di Russo fa un passo in più.
David Lynch non c’entra, a prima vista, con Eduardo o Pirandello.
Ma se si pensa a film come Mulholland Drive o Twin Peaks, si intuisce che Lynch lavora sugli stessi temi: cos’è reale? E cos’è un sogno? Nei suoi mondi, le regole della logica si piegano, si spezzano, e i personaggi si perdono in labirinti mentali.
In La grande magia, la scenografia di Roberto Crea sembra uscita dal set di un film di Lynch: ambienti sospesi, luci e ombre che suggeriscono più di quanto mostrino.
Lo spettatore è costantemente messo alla prova, trascinato in una realtà dove tutto può essere posto in discussione.
Il mondo di Eduardo è agito in un’atmosfera straniante, quasi onirica.
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LE GABBIE DI MAGRITTE E LE STANZE DI SKOGLUND
Lo spazio del dramma, con le sue geometrie rigorose e surreali, evoca tanto le incubotiche installazioni fotografate da Sandy Skoglund quanto le gabbie dipinte da René Magritte: imprigionano uccelli e idee, esseri umani e slanci vitali in uno spazio apparentemente aperto.
Anche i personaggi di La grande magia vivono in gabbie mentali: il marito che si rifiuta di accettare la verità sull’infedeltà della moglie, l’illusionista che si nasconde dietro i suoi trucchi, il pubblico che vuole disperatamente credere in qualcosa, anche quando sa che è falso.
I personaggi si muovono (o, spesso, semplicemente stanno) in uno spazio e tempo che somiglia a una grande scatola magica, dove ogni coperchio aperto rivela una nuova sorpresa.
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UNA QUESTIONE DI PERCEZIONE
Un altro elemento che unisce Eduardo, Pirandello e Lynch è l’idea della magia, non tanto nel senso di illusionismo, piuttosto come possibilità di vedere il mondo attraverso una lente diversa.
Pirandello lo fa con la parola e con la struttura narrativa, Lynch con il cinema e il potere dell’immagine, Eduardo con il teatro e la forza del linguaggio teatrale.
Eduardo, Pirandello e Lynch trattano con strumenti diversi un medesimo tema universale: la percezione.
La realtà non è mai oggettiva, è sempre mediata dai nostri sensi, dalla nostra intelligenza e cultura, dalle nostre esperienze e dai nostri traumi.
Così come Lynch ci fa dubitare di cosa sia vero nei suoi film, così come Pirandello ci mostra che la verità è un compromesso, anche Eduardo ci lascia con un dubbio.
Ma è un dubbio che, se accettato, diventa una forma di libertà.
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LA LINGUA NAPOLETANA: TRA POESIA E INCANTESIMO
Ne La grande magia, Eduardo usa il napoletano non solo come lingua, ma come strumento letteralmente magico, nel senso di trasformante.
Nel suo ritmo musicale e nelle sue sfumature, il dialetto diventa un modo per ingannare e ammaliare, per costruire e distruggere illusioni.
Il napoletano non è solo comunicazione: è incantesimo.
La scelta di mantenere questa lingua nella messa in scena di Russo è cruciale, perché rende palpabile la distanza tra realtà e finzione.
Le parole in napoletano sembrano a volte vere, finanche materiche, a volte false, fatte d’aria, quasi fossero un gioco di prestigio linguistico.
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AI MARGINI DELLA REALTÀ
Michele Di Mauro brilla in una performance che richiama la figura di Babilano il buono, venditore di miracoli, protagonista del folgorante racconto di Gabriel García Márquez (del 1968, parte di una piccola quanto preziosa raccolta, La incredibile e triste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata).
Come Babilano, anche il personaggio di Di Mauro è un uomo che vive ai margini della realtà, un visionario che preferisce un mondo immaginario a una vita troppo cruda.
Con Natalino Balasso, che con il suo stile inconfondibile -ilare e al contempo malinconico- dà corpo a una comicità amara e pungente, creano un perfetto contraltare al resto del nutrito cast.
Le attrici e gli attori non interpretano solo personaggi, ma incarnano concetti: la credulità, il dubbio, la disillusione.
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SOGNO O REALTÀ?
Le domande che Eduardo poneva – Cosa è vero? Cosa è falso? – trovano nuove risposte grazie a una regia moderna, stracolma di ritmo, figlia di grande sapienza artigiana (a gennaio 2024 il Teatro Masini ospitò il folgorante allestimento di Gabriele Russo di un cult della nuova drammaturgia napoletana, Le cinque rose di Jennifer di Annibale Ruccello).
Per concludere e sintetizzare: La grande magia invita a interrogarsi sulla natura della verità e sull’importanza delle illusioni, nel mondo e in quella sua stramba traduzione che da oltre due millenni chiamiamo teatro.
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