La poesia della vita secondo Slava’s Snowshow

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foto di Andrea Lopez

Nell’immaginario occidentale il Natale è spesso avvolto nel soffice manto bianco della neve, che infonde un senso di calore e di pace nonostante il suo freddo tocco. Il fascino generato da un mondo che cambia colore, dove i suoni si fanno ovattati e l’aria pungente, sembra avere il potere di trasportarci in un altrove, quasi fosse un universo sospeso tra sogni e ricordi. 

È proprio la neve la protagonista di uno degli spettacoli considerati fra i migliori del teatro degli ultimi anni, Slava’s Snowshow dell’artista russo Slava Polunin, che torna in scena al Teatro Duse di Bologna dal 31 dicembre 2024 al 5 gennaio 2025.
La pièce ha debuttato a Mosca nell’ottobre del 1993 e da allora ha viaggiato per tutto il mondo, ottenendo importanti riconoscimenti a livello internazionale e conquistando un pubblico di tutte le età e culture grazie alla combinazione di poesia visiva, emozioni universali, numeri circensi e arte clownesca.

La magia della neve

La neve è dunque il filo conduttore di uno spettacolo privo di una narrazione lineare e della parola: esso si sviluppa paratatticamente, per azioni fisiche e apparati visivi, in un susseguirsi di scene fra l’onirico, l’assurdo e l’extra-ordinario, capaci di coinvolgere adulti e bambini soprattutto sul piano emotivo. Sebbene l’assenza di parola e l’affidarsi alla sola azione scenica possa apparire una modalità di comunicazione complessa, in verità è proprio ciò che rende Slava’s Snowshow accessibile a un pubblico di diverse età e culture: la comprensione avviene infatti su un livello più intuitivo, irrazionale, “di pancia”, e perciò più immediato ed inclusivo. A far da complici in tal senso sono anche i temi universalmente umani trattati: si parla di gioia e di tristezza, di solitudine e di relazioni, di ricordi e di nostalgia.

La neve in scena non rappresenta dunque soltanto il fenomeno atmosferico e la sua magia, ma si fa metafora della fragilità e della trasformazione, rimandando a «una fantastica bellezza e pulizia – afferma Polunin – ma anche al terrore, perché la neve rappresenta il freddo, che è parte della morte». L’ambiente scenico è perciò di per sé significante e duale e accoglie una narrazione a sua volta duplice, tra la commedia e il dramma, riso e amarezza, tutte ambiguità proprie della vita.

foto di Veronique Vial

Tra poesia e sorpresa

Slava’s Snowshow coinvolge non soltanto per l’universalità dei temi, ma anche per l’incanto e la sorpresa che riesce a suscitare attraverso effetti scenici, musica, azione fisica e coreografica, oggetti e colori. Fin da subito gli spettatori vengono trasportati in un ambiente rarefatto, proprio come quello dei sogni. Un fondale blu ricoperto di stelle e una mezzaluna, illuminato da luci dai toni freddi, si svela quando un fumo bianco a poco a poco si dirada. Ad abitare lo spazio, un clown vestito di giallo, un personaggio comico, lirico e poetico al contempo, originariamente interpretato da Slava e oggi dal suo erede, costruito ispirandosi a maestri quali Marcel Marceau, Leonid Engibarov, Charlie Chaplin e Totò. Polunin, che si è formato nelle tradizioni classiche della clownerie, ha infatti reiterpretato la figura del clown in chiave moderna, riconoscendola come un veicolo della complessità dell’esperienza umana, capace di esprimere emozioni profonde e universali. Ed è proprio il clown vestito di giallo, buffo e malinconico al contempo, ad accompagnare il pubblico in questo viaggio onirico, incontrando lungo il percorso altri suoi simili, sebbene più grandi di lui e con la casacca verde.

Gli sketch si susseguono velocemente e l’ambiente muta di continuo senza che gli spettatori se ne rendano conto, come quando improvvisamente appare una nave costruita con mezzi di fortuna che sembra galleggiare nel mare o, chissà, fra le nuvole. È un’immagine che solleva e allieta, ma poi ecco che la nave si trasforma in un solitario letto e le luci si abbassano, facendo precipitare il sogno in un incubo. Il pubblico è totalmente coinvolto nelle atmosfere e negli ambienti di questo flusso continuo, perché la quarta parete non esiste affatto, anzi, la platea è parte integrante del magico universo: a invaderla saranno ragnatele giganti, pioggia dagli ombrelli dei performer, cascate di coriandoli bianchi, fitte tempeste di “neve”… È una continua sorpresa che spinge un’altalena emotiva, tra tristezze, sollievi, sorrisi, inquietudini.

Tornare ai sogni d’infanzia

Nel corso della performance ci si sente con la testa leggera: le facoltà della ragione si rilassano per lasciare spazio alla comprensione emotiva, a cui non siamo più abituati dare ascolto. Tuttavia forse ci sentiamo storditi anche per l’assenza d’ossigeno: durante lo spettacolo, ci si può ritrovare col fiato sospeso. Il flusso di episodi e di continue trasformazioni, sceniche ed emotive, porta noi spettatori a stare con le orecchie tese e gli occhi incollati a contemplare un eccezionale accadimento, in cui ritroviamo qualcosa di noi in quanto esseri umani. C’è una profonda tenerezza e bellezza, riportate dall’alta preparazione tecnica dei performer, tanto da restituire sul palco una poetica semplicità.

Slava’s Snowshow ci invita ad accettare e attraversare la vita nelle sue ambiguità, ad accoglierne le luci e le ombre, raccontandone la bellezza dei sogni, dei desideri più intimi e leggeri, del gioco, della gioia dell’esistenza. D’altronde, come dichiara lo stesso Polunin, lo spettacolo intende dare «la risposta a come raggiungere la felicità: tornare indietro ai propri sogni di bambino e inseguirli».

 

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