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È terminato il mese scorso, al Festival Aperto di Reggio Emilia, un percorso iniziato questa estate, presso il festival Direction Under 30 di Gualtieri.
Anzi, più che terminato direi che si è compiuto, e mi lascia con grandi aspettative.
Da dove cominciare a raccontarlo?
Per rompere il ghiaccio partirò da qualcosa che, apparentemente, non ha nulla a che fare con tutto questo. Jack London e la mia intervista a Chiara Guidi fatta in occasione del debutto di Preparare un fuoco, del Corso di Ritmo Drammatico.
In questa ricchissima intervista ho chiesto a Chiara Guidi perché avesse scelto di portare in scena il racconto di London Preparare un fuoco. La risposta è stata questa:
«Ho aperto e ho letto “quest’uomo non aveva immaginazione” e ho detto: questo testo fa per me. C’è un processo di lavoro sul recupero dell’immaginazione come forma di conoscenza…»
Ho ragionato a lungo su quel concetto: l’immaginazione come forma di conoscenza.
Un’immaginazione che, in campo artistico e teatrale, diventa corpo, voce, forma, movimento e rende accessibile un’esperienza di cui non si può esperire. Non solo per lo spettatore ma in primo luogo, soprattutto, per l’artista.
Avevo ancora in mente quelle parole quando mi sono recato, a luglio, al festival Direction Under 30 in qualità di membro della giuria critica e le ho sentite riecheggiare in un lavoro in particolare: The old man, della compagnia Nanouk.
Apro subito una parentesi.
Il festival Direction Under 30 di Gualtieri, praticamente unico nel suo genere, compie la scelta anticonvenzionale (e a volte rischiosa) di portare sul palco solo giovani artisti e di costruire davanti ad essi un pubblico fatto principalmente di loro coetanei.
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Il risultato è un ambiente prolifico per il dibattito, il confronto, la sperimentazione di temi e linguaggi, in cui è facile trovarsi di fronte a progetti che aprono lo sguardo a nuove prospettive.
Quest’anno la selezione proponeva sei spettacoli, estremamente diversi tra loro, molto curati, frutto di profondi studi artistici e urgenze personali degli autori e performer. Il vincitore del festival è stato Roberto Onorato con A.L.D.E. non ho mai voluto essere qui, e ad aggiudicarsi il premio della critica è stato The Old Man della compagnia Nanouk.
In quest’ultimo spettacolo, di teatro danza, ci sono tre personaggi, interpretati da Daniel Tosseghini, Linda Pasquini e Marianna Basso (mi riferirò spesso a loro con il loro nome, perché la loro identità mi appare legata alla loro espressione artistica).
The old man, nella forma in cui è stato presentato a Direction Under 30, ha una durata di 25 minuti e porta in scena un trittico di personaggi in profonda relazione tra loro, che rappresentano ed esplorano un’ unica natura umana di vecchiezza e fragilità.
Lo spettacolo è diviso in due parti. Nella prima vengono introdotti i tre personaggi.
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Il primo, Daniel Tosseghini, indossa una giacca marrone e si trova spesso immobile, con le mani giunte dietro la schiena, come un umarèll. È l’uomo vecchio, concreto, tangibile, presente, ed è animato da movimenti che nascono, come impulsi, dal respiro e che rimbalzano sulle articolazioni.
Il secondo, Linda Pasquini, ha il volto coperto da una maschera verde del Grinch, almeno inizialmente. Ha un abito scuro, completo, e lo sguardo pesante.
Insegue e ricerca il primo personaggio, nonostante questo gli volti le spalle, in un continuo tentativo di abbandonare il proprio peso ad esso.
Il terzo elemento, Marianna Basso, appare da subito più dinamico e più chiaro degli altri due. Il contrasto con il secondo personaggio è evidente. Uno indossa un completo scuro, l’altro una canottiera bianca e dei calzoni corti. Uno viene allontanato e l’altro, invece, preso in braccio, sorretto, sostenuto dal personaggio dell’old man incarnato da Daniel.
Tre passi a due, più radicati che dinamici, seppur ricchi di slanci, in cui i tre personaggi interagiscono tra loro a coppie, costituiscono e concludono questa prima parte..
Nella seconda parte, i tre personaggi si presentano spogli delle loro maschere e costumi. Entrano in scena insieme, seguendo lo stesso ritmo e lo stesso tempo, accompagnati dal suono dei loro passi e del respiro.
I movimenti, inizialmente solidi, si spezzano, mostrando le singole peculiarità di ciascuno dei tre corpi, dotato di un suo modo di muoversi e di interagire con gli altri.
Piano piano, come un elastico che torna a ridursi, i movimenti si restringono, i corpi si accorpano, i gesti si fanno piccoli, ripetuti, insistiti. L’old man di Daniel Tosseghini assurge a mediatore, e muove, ferma, sposta, con delicatezza e cura, gli altri due corpi.
La partitura artistica di The old man è scritta su tre diversi pentagrammi, i tre corpi dei performers, che costituiscono insieme la melodia di un uno che si unisce e disunisce ineluttabilmente.
L’obiettivo è quello di esplorare il tema tangibile della vecchiaia di un uomo, tormentato dal conflitto tra passato e presente. Qualcosa di cui i Nanouk, tutti sotto i trent’anni, non hanno certo potuto fare esperienza diretta. Questo mi riporta all’affermazione con cui ho iniziato l’articolo, sulle possibilità dell’immaginazione (e dell’arte) come forma esperienziale alternativa a quella sensibile.
Infatti, una delle motivazioni con cui è stato conferito a questo spettacolo il premio della critica è che esso ha saputo fare “dell’immaginazione uno strumento di conoscenza di storie ben oltre il proprio esperito”, riconoscendo l’efficacia del lavoro di studio e ricerca artistica che hanno saputo delineare un mondo altro in modo così minuzioso e profondo.
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Il cerchio con cui ho aperto l’articolo si chiude, ma, prima di concludere, aggiungo l’ultima tappa. Lo spettacolo The old man, in quanto vincitore del premio della critica, è stato riproposto al Festival Aperto di Reggio Emilia nel mese di novembre. In questa occasione la compagnia ha sorpreso tutti, portando una versione profondamente modificata, dimostrando la volontà di approfondire un percorso di ricerca e accettandone i rischi.
La nuova versione, di almeno 15 minuti più lunga, oltre ad avere un’introduzione con voce narrante presa da La grande bellezza e un impianto sonoro più ricco di brani ed effetti, porta in scena due personaggi nuovi, presenti sin dal primo istante: due bambine di 8 e 11 anni (Letizia Revelli e Greta Serra).
Le due giovanissime performers si muovono in scena con sicurezza e precisione. Eseguono un passo a due che richiama quello tra Marianna Basso e Linda Pasquini, fatto di piccoli spostamenti, mani che cercano il perimetro di un altro corpo, tentativi di affondi, momenti di allontanamento.
La loro presenza aggiunge un tassello alla storia, completa l’arco narrativo dello spettacolo, scrive un inizio e una fine più netti attorno all’immagine aperta che era The old man nella sua prima versione.
Non aggiungo altro, sperando di aver descritto nella maniera più sincera, trattando di uno spettacolo in particolare, il mondo artistico nel quale mi sono trovato a muovere dei passi.
Spero che questo lungo articolo possa mettere a parte di un cammino al quale ho avuto la fortuna di assistere, che ha visto il seme di una proposta trovare terreno fertile in un festival, pensato per nutrire e far fiorire nuove istanze artistiche, e poi crescere ancora, mettendo a frutto le occasioni, per coltivare nuovi talenti e intrecciare rami e relazioni.
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