.
È un inno d’amore questo Whiskey & Soubrette messo in scena da Tedacà, è un abbraccio alla città della Mole, è un caloroso, nostalgico, alchemico canto a tre artisti illustri che l’hanno abitata, portata nel cuore e ne sono divenuti vessillo. Un’ode ai torinesi, e ad ampio raggio ai piemontesi, considerati sempre un po’ chiusi e freddi come il clima di queste valli incastonate tra le Alpi innevate, un po’ taciturni e “nebbiosi” ma capaci di slanci, di umorismo, di una vitalità prorompente. Il regista Simone Schinocca è il capocomico del gruppo teatrale fondato nel 2002 e venti anni dopo è stata riconosciuta dal Ministero della Cultura come Impresa di produzione di teatro di innovazione nell’ambito della sperimentazione. Dal 2006 gestisce Bellarte, spazio multiartistico, mentre dal 2018 entra nella rete Fertili terreni teatri – Tedacà – acti teatri indipendenti (Beppe rosso) – mulino di Amleto e Cubo teatro. Fiori all’occhiello di Tedacà l’organizzazione di giganteschi impianti come il Festival delle Migrazioni e l’Evergreen Fest che spostano e fanno confluire migliaia di persone su Torino per ascoltare, vedere, conoscere, sentire arte.
–
.
Sempre Schinocca, qui anche in veste autoriale e con un ruolo di collante attoriale, tre anni fa si è immaginato una sorta di percorso che toccasse epoche diverse e riuscisse a toccare le corde nascoste del Tempo per far riaffiorare un mondo purtroppo andato perduto. Attraverso la riesumazione del Varietà, genere sparito dal panorama artistico tranne sporadici esempi ancora in attività, i Tedacà (sulla scena sono una dozzina, con uno sforzo produttivo non indifferente in tempi dove già portare sul palco più di due attori diventa complicata gestione delle finanze) partono dagli anni Venti del Novecento fino ad arrivare agli ’80 del secolo scorso con tre frecce al loro arco: appunto la soubrette Isa Bluette (Elisa Ferraro sublime), il comico Erminio Macario e il cantante Fred Buscaglione, tre modalità differenti di stare sulla scena, tre istrioni, tre che hanno letteralmente bucato lo schermo e sono diventati dei Miti della loro epoca e ancora ricordati. Al termine tempo si possono collegare parole come eternità e immortalità o, al contrario, dimenticanza e oblio. Amnesia collettiva e dimenticanza è quello che purtroppo è successo a Teresa Ferrero in arte Isa Bluette vera star e diva di quei decenni che da operaia della Manifattura Tabacchi che prese la sua vita in mano e rinunciò all’esistenza che lo status quo le aveva cucito addosso in quanto donna che doveva lavorare sottopagata, accudire il marito, governare la casa e sfornare figli. Il suo sogno era diventare una cantante ed esibirsi: partì per Parigi senza un soldo e tornò con un nome tutto nuovo e scintillante, fu lei a portare la passerella in Italia, fu la prima donna a guidare a Torino con la sua eccentrica auto con fiordalisi blu disegnati sulla carrozzeria, la prima donna a fondare una compagnia tutta sua: una pioniera, un’antesignana, una talent scout che mise sotto contratto, e in definitiva scoprì artisticamente, prima Macario e poi un certo Totò quando ancora si chiamava Antonio Vincenzo Stefano Clemente.
La Ferrero-Bluette da stella e prima donna dello spettacolo, dopo la morte avvenuta nel ’39 per tisi e la Seconda Guerra Mondiale, fu dimenticata accantonata dai suoi compaesani e connazionali che l’avevano così perdutamente amata, acclamata ed esaltata finendo misconosciuta nel buio e nel silenzio. Un grande plauso all’impegno nel riportare alla luce questa grande donna che ha segnato un momento cruciale per Torino e per l’Italia e che avrebbe dovuto avere più considerazione nei libri e nel nazional-popolare. Siamo dentro il Teatro Juvarra vero gioiello torinese dove si sono esibiti il Mago Silvan o Arturo Brachetti che ne ha avuto la direzione e lo ha rimesso a nuovo con un’operazione di restauro mirabile. Sembra di stare in un Cafè Chantant, l’atmosfera è seppiata, quasi ingiallita e i lustrini e i boa di struzzo, gambe vertiginose e scolli (i bellissimi costumi sono di Agostino Porchietto) contribuiscono ad abbandonare gli anni Duemila per la sciarsi trasportare, con dolcezza malinconica e languida, dentro canzoni senza tempo che tutti riconosciamo dal motivetto fischiettabile. Un ruolo è diviso in due figure, il custode di quegli anni ruggenti (Marco Musarella perno) e il guardiano anziano di oggi che ricorda, riporta alla mente, immagina, rievoca e rammenta i fantasmi che popolano la sua mente e la cullano in quella delicata tristezza colma di rimpianti. In un continuo palleggiarsi temporale, tra i giorni della Bluette prima e successivamente in quelli di Macario (Andrea Semestrali folgorante nel playback con la voce originale del camaleontico caratterista) e infine di Buscaglione (lo spettacolo-show dura 1h 45′ assolutamente godibili, volano via leggeri, mai banali) i due depositari delle memorie personali e artistiche racchiuse nello scrigno di luccichini e paillettes della Rivista, ci aprono le porte di un mondo di cantanti, ballerine, fama, bellezza, paparazzi, voglia di emergere.
.
.
È stato fatto un lavoro certosino di ricerca sui materiali e ogni battuta è stata controllata minuziosamente, in maniera pignola attraverso documenti, video, dati. Addirittura la compagnia ha ripulito dall’incuria e dalle erbacce la tomba della Bluette al Cimitero Monumentale di Torino che, senza eredi, era ricoperta dalla polvere e dalla sporcizia accumulata nei decenni. Ci sono stralci tratti dai giornali che se la contendevano e recensioni, tra le quali spicca quella di Antonio Gramsci che si dichiara follemente colpito e innamorato della Soubrette. Il corpo di ballo si esibisce in svariate coreografie gioiose e gustose e giocose, bravissimi nel tip tap, cantano meravigliosamente, provocano lussureggianti, ammiccano di rimmel e sguardi osé, si fanno ammirare. Ecco (le musiche e gli arrangiamenti sono di Antonio Dominelli, mirabile) Malafemmina e poi una sola mugugnata Bella Ciao da brividi, September che emoziona, una versione intimista di Jingle Bells.
È un mondo ovattato e di sogno questo, una bolla dove possono accadere i miracoli e i desideri si avverano, una parentesi sospesa di magia e incantesimo. Da Isa passando per Macario fino a giungere a Fred (e al grande sodalizio con il paroliere Leo Chiosso) altro figlio vissuto troppo poco di questa città. Ecco (Michela Paleologo canta divinamente) Che bambola e Noi duri fino a Guarda che Luna nel rievocare i locali fumosi, le pupe e i pugni, i gangster e le pistole, i superalcolici, il suo pianoforte rosa come la sua Ford Thunderbird, gli eccessi alcolici e avvinazzati che non fanno altro che aumentare i rimpianti. Il pubblico partecipa a questa vera e propria festa collettiva che è un ritrovarsi per i torinesi sotto un unico ombrello, quello dell’arte che negli ultimi anni Torino ha leggermente abbandonato e accantonato. Fortuna che esiste ancora chi scava con passione e riporta alla luce volti e storie, momenti e attimi perché l’oblio, che è la peggior condanna e maledizione, non l’abbia mai vinta la partita.
.
.