Una luce rossa cala e cola dall’alto come benedizione divina scendendo sul piccolo altare laico centrale. E’ una rievocazione, una sorta di seduta spiritica attorno a questo flusso che imbeve la terra in un osmosi e passaggio tra l’Altrove e il nostro Tempo, tra il Prima e il Dopo, tra l’Intelligenza Artificiale e quella degli uomini.
Il duo dei Quotidiana.com ribadiscono la loro cifra intellettuale, il loro amore per la parola, il loro ricercare e scandagliare frammenti e anfratti, discorsi e ragionamenti a sezionare le parentesi e il non-detto in virtù di un andare a fondo, fino a sviscerare domande, tentare di capire, arrivare al nocciolo, al cuore dell’etimologia, porre interrogativi più che dare soluzioni. Il loro cammino produttivo si impreziosisce di un altro capitolo, Algoritmo d’autore (visto al Teatro delle Moline, prod. ERT Teatro Nazionale) vagamente ispirato al testo pirandelliano dei Sei personaggi , che l’autore sempre deresponsabilizza, toglie peso, lascia più liberi assumendosi tutte le deleghe.
Entrambi in tuta, per desacralizzare nuovamente il teatro, forse violentarne e bullizzarne i cliché, Roberto Scappin in blu e Paola Vannoni in giallo dialogano con quello che non c’è, non esiste e non si vede: una voce senza corpo che arriva da chissà quale sperduta dimensione. Le loro parole sono soffuse, sussurrate in una forma dolce ma dal contenuto pungente, un filo di respiro sgorga.
Il fumo che si attorciglia alla luce ci ha stimolato il ricordo dell’installazione dell’artista indiano Anish Kapoor, quella nebbia mistica spinta da giganteschi ventilatori vista nel 2011 a Venezia all’interno della Chiesa di San Giorgio. I due si palleggiano la parola, si interscambiano, si finiscono le frasi come fossero un corpo solo, non c’è astio né competizione tra le due figure, sono sulla stessa lunghezza d’onda a contrastare, o almeno a prendere le distanze docilmente da questo supercomputer dalla tonalità calda e amicale.
Dai primi spettacoli i Quotidiana hanno abbandonato l’ironia ma anche quella violenta vis dei lavori del passato. Lui è Al, Lei è Go, il cane di ceramica è Ritmo. Se pensiamo di allungare il primo nome, da Al facendolo diventare All, ne esce un Tutto va, un tutto scorre, il panta rei di Eraclito. Tutto scivola e si evolve anche se i nostri se ne stanno piantati, bloccati, fermi, reclusi in questo spazio acerbo e nero, un punto sperduto nell’Universo, incapaci, isolati, impotenti in questa tragedia tutta esteriore, autocitazione di un loro testo di una quindicina di stagioni fa.
Vorrebbero far urlare al pubblico Manicomio, quello che la platea nel maggio 1921 gridò verso il palco tra i fischi al Teatro Valle di Roma alla prima rappresentazione dei Sei personaggi. Citano Camus, Gianna Nannini, Audrey Hepburn, si muovono come pupi siciliani o bambole interrotte su luci stroboscopiche: Dov’è il copione. Il copione è in noi. Siamo noi. Alle loro spalle due figure silenti che sembrano i genitori di Hamm nel Finale di Partita beckettiano: l’uomo ricorda molto lo stesso Pirandello, con il pizzetto iconico, la donna potrebbe essere la bambina dei Sei personaggi annegata nel dramma e invece qui, in questo angolo siderale, cresciuta e diventata adulta. Il ragionamento si sposta dal teatro e dall’attore alle persone, a quello che stiamo diventando, automi con il cuore imbevuti di regole non scritte, ma che dobbiamo rispettare per stare dentro i confini del socialmente accettabile, impregnati delle paure del politicamente corretto, impantanati e costretti e intorpiditi dentro leggi, modelli e principi falsamente inclusivi che invece che rispettare tutti ci mettono nella condizione di temere ogni nostra opinione e critica diversa dalla massa, dalla maggioranza, dal pensiero unico.
Algoritmo d’autore è una confessione con Dio, è un cercare di fermare il treno in corsa verso la folle deriva che ha preso il nostro Tempo confuso e fragile, è il tentativo (per sua stessa natura fallimentare) di arginare, con le mani, la valanga. Stiamo solo attendendo che l’Intelligenza Artificiale ci espropri, ci esautori, ci soppianti, ci silenzi, ci emargini, ci annienti. Sappiamo che accadrà ma nessuno sta attuando e mettendo in pratica assolutamente niente per prendere contromisure adeguate: l’uomo è l’unica specie che lavora per il proprio abbattimento e affondamento. I Quotidiana fanno avanguardia. Sono oltre il nostro tempo. Sono coerenti con il loro percorso artistico: in questi anni non si sono fatti plagiare dalle mode del momento, non hanno cambiato idea sul modo di fare teatro né su come occupare la scena. Puri e duri (nel senso di durata).
Visto al Teatro delle Moline di Bologna.