Visto da noi: Frammenti di infinito di Aristide Rontini

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ph Federica Musella

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Ormai, anche chi, meno giovane, ne ha coscienza avendole per così dire frequentate, ci siamo quasi dimenticati delle “Lucciole”, gli insetti luminosi e misteriosi che spesso accendevano solitarie notti di estate.

Frammenti di infinito, l’ultima coreografia di Aristide Rontini in tre quadri, invece proprio alle lucciole è ispirata come indica il sottotitolo della triplice narrazione, dall’assolo al coro passando per il pas de trois, quando ci segnala che lo spettacolo è un Tre Atti per lucciole.

Si tratta però di una ispirazione indiretta che non emerge da quel perduto coleottero della Famiglia delle Lampyridae (il suo nome scientifico è infatti Lampyris Noctiluca come ci ricorda sempre il coreografo), ma bensì da un vecchio articolo di Pier Paolo Pasolini (era il febbraio 1975 pochi mesi prima quindi della sua uccisione) che prende a pretesto le lucciole, caricandole di una valenza simbolica, poetica e metaforica che le travalica assumendo i caratteri tipici dello scrittore friulano, quella della denunzia sociale, storica e politica di una Italia ai suoi occhi devastata e in cui appunto le lucciole erano scomparse.

Un sempre più amaro Pasolini parlava dunque di lucciole, non per prenderle per lanterne (cosa di cui i suoi avversari e anche i suoi amici spesso lo accusavano) ma per puntare il dito contro i nemici delle lucciole che poi erano soprattutto i nemici di tutti noi, gli odiatori di professione, i corrotti, i manipolatori e gli sfruttatori economici che neanche più di capitalismo in senso classico ormai si occupano ma solo di puro e semplice sfruttamento schiavistico (quale tragica preveggenza del nostro presente c’è in tutto ciò).

Quali sono infatti i nemici delle lucciole, quelli che le hanno fatte scomparire (insieme a tanta altra bellezza) dalle nostre notti? I pesticidi innanzitutto, l’abuso del suolo, il degrado e dunque l’inquinamento anche luminoso delle nostre vite, quello che con la luminosità diffusa e onnipresente associata alle luci abbaglianti del presente ci impedisce di vedere la luce fievole della vita, sia quella lontana e immensa delle stelle che quella vicina e minuscola che popola la terra sotto nostri piedi.

Quale miglior metafora dell’inquinamento delle nostre menti e della nostra anima prodotto da una civiltà sociale che pensa solo al denaro e sul denaro misura il valore di ogni singola esistenza fino al punto di annullarla per sempre?

Di fronte a tutto ciò, in un mondo in cui spesso la stessa parola artistica può essere ‘inquinata’, la danza è una sonda, una delle poche, in grado di penetrare il corpo individuale e quello sociale per auscultarlo laddove il suo sentimento precede quella parola, un sentimento anzi che è stato privato di una parola messa ormai al servizio di altro.

Da qui nasce questo interessante spettacolo di danza che non a caso parte da un assolo che è come il momento in cui il corpo/vita prende coscienza di sé stesso, del suo esistere prima delle parole che lo descrivono, un corpo capace di emettere una luce estetica fievole ma irresistibilmente attraente e indicibilmente calda. Qui è il corpo che si completa nella danza e non viceversa, la danza che diventa sorta di protesi per poter accedere al mondo.

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ph Federica Musella

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Segue, come detto, un pas de trois intitolato Back Eye Black in cui quel ‘prima’ esistenziale si fa relazione con l’altro insieme a cui costruire quel mondo a cui abbiamo avuto improvvisamente ed enigmaticamente accesso.

Infine il coro, un “progetto di comunità”, un movimento collettivo non a caso intitolato Corporale durante il quale emergono le figure di una società, quelle che la sonda di cui abbiamo parlato in precedenza ha intercettato, che sembra contemporaneamente e continuativamente in decomposizione ed in ricomposizione, tra ruoli e maschere sociali alla ricerca di una legittimità che sfugge e di una legittimazione che nessuno sembra più in grado, avendo perduto ogni autorità condivisa, di dare loro.

Uno spettacolo ben strutturato e profondamente pensato che però lascia il giusto spazio alla spontaneità dei gesti, richiamati, dalla tangente di una progressiva perdita di senso che nell’oggi comincia ad aggredire addirittura il corpo nella sua stessa concretezza metaforica, alla responsabilità dei loro significanti.

Bravi tutti gli interpreti a partire da Aristide Rontini coreografo e protagonista dell’assolo, per passare da Silvia Brazzale, Cristian Cucco, Orlando Izzo i danzatori professionisti del secondo atto e per finire ai cittadini bolognesi che hanno animato il terzo passaggio, quel progetto di comunità a cui i due atti precedenti hanno fornito gli strumenti per una più piena e condivisa comprensione.

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ph Monia Pavoni – courtesy Oriente Occidente

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Alla Sala Thierry Salmon del teatro Arena del Sole di Bologna, ospite di ERT Emilia Romagna Teatro, il 13, 14 e 15 dicembre. La sala sempre piena. Molti e convinti gli applausi.

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FRAMMENTI DI INFINITO – Tre atti per lucciole. Coreografia e regia Aristide Rontini, danza (in o.a.) Silvia Brazzale, Cristian Cucco, Orlando Izzo, Aristide Rontini, con la partecipazione di Kamila Burban, Valentina Cavagnis, Marieva Vivarelli, Annalisa Frascari, Roberto Penzo, Delia Adele Salsi, Sonia Salsi, Christopher Serebour, Julian Soardi, musiche originali Vittorio Giampietro, dramaturg Gaia Clotilde Chernetich, disegno luci Lampyris Noctiluca Giulia Pastore, tecnica e luci Angelo Generali, Lucia Ferrero, costumi Back Eye Black Orlando Izzo, assistente al laboratorio di comunità Gaia Germanà, cura e produzione esecutiva Elena De Pascale, amministrazione Roberto Berti, organizzazione e logistica Miriana Erario, ufficio stampa Nexus Michele Pascarella, collaborazione produttiva Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Oriente Occidente nel progetto Europe Beyond Access co-finanziato Creative Europe e Nexus Factory, con il sostegno di Versiliadanza, Masque Teatro, Onassis AiR nell’ambito del progetto Europe Beyond Access cofinanziato dal programma Europa Creativa, Progetto Residenze Artistiche 2022/2023 Area Cultura Comune di Imola, Danza Urbana – Rete h(abita)t / MUVet e Northern School of Contemporary Dance “Back Eye Black” è stato sostenuto da Open Dialogo, un progetto di scambio culturale bilaterale curato da Stopgap Dance Company e commissionato dal Ministero della Cultura italiano (Direzione Generale Spettacolo), dall’Arts Council England, dall’Istituto Italiano di Cultura di Londra e dal British Council nell’ambito di CARNE focus di drammaturgia fisica. Le repliche di Bologna sono nell’ambito del progetto “Teatro e fragilità. Verso una comunità danzante” realizzato con il contributo di Fondazione Carisbo, foto di Monia Pavoni courtesy of Oriente Occidente, foto dello spettacolo Lampyris Noctiluca di Federica Musella.

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Ho conseguito la Laurea in Estetica al DAMS dell'Università di Bologna, con una tesi sul teatro di Edoardo Sanguineti, dando così concretezza e compimento alla mia passione per il teatro. A partire da quel traguardo ho cominciato ad esercitare la critica teatrale e da molti anni sono redattrice e vice-direttrice di Dramma.it, che insieme ad altri pubblica le mie recensioni. Come studiosa di storia del teatro ho insegnato per vari anni accademici all'Università di Torino, quale professore a contratto. Ho scritto volumi su drammaturghi del 900 e contemporanei, nonché numerosi saggi per riviste universitarie inerenti la storia della drammaturgia e ho partecipato e partecipo a conferenze e convegni. Insieme a Fausto Paravidino sono consulente per la cultura teatrale del Comune di Rocca Grimalda e sono stata chiamata a far parte della giuria del Premio Ipazia alla Nuova Drammaturgia nell'ambito del Festival Internazionale dell'eccellenza al femminile.

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