Le Notti Bianche di Simona: da un regalo casuale al palcoscenico

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Simona Epifani

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Le notti bianche di San Pietroburgo sono un incanto sospeso, un respiro trattenuto tra il giorno e la notte. Qui, il cielo non si oscura mai del tutto, e la luce argentea avvolge i canali. Il dialogo fra ombra e luce sembra quasi raccontare la città come un velo di sogni. I canali riflettono il pallore etereo del firmamento, mentre le strade si riempiono di passi silenziosi e sguardi che sembrano cercare qualcosa di perduto. È il tempo delle confessioni e delle promesse, dei cuori che si incontrano e si sfiorano, in un dialogo eterno con l’ombra e la luce. Qui, ogni attimo sembra infinito, come se il crepuscolo potesse raccontare storie che il giorno non osa svelare.

La storia di Simona e del suo spettacolo teatrale ispirato a Le Notti Bianche di Dostoevskij è un racconto di passione, dedizione e creatività. Simona Epifani è un vulcano di energia, che si giostra con grazia tra la direzione del Teatro Kopό a Roma e Brindisi e l’attività di attrice e regista. Se potesse scegliere, scambierebbe volentieri la sua agenda fitta di impegni con una vita da musical, dove ogni gesto – dal caffè del mattino al copione serale – sarebbe accompagnato da luci, musica e applausi spontanei.

E poi, parliamoci chiaro: ce l’ha nel sangue quella cosa là. Adelina, sì, proprio quella di Se il tempo fosse un gambero, la celebre commedia musicale di Garinei e Giovannini, che guarda caso è il genere che adora sopra ogni altro.

Un giorno, un regalo inaspettato, accende in lei una scintilla che l’ha portata a creare uno spettacolo capace di emozionare il pubblico e riscrivere le regole della tradizione teatrale.

Tutto è iniziato quando una cugina le regalò una copia del romanzo. Simona, spinta da una sua etica personale che le impone di leggere ogni libro ricevuto, si immerge nella lettura. Quella storia breve ma densa di emozioni le appare subito come un’opera già pronta per il teatro: dialoghi vividi, personaggi complessi e una narrazione che sembrava attendere solo di essere portata in scena. “Era tutto lì, già scritto, già perfetto,” racconta Simona. Tuttavia, l’idea rimase a lungo chiusa in un cassetto.

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Durante la pandemia del 2020, con il mondo costretto a rallentare, Simona ritrovò il libro e con esso la voglia di realizzare quel progetto. Tornata a Roma, riprendendo la sua attività teatrale interrotta durante il Covid, decise che era arrivato il momento giusto. Si affidò ad Armando Di Lillo, un drammaturgo di grande talento e dalla penna delicata, per riscrivere il testo in chiave teatrale, adattandolo a un pubblico moderno. L’attore Claudio Boschi invece diventa il protagonista maschile della storia; come nel libro di Dostoevskij anche lui non ha un nome, mentre lei diventa la Nasten’ka di Dostoevskij, che nella sua trasposizione, ma si scoprirà solo alla fine, diventa Nadia.

Simona è consapevole delle difficoltà di portare Dostoevskij a teatro. “Già la gente va poco a teatro di suo, e proporre qualcosa con costumi d’epoca rischiava di allontanare ancora di più il pubblico”, spiega. Decide quindi di ambientare la storia negli anni Ottanta, e non per le strade di San Pietroburgo.  Questa scelta, sebbene inusuale, risultava perfettamente in linea con i temi dell’opera. Gli anni Ottanta, con la loro tecnologia rudimentale e le dinamiche sociali più intime, rappresentavano un periodo in cui il tema dell’incomunicabilità, centrale nel romanzo, poteva risaltare senza interferenze moderne.

Un’idea brillante dello spettacolo è l’introduzione della Polaroid come simbolo. La protagonista usa questa macchina fotografica per catturare momenti con l’altro personaggio, un espediente che Simona ha voluto per rappresentare l’attesa, il tempo necessario affinché qualcosa prenda forma, proprio come i sentimenti dei protagonisti. “Non è come oggi, dove scatti una foto con lo smartphone e puoi cancellarla se non ti piace. La Polaroid resta e diventa parte della storia”, racconta. Questo elemento simbolico culmina nell’ultima scena, quando una foto scattata rivela un dettaglio che lascia il pubblico riflettere anche dopo la chiusura del sipario.

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Simona racconta di come il processo creativo sia stato un vero e proprio dialogo, a volte anche conflittuale, con i suoi collaboratori. La sua visione dei personaggi era spesso diversa da quella degli uomini che lavoravano al progetto, portando a dibattiti costruttivi. Mentre i suoi colleghi vedevano nel protagonista maschile un “cretino”, Simona trovava in lui una complessità emotiva che meritava di essere esplorata. Questo confronto ha permesso di arricchire lo spettacolo e trovare un punto di equilibrio tra le diverse interpretazioni.

Debuttato nel 2023, lo spettacolo ha subito raccolto consensi, arrivando anche ad essere oggetto di un servizio su Save the Date di Rai 5. È stato rappresentato in diverse città italiane, attirando spettatori affascinati dalla sua capacità di reinterpretare Dostoevskij in una chiave moderna ma profondamente rispettosa.

Un altro elemento distintivo dello spettacolo è la sua interazione con il pubblico. Alla fine di ogni rappresentazione, viene allestita una bacheca nel foyer del teatro, dove vengono esposte le Polaroid scattate durante lo spettacolo. Questo permette agli spettatori di rivivere alcuni momenti salienti e di cogliere dettagli che magari erano sfuggiti durante la visione.

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Per Simona, Le Notti Bianche non è solo un’opera teatrale, ma un viaggio emotivo che invita il pubblico a riflettere sui temi universali dell’amore, della solitudine e del desiderio.

La sua storia dimostra come a volte, da una lettura casuale o da un regalo inaspettato, possa nascere un’opera capace di lasciare un segno, unendo l’eredità di un grande scrittore russo con la sensibilità di una regista italiana.

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Nasco a Cesena nel 1978, con la grande passione per la musica e un amore folle per Chet Baker. Lavoro da tanti anni, quasi troppi, come commercialista, districandomi fra imposte e dichiarazioni dei redditi. Mi appassiono fin da giovane alle arti e alle lingue, per poi scoprire la cultura sovietica e russa. Ora cerco di bilanciare il mio lato pragmatico con l’utopia dei miei sogni inespressi, affannandomi nel cercare un equilibrio. Nonostante questa mia doppia indole, credo che la vita debba essere concepita come la realizzazione dei propri desideri, per cui dopo una laurea al Dams ottenuta negli anni della mia senilità, sto realizzando un altro grande desiderio: quello di scrivere!

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