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Gli educatori propongono ormai, all’unanimità, di considerare le opere letterarie come sistemi di comunicazione che trasmettono un messaggio; quasi degli slogan,
complicati però dalla stravaganza degli artisti (borghesi, naturalmente):
teoria demenziale, ma considerata adatta a formare le milizie pedagogiche.
Questo appiattimento di tutte le sottigliezze dell’arte è il segno più sicuro del fallimento della democratizzazione della cultura.
(Stéphane Audeguy, Piccolo elogio della dolcezza)
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Il nostro è un rappresentare latitante e performativo
che si alimenta di cinema, letteratura, arte e avidità motoria.
(Flavia Mastrella, Antonio Rezza, Clamori al vento)
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Viviamo in un mondo appiattito dall’ideologia politically correct, da tecnologie ottundenti definite con somma perfidia “intelligenti” e da un’arte svilita da un lato dalla flaccidezza dell’estro creativo e dall’altro dall’ininterrotta prostituzione al finanziamento statale e alla bulimica oscenità dell’iperproduzione. Una clamorosa eccezione che da quasi quattro decenni si ostina a smentire questo quadro di imperante desolazione, sfidando non solo il sistema (teatrale) ma nientemeno che il secondo principio della termodinamica, si chiama RezzaMastrella. Il Teatro Elfo Puccini ha pensato bene di affidare ai Leoni d’oro alla carriera (La Biennale di Venezia 2018) Antonio Rezza e Flavia Mastrella l’ultima parola dell’anno che ci siamo appena buttati alle spalle senza pietà. E loro hanno risposto con Fratto_X, spettacolo del 2012 che è ormai un classico, come tutto ciò che porta la loro firma.
«La spensieratezza va stroncata alla nascita!»: è l’abbrivio scoppiettante di una funambolica carrellata di quadri scenici che mescolano con perfetta alchimia comicità delirante e cogente filosofia del disincanto radicale in una sublime poetica del frammento. Antonio Rezza è il profeta di un mondo in declino, al capolinea, un mondo che si sta inabissando da tempo nell’ipocrisia e nel nichilismo più sfrontato dietro la maschera del conformismo e della “correttezza”. Un mondo che ha smarrito definitivamente la grazia.
Ciò che contraddistingue gli spettacoli (li chiamiamo in maniera riduttiva “spettacoli” in assenza di un termine adeguato e non volendo ricorrere all’inflazionato “eventi”) è precisamente questo quid misterioso ed evanescente: una grazia che le milizie pedagogiche non sono mai riuscite a scalfire. Una grazia artaudiana, crudele, tremenda, dolce, tirannica, unica e irripetibile nel panorama artistico italiano.
È sempre riduttivo descrivere a parole ciò che va vissuto in prima persona, nell’elettrizzante flusso comunicativo che si crea tra palco e platea. Lo si fa seguendo il filo del discorso, che inevitabilmente finisce per strozzarci, come ricordava altrove Antonio Rezza.
Gli habitat di Flavia Mastrella nascono da un sapiente uso di materiali eterogenei: lunghi teli bianchi che si prestano a innumerevoli metamorfosi, sculture gigantesche ed eteree, bardature surreali, marchingegni telecomandati che reinterpretano poeticamente le leggi della fisica. La semplicità è baciata dalla grazia che l’artista sa insufflare alla materia, anche agli oggetti più insoliti e agli scarti. La stessa grazia che traspare da parole come queste:
Niente è più triste dei fiori d’inverno che svolazzano colorati. La tristezza nella sua profondità è schietta, onesta, vitale. I fiori a terra disegnano un labirinto, la delicatezza dei petali mi ha suggerito la fragranza del tessuto della X di Fratto_X che in certi momenti si trasforma in corolla.
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Negli habitat che collocano in maniera visiva, immediata ciò che sta per accadere in scena su un piano altro, (quello dell’arte pura e quindi della libertà totale) si muove un esile corpo spietato. È Antonio Rezza, in tutta la sua irrefrenabile genialità, con la sua vibrante voce dalle inconfondibili modulazioni e alterazioni. Attraversando una moltitudine di proiezioni (conscio che, rimbaudiamente, «io è un altro»): Mario, Rocco e Rita, l’ansia, Rita da Cascia, il poliziotto che incarna l’abiezione della coercizione, e via via tutti i sinistri membri della famiglia che sovrasta annichilisce, Rezza sfreccia come un fulmine della decostruzione. Al bando tutte le pie illusioni: credevate fosse amore tra i due fidanzati? No, era solo residenza.
Per agire con questa chirurgica precisione, estirpando con colpo secco, alla radice, i rassicuranti luoghi comuni e le nefaste proiezioni (siano esse di stampo romantico o politico), sono indispensabili una velocità che non dà tregua e un ritmo implacabile. C’è chi incredibilmente riesce a stare al folle passo di Antonio: è Ivan Bellavista, storica presenza in molti spettacoli di RezzaMastrella. Anche Ivan è portatore di una grazia tutta sua, inconfondibile, che qui raggiunge il climax nell’esilarante scena della coppia litigante. Visto che non può esimersi dal lasciarsi tiranneggiare dalla voce di Antonio, parla con tutto il suo corpo, con la mimica facciale, con una gestualità iperbolica che esalta la comicità parossistica del quadro.
Non ci sono limiti alla follia metodica di ciò che succede sul palcoscenico. Tutto è matematicamente previsto da formule inesorabili. L’algebra viene invocata già dal titolo: quel fratto che tutto semplifica, annulla, nullifica. Evanescenza del destino umano:
«Perché l’uomo more? Perché troppo spesso è fratto sotto. Uomo fratto Uomo, Uomo con Uomo si semplifica, rimane solo questo sconsolatissimo fratto».
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* le citazioni sono tratte da un bellissimo testo-performance, la dichiarazione poetica di Mastrella e Rezza: Clamori al vento. L’arte, la vita, i miracoli, il Saggiatore 2014
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Fratto_X
di Flavia Mastrella e Antonio Rezza
con Antonio Rezza
e con Ivan Bellavista
(mai) scritto da Antonio Rezza
habitat di Flavia Mastrella
assistente alla creazione Massimo Camilli
luci Mattia Vigo, luci e tecnica Alice Mollica
produzione RezzaMastrella, La Fabbrica dell’Attore Teatro Vascello
visto al Teatro Elfo Puccini di Milano il 29/12/2024
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