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Il sipario si apre su una stanza dei giochi.
La cassapanca è un cubo di Rubik, da una parte c’è un calcio balilla, da un’altra un velocipede, appese al muro una maschera da leone e una chitarra, e l’intera tappezzeria, coloratissima, ricorda un dipinto di Piet Mondrian.
In questa stanza si confrontano due giocatori.
Il primo è la star, il padrone di casa, il ricco scrittore Andrew Wyke, la cui foto campeggia quasi ovunque. È interpretato proprio da una star, Greg, al secolo Claudio Gregori, famoso nel mondo cinematografico, teatrale, musicale e radiofonico, ricordato spesso insieme al nome di Lillo.
Il secondo è Milo Tindle, lo sfidante, hair stylist senza grandi prospettive, interpretato da Fabio Troiano, navigato attore di cinema e teatro, che dà corpo ad un personaggio complesso le cui idee e convinzioni cambiano nel corso dello spettacolo.
Il terreno di gara è, in apparenza, l’amore di una donna. In realtà l’amor proprio.
Lo spettacolo si intitola Gli insospettabili e la trama è questa. Andrew sa che la moglie lo tradisce con Milo, il parrucchiere. Dunque lo convoca nella sua villa per fargli una strana proposta: Andrew consentirà a Milo di rubare dei gioielli di sua proprietà, e lo lascerà andare via con la moglie.
Ma quella che sembra una grande occasione si rivela poi uno scherzo. Ad Andrew interessa soltanto umiliare Milo e prenderlo in giro, giocando ad un perverso gioco di travestimento e sopraffazione.
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Inizialmente Milo, che ha appena messo piede nel campo da gioco, subisce le manipolazioni dell’avversario senza reagire, fino al punto in cui Andrew gli fa credere addirittura di volergli sparare.
Solo dopo aver visto la morte in faccia Milo cambierà volto e si scoprirà giocatore, sfidando a sua volta Andrew ad un secondo e poi ad un terzo round (che corrispondono, nello sviluppo narrativo, ad un secondo e un terzo atto) in questa gara di finti crimini e finte investigazioni.
Il testo dello spettacolo, opera del drammaturgo britannico Anthony Shaffer, è una commedia noir che riprende e distorce la classica ambientazione delle detective stories e alterna con sapienza battute comiche a momenti drammatici che odorano di catastrofe e tragedia.
Nel sottotesto aleggia la critica alla crudele competitività, quasi sadica, dalle sfumature sessuali, che caratterizza entrambi i due personaggi e, sembra voler dire l’autore, è insita nella natura umana maschile.
Dello spettacolo ci sono state diverse messe in scena, di cui due cinematografiche, nel 1971 e nel 2007, tuttavia l’allestimento di Teatro Società, con la regia di Fabrizio Coniglio aggiunge, a sua volta, qualcosa.
Ad esempio la costruzione scenografica così estrosa, smaccata riproduzione della metafora del gioco.
Oppure l’aggiunta del costume da clown, che Andrew costringe Milo ad indossare, per completare la sua umiliazione.
Infine anche il silente momento conclusivo, in cui Andrew affronta la polizia. Niente sirene, niente luci. Solo Claudio Gregori con le mani alzate rivolto a qualcuno che non vediamo.
Come a voler dire che anche quello, dopotutto, potrebbe ancora essere un gioco.
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