Nella vita e nell’arte. Note su L’Ottocento delle attrici di Laura Mariani

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Laura Mariani

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Certe vertiginose capriole, bisogna saperle fare.

Meglio: bisogna volerle fare.

È frutto di smisurata sapienza, dedizione e volontà il recente, poderoso saggio L’Ottocento delle attrici che Laura Mariani.

La prima cosa che salta agli occhi (questo il primo elementare motivo dell’inserimento di queste brevi note nella mia rubrica Donne valorose) è la pubblicazione del saggio nella collana Storia delle donne e di genere del colto editore Viella.

Tale collocazione offre una prospettiva peculiare che «radicalizza il punto di vista», per dirla con l’autrice.

Questo studio su alcune vite esemplari ci interroga.

Mi interroga.

La platea a cui questo saggio si rivolge -qui la vertiginosa capriola citata in apertura- è al contempo ultra specialistica e generalista.

Ultra specialistica perché il volume è esito di decenni di studi rigorosi e illuminanti di Mariani: suo è l’insegnamento di Storia dell’attore e dell’attrice all’Università di Bologna, molte decine sono le pubblicazioni e gli interventi di questa attivissima intellettuale militante.

Ultra specialistica, ancora, perché si raccontano da dentro vicende, regole e connessioni di una «microsocietà», come l’autrice la definisce, «marginale e insieme strutturata».

È organico a tale posizionamento il pervicace dialogo, tramite continue citazioni e fecondi rimandi incrociati, con altre donne e altri uomini “di libro”: in primis Claudio Meldolesi, Ferdinando Taviani e Mirella Schino, che con Mariani hanno condiviso fondative imprese di scandaglio e nominazione, a ben nutrire generazioni di persone dedite allo studio di quest’arte paradossale, antichissima e al contempo ontologicamente impermanente.

L’Ottocento restituito da Mariani con chirurgica passione è, per molti aspetti soprattutto materiali, un’epoca affatto difforme da quella che stiamo attraversando: è, in tal senso, una storia altra, quella che viene offerta, che si può avvicinare con il gusto dei bei tempi andati, se non addirittura dell’esotico, e che si può immaginare grazie all’appassionata esattezza del suo nominare.

Questa avventura editoriale rappresenta però, allo stesso tempo, una prospettiva di interesse generale perché la Storia delle attrici (quattro in primis, in questo libro: Carlotta Marchionni, Adelaide Ristori, Giacinta Pezzana ed Eleonora Duse ma anche molte, molte altre) funziona, nelle intenzioni e negli esiti, come specchio attraverso cui guardare la società tutta, di allora e di oggi.

Ci interroga.

Mi interroga: nella misura in cui la complessità delle questioni femminili tra vita e arte poste in evidenza sono vissute da chi legge come un dato di fatto tanto inamovibile quanto, ahinoi, inconsapevole.

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Il viaggio di Mariani parte dalla rivoluzione produttiva e identitaria delle prime attrici della Commedia dell’Arte nella seconda metà del Cinquecento, da quella scandalosa «fuoriuscita dalla sfera privata per accedere alla sfera pubblica in modo strutturato» e arriva -attraverso innumerevoli peripezie- alle scandalose rivoluzioni di Eleonora Duse «che è attrice e donna insieme».

In mezzo una ridda di vite avventurose e di vitali avventure del linguaggio: prospettive complementari in uno studio che pone in piena evidenza -che dimostra, volendo usare un termine accademico- l’imprescindibile connessione tra vita e arte.

Molte delle radicali rivoluzioni delle donne valorose raccontate nel libro hanno luogo in primis nello spazio intimo e familiare: il corpo e l’identità delle donne si fanno strumento e luogo (leggi: trampolino e campo di battaglia) di una evoluzione dell’agire e del percepire la propria funzione nel mondo, del teatro et ultra.

Uno dei meriti di questo saggio, ancora, è presentare con chiarezza e precisione le molteplici interrelazioni significanti che concorrono agli accadimenti puntuali che vengono narrati: a ricordarci che siamo parte di un habitat, di un sistema complesso di influenze reciproche. E che ogni azione culturale non può che partire da una lucida analisi di tali intrecci.

Mariani lo dice molto più esattamente di quanto sappia fare io: «La memoria del passato permette il passaggio dallo spettacolo al teatro, dall’avvenimento evanescente alla cultura che lo produce».

Un esempio fra molti: il gustoso capitolo dedicato alle spettatrici nel teatro all’italiana, tra dislocazione sociale del pubblico nei diversi spazi e crescente numero delle spettatrici in sala, con conseguente (e commercialmente avveduto) maggior numero di donne protagoniste dei drammi rappresentati e attrici che in maniera crescente «rappresentano dei modelli possibili per le donne che si ribellano ai ruoli e ai destini imposti».

Moltissimi gli aneddoti, le curiosità, i dettagli, che rendono conto della svilente miopia, non solo maschile, dura a morire allora come ora.

Anche qui, uno fra mille: i risultati di Un originale referendum sulle più belle attrici della scena italiana realizzato nel 1905 da una rivista femminile (con tanto di premio, «uno splendido fonografo o zonofono»). Tra le vincitrici Eleonora Duse, «la più adatta alle espressioni della passione drammatica» e la più efficace nel pianto e Virginia Reiter che «sorride e ride sulla scena con maggior grazia, sincerità ed estetica di fisionomia».

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«La Donna», n. 3, 5 febbraio 1905

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Quattro anni dopo, come è tristemente noto, Filippo Tommaso Marinetti mette fra gli undici punti fondanti, nel celeberrimo Manifesto, il «disprezzo della donna».

«Gli risponde Valentine de Saint-Point» racconta Mariani «con il Manifesto della donna futurista (1912) e il Manifesto della Lussuria (1913), rivendicando la capacità femminile di combattere e amare fisicamente e invitando gli uomini alla collaborazione».

Nella sezione di immagini, una cinquantina di rarità permettono di visualizzare ciò di cui si narra: non mere illustrazioni, ma ulteriore livello di significazione, tanto evocativo quanto misterioso.

Come accennato, Laura Mariani dedica ampi approfondimenti a Carlotta Marchionni, Adelaide Ristori, Giacinta Pezzana ed Eleonora Duse. Ciascuna di loro incarna una diversa tappa dell’evoluzione della figura dell’attrice e, più in generale, del ruolo della donna nella società, ottocentesca et ultra.

Il percorso artistico e biografico di queste quattro donne di teatro permette di osservare l’evoluzione della condizione femminile nel XIX secolo: Marchionni inaugura una nuova idea di recitazione che apre la strada a una rappresentazione più autentica delle donne; Ristori dimostra che un’attrice può essere anche un’imprenditrice di successo, gestendo la propria carriera con intelligenza e determinazione; Pezzana è la prima a legare esplicitamente la sua arte all’impegno politico e sociale per le donne; Duse («la più grande», nelle parole di Mariani) rompe definitivamente con i modelli tradizionali, imponendo una nuova immagine di donna-artista intraprendente e indipendente.

A lungo si potrebbe continuare.

Ma voglio evitare il rischio di uno svilente riassunto.

Soprattutto non voglio precludere, a chi leggerà questo libro, l’inebriante gusto della scoperta e la feconda fatica della riflessione: due elementi complementari di cui, tuttə, abbiamo un grande bisogno.

Per dirla ancora una volta, in conclusione, con Mariani (qui a proposito di Duse, ma si potrebbe opportunamente trasferire il discorso all’interezza di quest’opera): «offre non risposte o lezioni ma uno specchio per guardare dentro di sé e riflettere sulla propria condizione nel mondo».

Un curioso paradosso, questo radicale richiamo al qui e ora, per un libro che, a guardarlo grossolanamente, tratta di un tempo ormai passato e parrebbe destinato solamente a persone appassionate di Storia.

E invece.

Una bella capriola: bisogna saperla fare.

Bisogna volerla fare.

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Eleonora Duse, 1923, ph Alice Boughton, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Istituto per il Teatro e il Melodramma, Archivio Duse

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