La Rivoluzione di Andrea Chénier

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Parlando ‘politicamente’, per così dire, l’Andrea Chénier, (il) capolavoro di Umberto Giordano sul complesso libretto di Luigi Illica in scena al Teatro Carlo Felice, non è tanto “la rivoluzione che divora i suoi figli” come tradizione impone, quanto piuttosto, in reale paradosso, può essere vista come “i figli che divorano la loro rivoluzione”, in un copernicano ‘ribaltamento’ che pone al centro gli individui che navigano quello storico mare in tempesta di cui, però, non possono fare a meno per essere e diventare quello che sono.

Se il libretto di Illica, storicamente accurato nelle sue plurime fonti, traccia un quadro ‘verista’ della “Rivoluzione Francese”, nella evidente e anche violenta contrapposizione collettiva tra le classi, e anche singolare tra gli individui che le formano, è infatti la musica di Umberto Giordano che attua il ribaltamento trasfigurando i suoni, i contrasti narrativi e dunque ritmici, di quel contesto o scenario nelle ariose melodie del protagonista e dei coprotagonisti, così da renderle capaci di dare un senso non solo storico o storicizzante ma anche prima umano/psicologico e poi metafisico a quello stesso scenario.

Ciò che rende straordinario questo impasto, questo confronto tra drammaturgia forte e rivoluzione musicale è l’armonia che la rappresentazione riesce a raggiungere, tra istanze veriste che la narrazione contiene e la loro, per così dire, ‘traduzione’ musicale romantica che svela nel concetto di ‘amore e morte’ le istanze ultime di quella stessa narrazione.

Un’armonia che è nella musica ma che anche la trascende, facendosi linguaggio che ad entrambi gli aspetti rappresentativi riesce a riferirsi con una coerenza rara nella tradizione italiana che anche con il romantico Giuseppe Verdi faceva spesso delle notazioni librettistiche la semplice occasione, le fondamenta per costruire il concertato.

“Amore e morte” dunque, oltre la stessa rivoluzione storica, come la famosa citazione del wagneriano e post-romantico Tristano e Isotta in fondo suggerisce nei suoi riferimenti ultra-fisici e mistici.

Non solo icastici individui dunque (il poeta amante dell’umanità e della libertà, la nobildonna di una aristocrazia alla sua fine, il servo che si fa ribelle e proletario) dentro la Storia, anche marxianamente interpretata, ma individui che quella stessa Storia modifica, deforma e fa evolvere e che dunque della Storia si fanno interpreti (nel doppio senso di chi nella vita la porta in scena e di chi ne discerne senso e significati).

Una miscela ed un amalgama inconsueti, che guardano alla perfezione, e che non a caso meritò (nonostante le perplessità di critici e produttori verso qualcosa che non era da loro immediatamente ‘riconoscibile’) un istantaneo e meritato successo, un successo che, da quel 28 marzo 1896 dell’esordio, si è consolidato nel tempo ed è tuttora robusto.

Una complessiva ‘armonia’ (qui nel senso non solo musicale ma anche di compiuta espressione ‘scenica’) che l’allestimento del “Teatro Comunale di Bologna” e dell’ “Opéra Garnier Monte Carlo” riproposto a Genova, sa molto ben rappresentare, per una percezione dell’opera che è quasi un precipitarvi dentro non solo con i due sensi canonici (occhi e orecchie ovviamente) ma quasi con tutti i nostri cinque sensi che aprono il cuore e la mente.

A partire dalla regia di Pier Francesco Maestrini molto moderna e latamente cinematografica, non solo per l’utilizzo di video ma soprattutto per la capacità di costruire inquadrature senza deformare il ‘campo lungo’ sullo scenario, un po’ come le arie e gli assolo più famosi che nella partitura di Giordano non spezzano, neanche nei numeri chiusi, la continuità lirica o interrompono la fluidità della narrazione.

Le scene di Nicolàs Boni (che cura anche i video), le luci di Daniele Landi, i costumi di Stefania Caraggi e i ben eseguiti movimenti coregrafici di Silvia Giordano sono coerente corredo alla regia, contribuendo alla sua significatività.

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Una partitura elastica e sofisticata quella di Umberto Giordano, proprio per i legami ‘stretti’ con il dramma, che la concertazione del maestro Donato Renzetti valorizza a pieno nei suoi gorghi più significanti così da accentuare nell’atmosfera musicale complessa, così articolata e plurisemantica, una molto moderna immedesimazione dello spettatore.

Più che eccellente l’intero cast dei cantanti, ovviamente nei tre co-protagonisti (Fabio Sartori che è Andrea Chénier, Amartuvshin Enkhbat il sempre convincente baritono Carlo Gérard e Maria Josè Siri che è Maddalena di Coigny), i quali navigano con efficacia, tra quiete e tempesta, in quel mare musicale che costituisce e custodisce l’azione scenica, ma anche in tutti gli altri molto bravi e non secondari i suoi componenti.

A questo riguardo l’importanza del Coro nel suo ‘cantare’ quella stessa azione scenica (quel mare tempestoso della Storia) trova, come di consueto, nel complesso diretto da Claudio Marino Moretti la giusta sottolineatura, non solo nel canto ma anche nella sua prossemica e nel suo essere stabilmente in contro-scene che drammaturgicamente e musicalmente sottoscrivono e meglio significano l’autonoma espressione dei diversi protagonisti.

Uno spettacolo di altissima qualità dunque, capace appunto di ‘armonizzare’ sul palcoscenico tutti gli elementi più significativi della narrazione drammaturgica e musicale, tra immedesimazione e giudizio.

In un teatro Carlo Felice sold out alla prima del 6 febbraio, con applausi a scena aperta e lunghissimi minuti di ovazione alla fine.

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Andrea Chénier. Dramma storico in quattro quadri di Umberto Giordano, libretto di Luigi Illica. Allestimento della Fondazione Teatro Comunale di Bologna e dell’Opéra Garnier Monte-Carlo. Personaggi e interpreti: Andrea Chénier Fabio Sartori, Carlo Gérard Amartuvshin Enkhbat, Maddalena di Coigny Maria Josè Siri, La mulatta Bersi Cristina Melis, La contessa di Coigny, Siranush Khachatryan, Madelon Manuela Custer, Roucher Nicolò Ceriani, Fléville Matteo Peirone, Fouquier Tinville Marco Camastra, Mathieu Luciano Roberti, Un incredibile Didier Pieri, L’abate Gianluca Sorrentino, Il maestro di casa Franco Rios Castro, Dumas Angelo Parisi, Schmidt Andrea Porta. Maestro concertatore e direttore Donato Renzetti, Regia Pier Francesco Maestrini, Scene e video Nicolás Boni, Costumi Stefania Scaraggi, Coreografia Silvia Giordano, Luci Daniele Naldi. Orchestra, Coro e Tecnici dell’Opera Carlo Felice Genova. Maestro del Coro Claudio Marino Moretti. Balletto Fondazione Formazione Danza e Spettacolo “For Dance” ETS.

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Ho conseguito la Laurea in Estetica al DAMS dell'Università di Bologna, con una tesi sul teatro di Edoardo Sanguineti, dando così concretezza e compimento alla mia passione per il teatro. A partire da quel traguardo ho cominciato ad esercitare la critica teatrale e da molti anni sono redattrice e vice-direttrice di Dramma.it, che insieme ad altri pubblica le mie recensioni. Come studiosa di storia del teatro ho insegnato per vari anni accademici all'Università di Torino, quale professore a contratto. Ho scritto volumi su drammaturghi del 900 e contemporanei, nonché numerosi saggi per riviste universitarie inerenti la storia della drammaturgia e ho partecipato e partecipo a conferenze e convegni. Insieme a Fausto Paravidino sono consulente per la cultura teatrale del Comune di Rocca Grimalda e sono stata chiamata a far parte della giuria del Premio Ipazia alla Nuova Drammaturgia nell'ambito del Festival Internazionale dell'eccellenza al femminile.

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