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C’è un racconto di Jorge Luis Borges che si chiama Le rovine circolari.
È la storia di un uomo che vuole a tutti i costi padroneggiare la pratica del sogno e, con pazienza e disciplina, si esercita tentando di controllare l’incontrollabile, di mettere ordine nel caos del mondo onirico e di plasmarlo secondo la sua volontà.
Il protagonista di The Barnard Loop, spettacolo di DispensaBarzotti e Teatro Necessario visto al Teatro Giovanni Testori di Forlì, si trova in un certo senso, nella stessa situazione. Tutto inizia quando si infila a letto. Da quel momento il mondo che lo circonda si scatena in un caos surreale dove tutto è possibile (fuorché riuscire a dormire).
Luci che si accendono e spengono, lampadari che si abbassano e alzano, piante che si muovono e diventano umane, telefonate nel cuore della notte, arti fantasma, esplosioni, facce di mostri che ti osservano mentre dormi. E ancora: palline da tennis che escono dallo schermo della televisione, caffettiere che non esauriscono il caffè, personaggi che si tuffano dentro a una valigia. Queste sono solo alcune delle mille trovate con cui gli autori mettono in scena il nonsense surreale del mondo onirico.
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Alessandra Ventrella, regista dello spettacolo, costruisce un complesso sistema di scatole cinesi e dentro ad ognuna nasconde una sorpresa, una gag, un effetto speciale. Il ritmo dello spettacolo è frenetico, quasi parossistico, lasciando lo spettatore senza fiato, un po’ per le risate e un po’ per quell’angoscia legata alla perdita di controllo che si sente, a volte, sognando.
Dopotutto non è facile mantenere il controllo di uno spettacolo del genere, in primo luogo per chi lo fa. Luci, lampadine, fiamme, petardi, oggetti in volo, lanci, movimenti concertati, cambi d’abito, cambi di persona, sono troppi per poterli gestire perfettamente. Così capita spesso, ed è capitato anche nella replica a cui ho assistito, che qualche cosa non funzioni e che qualche scena salti.
Normalmente, questo sarebbe un problema.
Ma la prospettiva di Alessandra Ventrella è diversa, non ha pretese sulla materia a cui sta dando forma, dunque non si preoccupa di quello che non funziona. Si limita ad aprire una finestra su un mondo, quello del sogno, e su un meccanismo, quello spiazzante e simbolico del surreale, e ad alimentarlo perché possa continuare a vivere per il tempo della rappresentazione. Tanto che, in un breve dialogo dopo lo spettacolo, mi racconta che sta pensando a nuove scene e nuovi personaggi da inserire.
È la stessa prospettiva che impara ad avere il protagonista del racconto di Borges, il sognatore. Dopo ripetuti fallimenti capisce di non poter controllare il mondo del sogno e cambia metodo. Si rilassa, si lascia andare e lascia che sia il sogno a entrare in dialogo con lui, a suggerirgli l’immagine di un cuore, davanti al quale il sognatore rimane spettatore. Dice Borges: “non lo toccava: si limitava ad esserne testimone, a osservarlo, talvolta a correggerlo con lo sguardo. Lo percepiva, lo viveva, da molte distanze e sotto molti angoli”.
Jorge Luis Borges conosce bene il sogno. E la realtà, sembra dire in tutti i suoi scritti, non è molto diversa.
Certo, a prima vista sembra più razionale e meno assurda, ma ne abbiamo, in fondo, il controllo?
The Barnard Loop è uno spettacolo per i piccoli. Non solo i bambini, ma tutti quelli che ancora sono in grado di riconoscersi in un nessuno che nulla sa con certezza, in un piccolo punto nell’immensità dell’universo, che non può dare forma alla realtà del proprio sogno ma che può viverlo da molte distanze e nuove prospettive.
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