Visto da noi: Dieci modi per morire felici

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E se Amleto, anziché un dramma, avesse preparato per lo zio Claudio una sessione di gioco di ruolo?

È più o meno quello che prova a fare Emanuele Aldrovandi con Dieci modi per morire felici (visto al Teatro Piccolo di Forlì il 5 febbraio 2025) un gioco di ruolo sul palcoscenico del teatro, che ci mette davanti delle vite, da guardare come fossero la nostra, per acquisire consapevolezza delle nostre azioni.

L’esplorazione delle dinamiche del gioco è al centro anche del suo precedente spettacolo Farfalle, nel quale, in una cornice più classica di narrazione, due sorelle si sfidavano, nel corso di tutta la vita, ad un gioco di ordini e obbedienza spinto ai limiti estremi.

Dieci modi per morire felici non è come Farfalle. Non viene narrata una storia, ma, semplicemente, si gioca.

Tuttavia anche qui, come in Farfalle, il gioco ha una punta di sadismo, legata alla sensazione di poter controllare la vita di qualcun altro: il pubblico per alzata di mano decreta successo o fallimento delle azioni di chi è sul palco.

Il master del gioco, l’attore Luca Mammoli, coordina il tutto in modo asciutto, tenendo un ritmo costante e rapido, che mantiene lo spettacolo in un tempo compreso tra un’ora e un’ora e mezza. È assistito da un Generatore Casuale di Possibilità, che ci viene presentato come una sorta di intelligenza artificiale in grado di rispondere a tono. Qualcuno nel pubblico lo paragona a ChatGpt. A me viene in mente il motore a improbabilità infinita della Cuore D’Oro di Douglas Adams.

Di seguito descriverò lo spettacolo, in modo sintetico, proprio come se fosse un gioco da tavolo.

Preparazione del gioco:

Chiamare sul palco dieci spettatori, estratti a caso.

Far scegliere a ciascuno un nuovo nome.

Assegnare a ciascuno una caratteristica innata (bellezza, intelligenza, creatività, ricchezza, povertà, estrema povertà, nessuna).

Regole di base:

Un turno equivale al salto di uno o più anni.

Ad ogni anno che passa i giocatori consumano un gettone energia (un fiore bianco) gettandolo nel fiume del tempo (una pozza d’acqua di cui lo spettatore in platea difficilmente riesce a percepire la presenza).

Quando un giocatore termina i gettoni bianchi, muore.

Le scelte:

Nel corso degli anni ai giocatori vengono proposte delle scelte. Ad esempio se fare domanda per l’università o per una certa occupazione. Se scelgono di agire, spendono un certo numero di gettoni energia e, in caso di successo, guadagnano un certo numero (a piacere, secondo una scelta soggettiva) di segnalini felicità.

Gli imprevisti:

Di tanto in tanto intervengono degli imprevisti (un lutto, un licenziamento, la pensione…) che fanno perdere o guadagnare segnalini felicità.

Vittoria:

La condizione per la vittoria, per ogni singolo giocatore, è che, al momento della morte (che è inevitabile) si abbia raggiunto il massimo di segnalini felicità.

Tuttavia il gioco non termina quando tutti e dieci i giocatori sono morti.

La vita, ci viene detto, va avanti anche quando non c’è più nessuno a viverla.

Così, nel tabellone, vengono mostrati i numeri degli anni che continuano a scorrere, sempre più veloce, alternandosi a un elenco di imprevisti, situazioni, scelte che possono capitare nel corso della vita. E questa è la fine.

Lo spettacolo ha tutte le caratteristiche e i pregi del gioco di ruolo e, in quanto tale, permette effettivamente di avere una visione dall’esterno di una vita umana nel suo complesso (favorendo l’introspezione e l’autocritica) e di mettersi nei panni di qualcun altro (sviluppando empatia e consapevolezza dei problemi che affliggono altre fasce sociali).

Tuttavia in questo secondo aspetto è abbastanza limitato, in quanto mostra solamente una faccia della società globale odierna, corrispondente a quella italiana/europea, con una breve parentesi su un personaggio del continente africano che però viene, in pochi turni, trasferito in Italia dove ha sviluppi analoghi a quelli degli altri giocatori.

Inoltre la narrativa appare, in certi casi, fortemente pilotata, chiaramente rispondendo all’esigenza di contenere le tempistiche e le possibili ramificazioni del gioco, ma semplificando forse troppo la complessità del tema (la vita umana) e diminuendo l’efficacia del processo di empowerment.

L’elemento forse più interessante è il commento post eliminazione di ciascuno dei giocatori. Al momento di congedarli, viene loro chiesto che cosa rimpiangono di questa partita, come avrebbero giocato diversamente, quali consigli si sentono di poter dare, eccetera. In questo modo condividono con il resto del pubblico un feedback utile e, a volte, sorprendente.

Nel suo complesso si può dire che la performance appaia più vicina ad un format televisivo (o social) che teatrale, mettendo in piedi un vero e proprio show dove lo spettacolo sono i concorrenti stessi che si destreggiano tra sfide e scelte.

Proprio per questo, per quanto inaspettato e originale all’interno del contesto teatrale, sembra essere molto apprezzato dal pubblico, sempre più abituato a fruire di prodotti e contenuti di questo tipo.

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