Non si può parlare di un solo movimento femminista.
Nella storia le battaglie delle donne sono cambiate in relazione all’evolversi della società.
Se alla fine dell’Ottocento e nei primi del Novecento l’obiettivo era il raggiungimento della parità giuridica fra uomo e donna: diritto all’istruzione, diritto di voto, di partecipazione alla vita pubblica, diritto al lavoro, dal 1968 in poi, con il diffondersi dei collettivi femministi, l’attenzione si sposta sulle differenze di genere e sulla diversità del pensiero femminile rispetto al maschile e sopratutto su obiettivi fondamentali come l’aborto e il divorzio. I temi affrontati erano trasversali legati alla consapevolezza dell’essere donna nella gestione del proprio corpo, dell’espressione del desidero, o nella scelta di essere madre o di non esserlo.
Dagli anni Novanta l’universo femminile si frantuma in una miriade di differenze che tengono conto dei contesti sociali, culturali, di orientamento sessuale, della violenza di genere, fino ad arrivare ad oggi dove il femminismo è diventato una questione di linguaggio, spostando, forse un po’ troppo, dalla sostanza alla forma e frammentando la lotta. I dati statistici purtroppo mostrano ancora un quadro impari. Pare che la donna – sopratutto in Italia – ancora faccia fatica a conciliare ruoli di responsabilità e famiglia, che comunque abbia ancora stipendi generalmente bassi: basti pensare che in Europa le donne guadagnano il 16% in media in meno rispetto agli uomini e che solo il 7,7% degli amministratori delegati e il 7,5% dei presidenti dei consigli di amministrazione sono donne.
A Faenza fino al 30 marzo, alla Galleria della Molinella, all’interno del Sorelle Festival, un’interessante mostra fotografica dal titolo “Memorie e lotte del femminismo a Faenza” , a cura di Veronica Bassani e Manola Dapporto, racconta la nascita e lo sviluppo del movimento femminista a Faenza alla metà degli anni Settanta. L’aspetto ancora più interessante è il processo di nascita della mostra che ha raccolto il materiale documentario grazie ad un appello lanciato sui giornali e sui social per la ricostruzione di un archivio fotografico.
“Dopo aver celebrato le Rivoluzionarie nell’edizione 2024, quest’anno il festival voleva esplorare il significato della libertà conquistata: libere di scegliere, di sognare, di creare. – spiega Veronica Bassani – Ma anche consapevoli che la libertà è un processo continuo, fragile e prezioso, che deve essere custodito e alimentato ogni giorno. Quest’anno per la sesta edizione di Sorelle Festival il tema scelto è stato ‘Scatenate’, un inno alla libertà e all’autodeterminazione: non solo lotta, ma vita; non solo resistenza, ma espressione. Perciò ci siamo chieste che cosa hanno fatto le nostre antenate per liberarsi dalle catene? Mentre stavamo creando la mostra per il comune di Gambettola abbiamo scoperto dalla gallerista Dimitra che negli anni ’70 viveva a Faenza e aveva delle foto dell’epoca, io molto incuriosita le ho chiesto se poteva raccontarci di più e mi ha consigliato di cercare un’amica e una compagna dell’epoca: Manola. Ho iniziato a cercarla e chiacchierando con lei, ho scoperto un mondo che non era mai stato raccontato, una prospettiva inedita della nostra città una Faenza Femminista, combattiva che insieme a tutti i movimenti studenteschi e anarchici di quegli anni hanno segnato un’epoca. Non solo nelle grandi città, ma anche in provincia”.

Ma come come si è sviluppata l’idea dell’appello?
“Il linguaggio di Sorelle Festival è da sempre quello della cultura e degli eventi culturali, perciò è stato molto naturale scegliere di raccontare questa scoperta attraverso una mostra, meno naturale avere i materiali. Infatti dopo il momento di grande libertà e condivisione che aveva caratterizzato gli anni ’70 è iniziato il momento della violenza, della repressione di quello che erano stati quei bagliori e luminosi e tutta la lotta fatta è finita per diverso tempo in fondo ai cassetti, alle cantine, lontano dalla memoria collettiva. Per prima cosa abbiamo chiesto al Comune di Faenza, alla Biblioteca Manfrediana e ai musei della Romagna Faentina, ma nessuno di questi aveva un archivio dedicato ai movimenti degli anni ’70 da consultare, così è arrivata l’idea di lanciare un open call sui giornali oltre che il passaparola. Nel giro di poco grazie soprattutto a Manola, Dimitra, Rita, Mimma, Mariagrazia e Renzo siamo riuscite a raccogliere tanto materiale, molto più di quello che ci aspettavamo tra riviste storiche, foto, diapositive, articoli, ciclostili e un manifesto originale del 1981. E’ stata una grandissima gioia condividere con tutte le ragazze degli anni ’70 questo scambio che è diventata una vera e propria merenda femminista di scambio, racconti e memorie. Abbiamo fatto una preview presso la bottega Bertaccini, abbiamo portato le testimonianze nelle scuole superiori durante le cogestioni del Liceo Torricelli-Ballardini e presso Istituto tecnico Oriani. Infine la mostra, un inizio di linea del tempo che racconta gli avvenimenti dal 74 al 81 a Faenza tra sitting, azioni collettive e manifestazioni di piazza. Qualcosa che neanche immaginavamo è passato da Faenza il Living theatre con la performance l’Urlo, ancora, le manifestazioni con i sindacati per salvare l’Omsa, richiedere l’aborto e la libertà di scelta sui propri corpi. Il motto di quegli anni ‘’il personale è politico’’ ha preso letteralmente forma sotto i nostri occhi con quelle immagini, quei girotondi, quegli alberi di natale di protesta improvvisati con le stoviglie.

Cosa avverrà dopo la mostra? Ci sarà un proseguimento del progetto?
“Sono davvero grata di questa scoperta e ricerca e credo che tutto questo materiale raccolto continuerà a vivere attraverso una piccola pubblicazione forse spero un centro di documentazione permanente, un archivio vivo per intenderci che continui a raccogliere e raccontare quegli anni a tutti noi. Alle prossime generazioni e ricordandoci che le libertà che chiediamo oggi erano le stesse che chiedevano le nostre sorelle, le nostre ‘antenate’ qualche anno fa e ancora oggi non sono state pienamente raggiunte. Siamo vigili, siamo qui e non ce lo dimenticheremo continueremo a raccontarlo e a scendere in piazza se necessario. Sorelle festival terminerà il 30 marzo ma sicuro prevederemo degli off in collaborazione con il centro antiviolenza di Faenza SOS donna e tutte le persone che vorranno partecipare a continuare la nostra storia di cura, di lotta e sorellanza”.
Quando e come è nato il movimento a Faenza?
“Il collettivo femminista a Faenza si è costituito tra il 1974 e 1975, – continua Manola Dapporto – su iniziativa spontanea di un gruppo di donne presenti ad una conferenza con la partecipazione della scrittrice Dacia Maraini. Il contesto generale nel quale il movimento femminista entra a far parte della scena pubblica è l’Italia degli anni settanta, un paese che ha perso la seconda guerra mondiale e sta affrontando una riconversione a tappe forzate dall’economia rurale a quella capitalistica.
Questo processo genera una forte conflittualità politica sostenuta da una critica radicale che le generazioni che si stavano formando nelle università, grazie alla liberalizzazione degli accessi, rivolgevano alle classi dominanti e al loro modello di società. Il movimento studentesco, da cui prenderanno vita nuove formazioni politiche di sinistra, fu protagonista di una contestazione radicale alla società capitalistica ma la critica al modello sociale non riguarderò mai il rapporto fondamentale sul quale si reggeva la società: la famiglia e la divisione dei ruoli fra uomo e donna all’interno di essa. Sarà il movimento delle donne a cogliere e sottoporre a critica questo nodo fondamentale, e le donne, non trovando spazio per sviluppare una discussione su questi temi all’interno delle nuove formazioni politiche, sceglieranno la strada di costituirsi in un proprio movimento”.
Quali sono state le iniziative, anzi le battaglie più importanti che avete seguito?
“La battaglia più significativa, che ha visto protagonisti i collettivi femministi è stata quella per il riconoscimento legale del diritto di aborto. Una legge conquistata nel 1978 e riconquistata nel 1981 con la vittoria nel referendum che ne proponeva l’abrogazione. Una battaglia doppiamente significativa: da un lato rendere legale e assistito l’aborto, dall’altro , e questo è certamente l’aspetto più rivoluzionario, sancire il principio di autodeterminazione delle donne. Una conquista fondamentale sul piano legislativo ma altrettanto impegnativa sul piano pratico della vita quotidiana e dell’accettazione sociale”.
Quali sono le differenze tra gli anni settanta e oggi?
2Negli anni settanta sono state approvate le grandi leggi di riforma sociale che hanno trasformato il nostro paese in uno stato moderno, ma i tempi del cambiamento dei costumi, dell’abbandono di tradizioni e mentalità consolidate, e delle consuetudini sociali sono assai più lenti e tortuosi. Mettere in discussione la sfera della vita privata nel dualismo dei ruoli assegnati all’uomo – vita pubblica e sociale – alla donna vita privata e riservata, era troppo rivoluzionario e i contraccolpi e le resistenze sarebbero state inevitabili. Una battaglia ancora in corso, da compiere perché i cambiamenti dei modelli sociali non si realizzano solo a colpi di legge ma seguono il tempo lento della storia, delle generazioni e della sedimentazione di nuovi modelli di vita. Le battaglie delle anni settanta sono già entrate nella vita delle donne contemporanee tuttavia la presa di coscienza da parte delle donne di essere soggetti della società non dovrebbe sfociare in una competizione fra generi o in forme di emulazione del modello maschile, e viceversa. La differenza dei generi non è un ostacolo da superare e non deve tradursi in contrapposizione, anche violenta, la differenza è un valore (tutte le differenze lo sono), e le donne dovrebbero fondare la stima di sé nel rispetto di tale valore”.
Oggi quali sono gli obiettivi di una lotta femminista?
“Gli obiettivi del femminismo oggi come ieri sono sempre gli stessi: farsi soggetto nella vita privata come in quella pubblica, nell’accoglienza e rispetto delle reciproche differenze. Pari opportunità sì ma anche pari dignità e rispetto. E’ questa la battaglia che dovrebbe unire e impegnare le donne oggi. Essere unite è una forza, lo hanno dimostrato le donne degli anni settanta e ancor prima le suffragette che subirono la violenza e il carcere per ottenere il diritto di voto. Utopia?. Forse ma io credo che le utopie anche se realizzate in parte o in modo diverso da quello immaginato possano essere una guida a condizione di essere sempre sottoposte a dubbio e critica”.