Dopo Brucia la notte (2023), è da poco uscito per Mondadori S’infiammano le stelle, il secondo e ultimo libro della breve saga distopico-fantasy ambientata in Emilia-Romagna, scritta a quattro mani dalle autrici Michela Monti e Tiffany Vecchietti.
La vicenda, tra distopia, magia e folclore, avviene in un futuro alle prese con la crisi climatica e un regime politico intollerante e violento, e vede protagoniste quattro giovani donne con caratteri e personalità diverse ma accomunate da un profondo desiderio di ribellione a un potere corrotto e ingiusto. Una scelta formale e stilistica per arrivare a un pubblico ampio e diversificato facendolo confrontare, attraverso una storia coinvolgente e leggera, con questioni urgenti del presente, con l’intento di accendere in lettori e lettrici domande e riflessioni.
Prima di addentrarci nel secondo libro della dilogia, dove ci aveva lasciati Brucia la notte, chi sono e dove agiscono le protagoniste?
«La nostra storia è una distopia fantasy ambientata in Romagna – racconta Michela Monti – nelle strutture e nelle architetture più iconiche, interpretandole in contrapposizione rispetto a quello che hanno rappresentato storicamente. Le saline di Cervia sono diventate un campo di lavoro – il sale è l’unica fonte di energia rimasta sulla terra -; Dozza, antica sede vescovile in cui gli eretici venivano portati per essere convertiti, l’abbiamo trasformata in un presidio di ribellione; San Marino, Repubblica indipendente con un’economia sviluppata e tutelata, è invece una sede anarchica. Le protagoniste sono quattro ragazze (Ani, Bianca, Ebe, Gizem) e si trovano nel tempio di Valadier, realizzato dalla Chiesa e scavato in una montagna, divenuto nel nostro libro un focolare di ribellione in cui le nostre personagge vengono accolte dopo aver scampato la morte nelle grotte di Santarcangelo per aver salvato una popolazione che si era rifugiata lì. Da quel momento le quattro protagoniste rischiano di essere arrestate e di subire un pesante processo».
Arriviamo quindi al secondo libro, S’infiammano le stelle: dove ci porta e quali temi vengono affrontati?
«Entrambi i volumi hanno come obiettivo principale quello di capire come poter fare una rivoluzione. Credo che nel secondo libro questo tema sia presente in maniera ancora più forte, unito a una profonda ricerca personale: le quattro protagoniste, infatti, portano avanti quattro modi diversi di affrontare la battaglia, che è al tempo stesso individuale e collettiva. I lettori e le lettrici si trovano dunque a confrontarsi con opinioni, sensazioni ed emozioni di quattro donne differenti, che vivono e affrontano la ricerca e l’inseguimento dei propri obiettivi intrecciandoli al desiderio e all’urgenza di un cambiamento del contesto generale».
Mi sembra che questi aspetti emergano già dai titoli, Brucia la notte e S’infiammano le stelle, entrambi con un chiaro riferimento al fuoco, un elemento che ha una connotazione positiva e negativa al contempo: illumina e scalda, ma anche incendia e distrugge. Cosa ci rivelano, dunque, questi due titoli rispetto ai temi e alla storia narrata?
«I due titoli li abbiamo scelti affinché fossero profondamente collegati, quasi a sembrare un canto: da qui Brucia la notte, S’infiammano le stelle. Per quanto riguarda il fuoco, se interpretato sotto un punto di vista esoterico, è un elemento purificatore e, nella figura della fenice, è anche simbolo di rinascita. Il significato negativo di questo elemento che divora e distrugge lo abbiamo voluto rendere di segno positivo: nella storia ciò che va bruciato e polverizzato è la parte brutta e sbagliata del mondo che va cambiata per ricominciare e ricostruire».
Quando e come è nata l’idea di scrivere questa storia a quattro mani?
«Io e Tiffany siamo amiche da diversi anni, ma non avevamo mai parlato di lavorare insieme. Un giorno lei mi scrive di aver fatto un sogno, ed è inusuale perché Tiffany è notoriamente insonne, in cui un gruppo di streghe inseguiva delle guardie e dei militari e li picchiavano lungo un litorale. Io istintivamente le dico di conservare questo sogno. Poi qualche giorno dopo le invio un prologo a una storia che poi non ho mai continuato, scritto molto tempo prima, in cui parlavo del sale. Da qui è cominciato tutto, associando il sogno di Tiffany al mio breve scritto e l’ambientazione a Cervia è venuta in automatico, ragionando sul sale come unica risorsa rimasta sulla terra. Abbiamo così provato a immaginare quale potesse essere il regime contestato da queste streghe e quali potessero essere le situazioni che avrebbero poi portato a una rivoluzione. Dopo mille appunti, ci siamo rese conto che stavamo costruendo una storia che andava a toccare molti temi a noi cari, dal cambiamento climatico alla cura delle persone, dall’urgenza di ritrovare il valore dell’ascolto e del confronto comunitario. Ci interessava trattare queste questioni in maniera originale e, da sempre attratte dal folclore romagnolo, ci è sembrato un buon modo per rendere l’ambientazione vicina e lontana al contempo, collocando il fantasy a casa nostra per vedere quanto può pungolare gli animi».
Distopia, fantasy e folclore romagnolo. Quali sono le vostre fonti d’ispirazione?
«Sia io che Tiffany siamo grandi fan delle antiche fole romagnole, perciò inizialmente abbiamo attinto da queste divertendoci molto. Abbiamo scelto di far riferimento a figure poco note, come la Piligrèna, una creatura che nasce dalla tradizione dei fuochi fatui, colei che si aggira per i cimiteri portando via le anime. Nella nostra storia le abbiamo dato una connotazione positiva, parte integrante della comunità. Lo stesso vale per la figura della Striga, che nel libro incarna la ribellione in quanto donna non conforme alle regole. Poi abbiamo ripreso la tradizione del trebbo, ovvero il raduno serale che avveniva nelle campagne tra lavoratori, un momento assembleare tipico di molte altre zone d’Italia, che venne spesso condannato dai governi perché si temeva potessero diventare sedi di complotto e ribellione contro il potere».
Per quanto riguarda invece il genere distopico e fantasy avete qualche particolare riferimento letterario o cinematografico?
«Difficile indicarne di precisi, perché siamo entrambe due divoratrici di libri e abbiamo una storia da lettrici diversa, perciò ognuna ha attinto dalla propria personale esperienza. Di certo come riferimenti comuni a cui ci siamo ispirate ci sono Ursula Le Guin e Angela Carter, mentre per l’Italia guardiamo a Nicoletta Vallorani, Laura Pugno o Violetta Bellocchio».
Che cosa vi ha spinto a scegliere il genere distopico e fantasy per affrontare tematiche così concrete e complesse, specie in un momento storico in cui arte e letteratura tendono a restare ancorate al reale? Che tipo di valore aggiunto ha il fantastico oggi per voi?
«Il valore aggiunto sta nella possibilità di rendere certe tematiche fruibili a un più ampio numero di persone. Per la saggistica o per la narrativa calata nel reale, è spesso complicato affrontare alcune questioni scomode e renderle comprensibili a tutti e tutte; inserire invece una realtà in un contesto distopico-fantasy permette al lettore di astrarsi e godersi la storia, e a noi autrici di osare opinioni più forti e radicali. In questo modo credo si possa arrivare anche a coloro che costruirebbero un muro spesso e impermeabile se certe questioni fossero riportate nel reale in modo schierato e netto».
A tal proposito, chi è il vostro pubblico ideale?
«Una distopia fantasy, scritta a quattro mani da due donne e ambientata in territorio italiano è qualcosa di inusuale per l’editoria nazionale. Non abbiamo dunque preso realmente in considerazione quali potessere essere il nostro lettore e la nostra lettrice ideali, ma abbiamo puntato sulla storia che volevamo raccontare con l’auspicio di arrivare a quante più persone possibili».
L’altro aspetto originale di questa dilogia, come hai appena accennato, è la scrittura a quattro mani. Come avete lavorato?
«Non avevamo mai lavorato prima insieme, ma nonostante tutto ci siamo trovate molto bene, facendo combaciare le nostre maniacalità e le nostre due scritture molto diverse. Io per esempio ho bisogno di una pagina che sia musicale, con parole che hanno un ritmo e siano di semplice lettura, lineare e con i giusti accenti. Tiffany invece spinge molto sui concetti e sulle descrizioni, perciò ci completiamo. Tuttavia, è stato essenziale fare un lavoro preliminare di progettazione per portare a compimento la scrittura a quattro mani e per questo ci è voluto diverso tempo prima di trovare il nostro metodo. Abbiamo allora iniziato dalla stesura d un canovaccio, che poi abbiamo riscritto insieme parola per parola al fine di creare uniformità a ciò che volevamo dire. Con il secondo libro è stato più facile perché il metodo ormai lo avevamo consolidato».
La storia della dilogia si chiude qui o ci saranno altri racconti spin-off? Quali altri eventuali progetti futuri?
«Abbiamo voluto chiudere la storia in una dilogia perché crediamo che il finale di S’infiammano le stelle riesca a sviscerare gli argomenti di cui volevamo trattare dando ai lettori e alle lettrici gli strumenti utili per farsi un’opinione. Non abbiamo infatti mai voluto proporre soluzioni o risposte, ma aprire domande. Abbiamo moltissimi altri progetti, anche più articolati: si tratta ora di puntare su uno dei tanti germogli che intendiamo far sviluppare…»