‘Libia’, il graphic journalism a teatro

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foto di Dario Bonazza

Era il 2019 quando i reportage realizzati in Libia dalla giornalista Francesca Mannocchi sono diventati un’opera di graphic journalism, Libia, grazie al segno di Gianluca Costantini, disegnatore vincitore nel 2019 del Premio “Arte e diritti umani”  di Amnesty International.
Nello stesso anno, la compagnia teatrale
ErosAntEros – ovvero Agata Tomšič e Davide Sacco – sta analizzando e studiando le dinamiche socio-politiche ed economiche dell’UE per lo spettacolo Confini, quando incontra questo reportage illustrato e scelgono di trasporlo, senza tradirlo, in un’opera teatrale. Ne nasce uno spettacolo di voci, musica e illustrazioni animate che, dopo il debutto nel 2022, torna di nuovo in scena il 21 marzo 2025 all’Oratorio San Filippo Neri di Bologna, mostrandosi ancora drammaticamente attuale. 

Come e quando avviene il vostro incontro con l’opera di Graphic Journalism di Gianluca Costantini dai reportage di Francesca Mannocchi? 

Agata Tomšič : «Con Gianluca Costantini ci conosciamo professionalmente da diversi anni, una delle prime collaborazioni risale alla Stagione 2015/16 con la produzione di Allarmi!,  e poi il lavoro insieme è proseguito per altre creazioni, tra le quali Sconcerto per i diritti, una pièce che analizzava la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea denunciando il fatto che molti degli articoli non vengono rispettati. Quando Libia viene pubblicato era il 2019 e noi stavamo lavorando a Confini, uno spettacolo nato da una ricerca attorno al concetto di “confine” e che si interrogava sulla questione migratoria tra passato e futuro e sulle dinamiche economico-politiche dell’UE. Immersi dunque in questa ricerca e attenti alle creazioni di Gianluca, abbiamo letto Libia e quello che ci ha subito colpito è stata la capacità di questo oggetto di affrontare argomenti complessi e drammaticamente attuali in una maniera semplice, diretta e accessibile a tutti, un ideale a cui puntiamo anche nei nostri lavori. Così, esattamente come aveva fatto Gianluca trasponendo in fumetto i reportage di Francesca Mannocchi, noi abbiamo chiesto ai due autori di poter tradurre l’opera di graphic journalism in uno spettacolo teatrale». 

Quali sono i nuclei tematici del reportage e in quale misura parlano ancora all’oggi?

Agata: «Il testo è composto da sei capitoli contenenti una serie di incontri fatti da Francesca Mannocchi sul territorio libico per conoscere, attraverso l’esperienza dei suoi abitanti, la Libia degli ultimi 15 anni, la rivoluzione e quali sono state le sue cause. Centrale è ovviamente la questione migratoria e il ruolo della Guardia Costiera Libica; ci si interroga anche se esista o meno la figura dello scafista. Sebbene dunque il reportage racconti fatti di qualche anno fa e lo scenario europeo sia diverso, i macro-temi sono ancora drammaticamente attuali, specie il capitolo in cui si parla dei rapporti internazionali tra la Libia e le altre potenze mondiali, che hanno alla base interessi meramente economici, privi di riguardo per le vite umane e causa principale delle guerre di ieri e di oggi.

Confrontarsi di nuovo con questo testo e rimettere in scena lo spettacolo mi ha fatto inoltre rendere ancora più conto di quanto la storia continui a ripetersi e che tutta la scia negativa del Novecento non sia affatto archiviata come speravamo. Forse non abbiamo la facoltà di essere incisivi in maniera immediata, ma è importante prendere coscienza di questo scenario, perché siamo tutti coinvolti. Come diceva Pasolini “l’innocenza è una colpa”».

Qual è stato il processo di adattamento dalla graphic novel al palcoscenico?

Agata: «Io ho curato l’adattamento del testo, ma le modifiche sono state minime: la nostra intenzione era mantenerci il più fedeli possibile, perciò abbiamo lavorato semplicemente per renderlo fruibile teatralmente. La particolarità del processo creativo è stata quella di costruire una partitura sonora e vocale che è poi diventata la struttura dello spettacolo, realizzata in sala prove da me, Davide, Yunes El Bouzari e Bruno Dorello. La traccia audio è stata poi affidata a Majid Bita e Michele Febbraio, allora due allievi di Gianluca Costantini dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, che hanno realizzato l’animazione grafica». 

Davide Sacco: «Abbiamo dunque preso i disegni di Gianluca chiedendo ai due animatori di trasformali in tavole video orizzontali che nello spettacolo scorrono sullo sfondo, mentre Agata, Yunes e Bruno danno voce e musica alle immagini. Non c’è dunque né azione né rappresentazione, è come se ci si trovasse di fronte a un film sonorizzato live, sebbene il processo di creazione sia avvenuto in maniera differente: prima è nata la partitura sonora a partire dal testo e poi l’abbiamo messa in relazione al video animato tratto dal fumetto». 

 

foto di Dario Bonazza

In questi giorni l’Oratorio Filippo Neri accoglie la rassegna ‘Lectura Mundi‘, una serie di incontri per riflettere su come si parla di accoglienza. Nelle scorse settimana all’Arena del Sole si è tenuto un dialogo su come cambiare il racconto della migrazione in occasione dello spettacolo A place of safety di Kepler-452 incentrato sull’esperienza delle ONG. Voi come contrastate il rischio di retorica nel trattare temi così attuali, complessi e molto discussi? 

Davide: «Nel caso specifico di Libia ci siamo affidati alla ricerca sul campo di una professionista come Francesca Mannocchi. Quello che abbiamo fatto, dunque, è stato semplicemente dare al suo lavoro un’altra forma, nell’intenzione di portare i temi affrontati nel reportage al nostro pubblico. In altre nostre creazioni che prendono in esame questioni politiche o di attualità, procediamo con un approfondito lavoro di ricerca, sia confrontandoci con materiali quali libri, saggi e articoli, sia raccogliendo interviste sul territorio. Quello che, in generale, con i nostri progetti cerchiamo di fare è di confrontarci con questioni che ci accendono e che sentiamo importanti da condividere con l’obiettivo ultimo di accendere una lente su un determinato tema per proporre un’occasione di riflessione. Si tratta anche di un modo per capire, noi in primis, qualcosa in più su alcuni fatti o questioni che magari ci colpiscono e sentiamo urgenti, ma che ancora non conosciamo abbastanza. Da qui infatti inizia il percorso di approfondimento per arrivare a costruirci intorno una forma». 

Siete prossimi alla nuova edizione di Polis Teatro Festival che, come negli anni precedenti, ha anch’esso una forte impronta politica. Cosa ci dobbiamo aspettare quest’anno? 

Davide: «Polis si è ormai configurato come una rassegna internazionale che ogni anno la dedichiamo a una specifica area geografica e per il 2025 abbiamo organizzato l’Iberian focus. Accogliamo perciò compagnie, produzioni e artisti provenienti da Spagna e Portogallo, ma anche italiani e europei che propongono spettacoli connessi a queste zone. Gli spettacoli del focus sono in programma dal 6 all’11 maggio, ma prima, il 2 e il 3 maggio, è in calendario un prologo: si tratta di una nuova sezione del festival, Polis Neon, che vede in programma quattro creazioni di artisti italiani under 35, con accanto ascolti musicali e incontri dedicati ai nuovi linguaggi della scena contemporanea.

Agata: «“Neon” in greco significa “giovane” ma rimanda anche a qualcosa che fa luce: abbiamo scelto perciò questo gioco di parole per mettere in evidenza come questa sezione si concentri sul dare spazio alla scena nata dopo il 2000 e che realizziamo anche grazie al bando SIAE Per Chi Crea, un’opportunità che ci ha permesso di programmare nel festival giovani artisti che altrimenti non avremmo potuto inserire nel focus. 

Fra il 6 e l’11 ci saranno inoltre momenti di confronto e tavole rotonde, realizzate in collaborazione con l’Università di Bologna e con il Centro Europe Direct della Romagna, attorno ad alcuni spettacoli e tematiche, fra le quali il rapporto tra Europa e Africa tra ieri e oggi, che sarà occasione di riflettere anche sull’Italia, la sua politica e i suoi rapporti internazionali». 

 

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