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Venerdì scorso, 28 febbraio, Saverio La Ruina ha presentato al Teatro Goldoni di Bagnacavallo il suo storico spettacolo Dissonorata. Un delitto d’onore in Calabria.
Questo monologo “popolato”, che gli è valso tra gli altri riconoscimenti anche due Premi UBU nel 2007 per il Migliore attore italiano e per il Migliore testo italiano e il Premio Hystrio alla Drammaturgia nel 2010, dà forma scenica a un’artigianale capacità di cesellare la quotidianità attraverso una messa in scena tanto minimale quanto evocativa.
Non un racconto teatrale gridato o enfatico, come sempre più spesso capita di vedere: piuttosto una confessione dolente e sommessa, che fa del proprio tono dimesso la cifra espressiva più autentica.
La Ruina narra la storia di una donna calabrese che si trova vittima di un destino ineluttabile, segnato dalla cultura patriarcale e dalla violenza sociale, ma lo fa con una grazia e una misura che evitano ogni retorica o compiacimento drammatico.
Il risultato è un’opera intrisa di una delicatezza che lascia il segno.
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LA PUREZZA DEL CORPO E DELLA VOCE
La Ruina incarna questa figura femminile con una pulizia espressiva che colpisce per la sua essenzialità.
Seduto su una semplice sedia, l’attore costruisce la propria presenza scenica attraverso minimi spostamenti del corpo e un uso sapientemente dimesso della voce.
Il corpo esattamente calibrato, la postura studiata fino al dettaglio più minuto per restituire ogni sfumatura emotiva della protagonista.
Pone al centro la parola e al contempo la travalica, costruendo un’architettura espressiva fatta di sospensioni, accenti e respiri.
La scelta di un tono anti-epico, quasi dimesso, caratterizza la drammaturgia di Dissonorata. Il racconto si sviluppa senza enfasi o eccessi, seguendo una narrazione che suggerisce più di quanto non dichiari, affidandosi a una scrittura che scava nella quotidianità senza bisogno di ridondanti sottolineature.
La Ruina si e ci immerge in un universo fatto di piccoli gesti, di parole non dette, di silenzi che raccontano quanto e più delle parole.
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LA MUSICA COME SUGGESTIONE
Le musiche originali eseguite dal vivo da Gianfranco De Franco arricchiscono lo spettacolo senza mai sovrastarlo.
Gli interventi musicali sono rarefatti, discreti, funzionali a creare un’atmosfera, a sottolineare con levità alcuni passaggi, mai a imporsi sulla narrazione.
Questo equilibrio tra parola e suono è uno degli elementi che rendono Dissonorata così efficace: tutto è calibrato, in una ricerca di sottrazione che amplifica il valore della scena.
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UN UOMO CHE INCARNA UNA DONNA
La scelta di La Ruina di interpretare una figura femminile è una delle cifre peculiari dello spettacolo.
Senza ricorrere a travestimenti o forzature, l’attore riesce a rendere credibile il suo personaggio grazie a un lavoro minuzioso sulla postura, sul tono della voce, sulle sfumature della gestualità.
Non un semplice espediente teatrale, ma una presa di posizione artistica precisa: il teatro come spazio di metamorfosi, in cui i corpi diventano veicoli di storie e identità che travalicano il genere.
La Ruina non imita una donna ma ne restituisce l’essenza, con rispetto e sensibilità.
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COREOGRAFIE MUTE, SPAZI DI SOSPENSIONE
Le minimali coreografie mute che intervallano i vari segmenti del racconto non sono semplici momenti di pausa, ma veri e propri spazi di sospensione che permettono allo spettatore di assimilare la narrazione.
Queste piccole coreografie silenziose, accompagnate dalla musica, creano un flusso sincopato che favorisce l’introspezione e la connessione emotiva con la storia. Anche qui, la regia sceglie la strada della sottrazione, evitando ogni didascalismo e lasciando che sia il corpo a parlare.
Meglio: a suggerire.
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L’USO DELLA LINGUA CALABRESE E LE SUE RADICI TEATRALI
L’uso della lingua calabrese non è un mero elemento di colore, ma parte integrante della struttura drammaturgica dello spettacolo. La parola diventa materia, ritmo, suono, inscrivendo Dissonorata in una tradizione che si può forse far risalire a Carmelo Bene, fors’anche ad Antonin Artaud.
Il dialetto, con la sua musicalità aspra e i suoi suoni contratti, conferisce al testo una forza espressiva che va oltre il significato letterale delle parole: consegna alla platea una materia pulsante, viva, fatta di suono e di mille colori.
Franco Quadri, su la Repubblica, evidenziò come “la scrittura è un calabrese stretto […] un cunto tutto parole corte e contratte, che ti attanaglia dal principio per la musicalità di inesorabile nenia”.
Il dialetto calabrese diventa qui strumento di verità, veicolo di un realismo che, lungi dall’essere pittoresco, si fa capace di evocare con precisione un mondo e una cultura così lontani e, al contempo, così prossimi.
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ATTO DI RESISTENZA
Dissonorata è un piccolo classico del teatro contemporaneo italiano.
Aver portato questo spettacolo a Bagnacavallo ha avuto il valore di offrire alla comunità locale l’opportunità di confrontarsi con un’idea e una pratica di teatro che dimostrano come, lavorando in sottrazione, si possa amplificare la propria presenza scenica.
In un tempo in cui il teatro (e tutta la società dello spettacolo, si potrebbe forse allargare) troppo spesso si affida all’effetto e all’esagerazione, Dissonorata rappresenta un piccolo ma solido atto di resistenza e una testimonianza di quanto possa essere potente un’arte che mira all’essenza.
Viva l’arte antica e vivente del teatro: quando è tale, ci tiene vivi.
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