Papere, ritmo e famiglie fratturate. Su N.E.R.D.s. – sintomi del Teatro Filodrammatici di Milano

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ph Arianna Carone

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La scena teatrale e cinematografica ha a lungo indagato le dinamiche familiari come terreno privilegiato per mettere in luce conflitti identitari, affetti perturbati, tensioni latenti o esplosive. Il nucleo domestico, in questo senso, si configura spesso come microcosmo simbolico in cui le contraddizioni sociali e culturali si concentrano, si amplificano e infine deflagrano.
Festen di Thomas Vinterberg, con il suo impianto claustrofobico e il suo progressivo svelamento dell’ipocrisia borghese, è forse uno degli esempi più emblematici di questa deriva drammatica all’interno della ritualità familiare. Al polo opposto La cage aux folles – nella sua doppia vita teatrale e cinematografica – trasforma le tensioni familiari legate all’omosessualità in un meccanismo comico fondato sul travestimento e sull’inversione dei codici normativi.
In tutte queste opere, e in molte altre che per amor di sintesi tralasciamo di nominare, il dispositivo familiare si rivela come spazio teatrale privilegiato per mettere in scena – attraverso registri che vanno dal dramma al comico, dal grottesco al farsesco – l’instabilità delle identità e la fragilità dei codici relazionali. In questa corposa genealogia si inserisce N.E.R.D.s – sintomi, spettacolo cult della compagnia Teatro Filodrammatici di Milano, visto al Teatro Piccolo di Forlì il 13 marzo scorso, nell’ambito della proteiforme programmazione a cura di Accademia Perduta Romagna Teatri.

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UNA DRAMMATURGIA CONTRAPPUNTISTICA
La struttura testuale dello spettacolo si configura come un dispositivo quasi contrappuntistico: i dialoghi si sviluppano per accumulo, interruzione, battuta-replica, costruendo un tessuto verbale fatto di frizioni, piccole detonazioni ritmiche, spostamenti improvvisi di tono.
La drammaturgia si articola in micro-sequenze che alternano tensione e rilascio, con una cura meticolosa nella scansione delle pause, nelle accelerazioni improvvise, nelle decelerazioni che aprono fenditure nel tessuto comico. È proprio in questa esattezza ritmica che si evidenzia la costruzione musicale della messinscena, che ricorda per certi versi il meccanismo interno di una partitura da camera: ogni personaggio è uno strumento, ogni battuta una nota dentro un disegno collettivo.

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UNA COMICITÀ TRA SISTEMA E DERIVA
La comicità di N.E.R.D.s – sintomi, apparentemente diretta e immediata, progressivamente si mostra invece come un sistema a doppio livello. Da un lato, vi è una comicità di battuta, calibrata su giochi linguistici, doppi sensi e tic verbali. Dall’altro, si sviluppa una comicità di situazione che si nutre di elementi grotteschi e parossistici: posture esasperate, dinamiche relazionali portate all’assurdo, oggetti fuori scala.
Il ricorso a elementi surreali – come le teste di gomma in forma di papere – introduce una deriva visiva che dialoga con il codice realistico della parola, amplificandone gli scarti. È in questa frizione tra convenzione e alterazione che lo spettacolo costruisce un proprio linguaggio, in bilico tra riconoscibilità e straniamento.

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STACCHI AL BUIO: IL TEATRO CHE SI AUTODICHIARA
Gli stacchi tra una scena e l’altra, al buio e intessuti di suoni sintetici e segnali elettrici, agiscono come dispositivi meta-teatrali. Funzionano da cesure narrative, ma soprattutto da elementi di disturbo, come a voler spezzare la continuità diegetica e ricordare allo spettatore la natura artefatta di ciò che sta osservando.
La finzione viene esplicitata, dichiarata, ma non per questo neutralizzata: anzi, la compresenza tra questa auto-riflessione formale e la spinta grottesca delle scene produce un effetto di sospensione, in cui l’oscillazione tra realismo e deformazione si fa cifra stilistica.

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LAURA: UNA PRESENZA CHE SCOMPIGLIA
Il personaggio di Laura, l’“intrusa” della storia, ha un ruolo particolare: non solo agita la trama, ma rompe anche gli equilibri tra i personaggi. Il fatto che venga interpretata da attori diversi nel corso dello spettacolo contribuisce a renderla sfuggente, difficile da collocare. È come se la sua presenza servisse più a spostare il tono della scena che a portare avanti una vera e propria linea narrativa. Laura è un elemento che disorienta: entra, cambia l’atmosfera, crea uno scarto. Non è solo un personaggio, ma una specie di segnale di allarme che mette in crisi la normalità apparente degli altri. La sua funzione sta proprio in questo: rendere visibile che qualcosa, sotto la superficie, non torna.

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ALLUSIONI, DOPPI SENSI E CONTROLLO DEL DESIDERIO
Le continue allusioni sessuali che attraversano lo spettacolo funzionano da meccanismo di aggancio immediato con il pubblico, attivando una complicità che fa leva sull’ironia, sul sottinteso, sulla risata facile. Ma oltre a questo livello più diretto, si coglie una strategia più sottile: la regia le governa con attenzione, dosando intenzioni e tempi.
Il gioco ammiccante diventa così un campo di tensione tra attrazione e distanza, tra il desiderio sollecitato e subito messo in discussione. Questo doppio registro consente allo spettacolo di far ridere senza rinunciare a interrogare i meccanismi stessi della comicità sessuale: perché ci si diverte? Dove si colloca il confine tra ironia e stereotipo?

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