.
Sappiamo che William Shakespeare approdò, o ritornò, in Italia nell’Ottocento non tanto attraverso la via del Teatro tradizionale, quanto piuttosto accompagnato, come da una guida su un passo montano, da una parte dal ‘basso’ (se così si può chiamare) del Teatro dei Burattini e delle Marionette, con tanti copioni che proprio nella maschera paradossalmente esaltavano le dramatis personae del Bardo, dall’altra dalle ‘alte vie’ dell’Opera Lirica, in particolare quella di Giuseppe Verdi qui con il letterato Arrigo Boito.
Infatti il loro (è qui va detto della inusuale importanza del libretto, vera e propria molto ‘letteraria’ drammaturgia) Falstaff, in scena al Teatro Carlo Felice di Genova nell’allestimento che riprende con Andrea Bernard la moderna regia scaligera di Damiano Michieletto, e che, inusualmente ‘commedia’ (Verdi si sa scrisse una sola altra Opera Buffa), fa da fortunatissimo vertice anche biografico al percorso musicale verdiano, in un certo senso riassume le due vie: quella della farsa del teatro popolare e quella tragico-melanconica del melodramma, quel melodramma che evolve dai valori universali degli eroi e delle eroine (pur mantenendone un orizzonte) alle psicologie esistenziali di uomini e donne che, in quella arena molto borghesemente decaduta, devono dare conto delle proprie azioni, spesso in finis vitae, con le note della malinconia e del rimpianto.
.
.
Insomma Falstaff non solo è un’opera buffa che in fondo non fa ridere ma solo amaramente sorridere, ondeggiando in continuazione sul confine della morte che ci attende, ma soprattutto sa trasfigurare lo sghignazzo, la beffa ed il sollazzo (tra charivari di vecchi che vogliono sposare giovani bellezze, corna presunte e ribaltate e quant’altro sta dentro la farsa di cui sorridiamo) in una sorta di presa d’atto di quell’illusione che è la vita.
Non a caso il libretto di Arrigo Boito si rifà non ad un unico testo shakespeariano ma addirittura a tre o forse quattro (tre drammi storici – la prima e la seconda parte dell’Enrico IV e L’Enrico V – ed una commedia – Le allegri comari di Windsor) intagliando da essi un personaggio/persona che riassume molte delle contraddizioni che entrano in ogni scrittura della vita, quel John Falstaff cioè che molto successo ebbe all’epoca di Shakespeare, si disse molto amato dalla stessa regina Elisabetta I, ma che per motivi che non sappiamo Shakespeare stesso non gratificò di un titolo a lui dedicato.
Da qui la forza autonoma del testo, mai fine a sé stessa però, che supporta un teatro musicale molto moderno nelle sue forme e nelle sue suggestioni, chiosate in quei versi finali (Tutto nel mondo è burla. / L’uom è nato burlone, / la fede in cor gli ciurla, / gli ciurla la ragione.) che non sono, come potrebbe apparire, il dire e cantare di una sfiducia e di una disillusione degli ultimi anni da vivere, ma al contrario, a mio parere, sono il segno di una paradossale fiducia nell’uomo e nel Teatro (musicale e non), un inno alla forza dell’immaginazione in cui i sentimenti, contrastanti o coerenti che siano, si possono ricomporre (se non su questa terra almeno nel bosco dei nostri sogni).
Alla fin fine, come nota Ernesto Napolitano nella presentazione del libretto, non solo Falstaff è un ossimoro vivente insieme alla sua ‘fuga-buffa’ (musicale ovviamente), ma l’intera Opera è un ossimoro dicendo il dolore della vita con le parole dell’inganno e della burla.
Un sogno o un miracolo di cui la partitura musicale di Giuseppe Verdi, sempre alle prese con il suo desiderio di andare oltre, è ineludibile e insuperabile innesco, che parte dal testo ma lo supera e trasfigura senza interruzione, ne fa un discorso oltre la parola, mostrando di questa il significato di fondo, il senso rinnovato che non possiamo più eludere.
È una partitura molto innovativa quella del Falstaff, in cui Verdi rinunzia in gran parte alla successione di numeri più o meno chiusi, di arie o duetti di cui peraltro è stato maestro, in favore di una continuità narrativa ma anche ultra-narrativa tradotta in musica, una continuità che però, come nota il Direttore Concertatore, oltre il “torrente wagneriano” e la fissità del leitmotiv, si aggruma nei gorghi delle singole soggettività drammaturgiche, ciascuna portatrice di una comune condivisione di valori nell’ambito di una singolarità esistenziale.
,
,
La bella regia di Damiano Michieletto, qui come detto ripresa da Andrea Bernard, storicizza l’intera narrazione in un unico ambiente, la Casa di Riposo per cantanti Giuseppe Verdi di Milano, sceglie dunque, con efficace intuizione scenica, la contemporaneità con l’ormai anziano compositore e con il suo ambiente.
Un unico scenario che man mano trasfigura dal traslato naturalismo della “Osteria della Giarrettiera” al simbolismo onirico del Bosco (luogo tipico della immaginazione shakespeariana) che in un certo senso forza, mantenendola intatta, la scenografia nei suoi diversi significati nascosti che ne accompagnano con appropriati movimenti registici e drammaturgici l’evoluzione metaforica, peraltro ben sostenuta, nella sua forza, dai costumi mutevoli e a traiettoria variabile, un vero e proprio travestimento, di Carla Teti e dalle luci mutanti di Alessandro Carletti. I video di rocafilm Filmproduktion conferiscono al tutto una ulteriore suggestione di contemporaneità.
La direzione musicale del maestro concertatore Jordi Bernàcer assicura alla continuità della partitura, di cui giustamente sottolinea l’impronta contrappuntistica, la necessaria valorizzazione, tale da non interferire con il canto ma anzi assicurandole il dovuto sostegno senza perdere nulla in autonomia.
Infine i cantanti, tra cui istituzionalmente predominano le voci baritonali nelle belle tonalità drammatiche del Falstaff di Ambrogio Maestri e in quelle più scure del Ford di Ernesto Petti, che formano un cast decisamente di livello, in cui ai tenori, in particolare il giovane Fenton di Galeano Salas, e ai soprano, tra tutte la limpida Nannetta di Caterina Sala, sono riservati i lirici colori del sentimento e dell’eros.
Le Allegre comari di Windsor alternano i più squillanti toni di Erika Grimaldi (Alice Ford) con le più umbratili voci di Sara Mingardo (Mrs. Quickly) e Paola Gardina (Mrs. Meg Page), mentre si contrappongono, in un gioco di equivoci e doppi sensi, al gruppo dei maschi gabbati da se stessi, il Dott. Cajus (Blagoj Nacoski), e i sodali infingardi Bardolfo (Oronzo D’Urso) e Pistola (Luciano Leoni).
Infine l’ineccepibile coro del Teatro Carlo Felice, diretto con la consueta efficacia dal maestro Claudio Marino Moretti, dà ancora una volta una grande prova, ancor più dentro una partitura che non ne prevede un ruolo ‘esplicito’, essendo essa stessa ‘coro’. Un bel cameo da Sogno di una notte di mezza estate quello delle ninfe/infermiere del Balletto Fondazione Formazione Danza e Spettacolo “For Dance” ETS.
Una prima sold out per il Teatro d’Opera genovese, di uno spettacolo se vogliamo ‘particolare’, uno snodo nell’evoluzione del melodramma italiano, e non solo, molto applaudita a scena aperta e alla chiusura del sipario. Venerdì 7 marzo 2025.
.
.
Falstaff. Commedia lirica in tre atti di Giuseppe Verdi, libretto di Arrigo Boito dalla commedia The Merry Wives of Windsor e dal dramma The History of Henry the Fourth di William Shakespeare. Allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova. Personaggi e interpreti: Sir John Falstaff Ambrogio Maestri, Ford Ernesto Petti, Fenton Galeano Salas, Dottor Cajus Blagoj Nacoski, Bardolfo Oronzo D’Urso, Pistola Luciano Leoni, Alice Ford Erika Grimaldi, Nannetta Caterina Sala, Mrs. Quickly Sara Mingardo, Mrs. Meg Page Paola Gardina.
Maestro concertatore e direttore Jordi Bernàcer. Regia Damiano Michieletto ripresa da Andrea Bernard. Scene Paolo Fantin. Costumi Carla Teti. Luci Alessandro Carletti. Video rocafilm Filmproduktion. Orchestra, Coro e Tecnici dell’Opera Carlo Felice Genova. Maestro del Coro Claudio Marino Moretti. Balletto Fondazione Formazione Danza e Spettacolo “For Dance” ETS.
Repliche domenica 9, martedì 11 e giovedì 13 marzo.
.