Visto da noi: Strighe maledette! di Stivalaccio Teatro

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La Stagione del Teatro Moderno di Savignano sul Rubicone, curata dalla cooperativa culturale Sillaba, è un equilibrato mix di cultura e comicità, dal teatro dell’assurdo a Moby Dick, da Alessandro Bergonzoni a Paolo Cevoli.

Sabato scorso, sul palco sono salite quattro attrici della compagnia Stivalaccio Teatro, con lo spettacolo Strighe maledette!

Le “strighe”, se non si fosse capito, sono le streghe, in una variante linguistica dialettale e antica, in una parola: popolare. Proprio come popolare è tutto il teatro della compagnia Stivalaccio, che si propone di tenere viva e diffondere la tradizione della commedia dell’arte, riuscendo sempre a riempire le platee, anche grazie a un popolarissimo passaparola.

Strighe maledette! è un soggetto originale, di Marco Zoppello, che presenta inserti di miti e racconti medioevali e che trae ispirazione da un fatto di cronaca reale: i roghi della Val Camonica, un capitolo particolarmente nero del fenomeno persecutorio noto come “caccia alle streghe”.

Siamo nel 1518, a Edolo, in Valle Camonica. Sara Allevi, Anna De Franceschi, Eleonora Marchiori e Maria Luisa Zaltron interpretano quattro donne sospettate di stregoneria e imprigionate nella chiesa di San Giovanni Battista.

Rispettando unità di tempo e luogo, lo spettacolo si svolge tutto all’interno della chiesa, in una lunga e difficile notte in cui le quattro dovranno decretare chi tra di loro è la vera strega, altrimenti verranno arse vive tutte quante.

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Qui si aprono tre racconti nel racconto.

Il primo è il mito di Lilit, recuperato dalla letteratura rabbinica medievale, che a sua volta sembra averlo ripreso dalle tradizioni mesopotamiche. Tale mito racconta di come la prima donna non sia stata Eva, ma Lilit la rossa, la quale, non volendo sottomettersi ad Adamo, è fuggita per andare a vivere coi diavoli.
Lilit è la donna-demone, capelli rossi, ali e sguardo fiammeggiante, ma è anche il simbolo della donna che rifiuta di sottomettersi alla società maschile e patriarcale.

La seconda storia è più comica e meno simbolica. Si tratta infatti di un fabliaux o favolello, un breve racconto in versi dalla trama semplice e divertente, caratteristico del medioevo francese, che spesso veniva declamato in forma di canto, proprio come accade anche in Strighe maledette!
In questa parentesi tutta cantata, ci viene raccontato di un’adultera che riesce a sedurre perfino un prete, il quale, sorpreso dal marito, deve fingersi il Cristo di un crocefisso scolpito, tentando invano di nascondere una vigorosa erezione.

Il terzo racconto è quello di Proserpina, non quella del mito greco, ma una variante di qualche leggenda popolare. La nobildonna, egoista e prepotente viene punita da Dio e costretta a partorire un mostro insaziabile con corna e zoccoli da caprone. Questa specie di diavolo si innamora di una donna e, per costringerla a sposarlo, la trasforma temporaneamente in lupo.

Al termine della nottata e al termine della terza storia, la strega nascosta si rivela e fugge, lasciando le altre tre ad affrontare il popolo inferocito e la morte. Non più divise e in lotta, ma unite e a testa alta, fiere del loro essere donne e pronte a combattere insieme per vendere cara la pelle.

Le quattro attrici, con grande energia e sinergia, costruiscono un racconto dal ritmo serrato, ricco di azioni, movimenti, suoni, gag buffonesche e battute semplici e popolari. La loro lingua è la parlata regionale, quasi dialettale, veneta, romagnola e ciociara. Ma compare anche il latino, parlato dall’inquisitore nei riti, e l’itagnolo (mescolanza di italiano e spagnolo), per bocca del personaggio di un racconto.

Accanto al linguaggio verbale e a quello non verbale, di gag e movimenti, è sempre presente il linguaggio musicale. Ad aprire lo spettacolo è proprio il suono di un tamburo, da cui poi si dischiude un canto a quattro voci. Gli strumenti che compaiono sono tanti e antichi, dalla fisarmonica al liuto, e ad essi si aggiungono diversi suoni prodotti con tecniche tradizionali, come il tuono ottenuto percuotendo una lamiera.

Questo intreccio, linguistico e sonoro, richiama l’operazione di assemblaggio che caratterizza tutto lo spettacolo.

Il testo raccoglie e ripropone fabliaux e leggende popolari, che a loro volta assemblano e reinterpretano personaggi ed elementi presi da miti, religioni, storia, credenze e superstizioni.

Non bisogna dimenticare che la cultura popolare è sedimentaria, originata da un sincretistico accumularsi e sovrapporsi di conoscenze, mode, tradizioni. Tale cultura è ben espressa e riportata in scena nello spettacolo Strighe maledette!, che fa di questo continuo sovrapporsi una cifra stilistica, riscontrabile nell’aspetto testuale, recitativo e anche in quello scenografico.

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Tutto lo spettacolo ruota, letteralmente, intorno ad una struttura centrale rotante. Una sorta di torre di legno ricoperta di scope di saggina, che funge ora da cattedrale, ora da patibolo, ora da balcone o da camera da letto. Ruotando, essa mostra diverse facce e anfratti, nei quali trovano spazio i personaggi e le storie, come annidandosi, confusi, spezzati, e mancanti di un contesto, negli angoli del tempo, della Storia e della cultura orale.

Il risultato è un vero e proprio, materico, assemblaggio in cui i pezzi (le lingue, i canti, i racconti, i suoni e gli oggetti) si incastrano in una storia che vuole coinvolgere per emozionare ed emozionare per veicolare un messaggio. La caccia alle streghe è terminata da un pezzo, ma forse gli atteggiamenti, i modi di fare, la mentalità che c’era dietro non ce la siamo lasciata ancora del tutto alle spalle.

Ma prima ancora del tema e del messaggio, Stivalaccio Teatro, con il suo stile chiaro e caratteristico ci ricorda sempre qual è il suo obiettivo principale. La diffusione di un teatro popolare, che diverta, avvinca, coinvolga il pubblico in modo da renderlo parte attiva nella creazione di un circuito teatrale sano e funzionante, nel quale i teatri sono pieni e il pubblico esce, più leggero, al grido di “Viva il Teatro, Viva la Commedia!”.

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