Dal 9 al 13 aprile negli spazi di DumBo (via Casarini 19, Bologna) torna il 24FRAME Future Film Fest, l’evento internazionale dedicato al cinema d’animazione e alle arti mediali, quest’anno alla sua 25esima edizione. Un anniversario che si celebra all’insegna dei temi del gioco e del giocattolo, anche per festeggiare un altro compleanno: quello dei 30 anni di Toy Story, primo film in CGI della storia.
Il festival, diretto da Giulietta Fara e prodotto da Rete Doc, propone un ampio e denso programma tra proiezioni, incontri, masterclass e workshop, per incontrare creatori da tutto il mondo, approfondire i nuovi sviluppi tecnologici e continuare ad alimentare il discorso attorno all’arte dell’animazione, ancora troppo spesso sottovalutata.
Dopo le date bolognesi, 24FRAME Future Film Fest ritorna a Modena in autunno, dal 17 al 19 ottobre.
Il tema di quest’anno è il gioco, il giocattolo. Che cosa ci suggerisce di questa edizione e come si declina all’interno della programmazione?
«Quest’anno il festival compie 25 anni – racconta la direttrice artistica Giulietta Fara – un anniversario importante che abbiamo voluto agganciare al trentesimo di Toy Story, il primo lungometraggio Pixar uscito nel 1995 e il primo ad essere realizzato in animazione CGI. Per questi aspetti si può dire che il film sia stato anche un po’ l’ispiratore di questo festival, perciò proprio da Toy Story abbiamo scelto il tema del gioco, che nella programmazione si declina in diverse forme. Ci sarà innanzitutto una maratona dei quattro film di Toy Story e una masterclass di Christine Freeman dedicata alla storia della Pixar e della genesi e sviluppo del film.
In programma anche una Game Night, in cui il tema del gioco è affrontato sotto diverse prospettive, a partire da visioni come Jumanji o The Game, thriller in cui il giocare è pratica inquietante; oppure con horror come Otesànek, capolavoro del maestro del cinema in stop motion Jan Svankmajer, che racconta di un bambino di legno si trasforma in creatura insaziabile. Ogni anno, inoltre, chiediamo a un artista visivo di realizzare un’opera originale ispirata al tema dell’edizione: il gioco, quindi, si manifesta anche nell’immagine ufficiale del Festival, un grande coniglio giocattolo, realizzata dalla giapponese Yumi Karasumaru».

Oltre al gioco come filo conduttore, ci sarà un focus dedicato alle nuove tecnologie e, nello specifico, all’Intelligenza Artificiale. Quali sono gli eventi in programma e come sta cambiando il panorama del film d’animazione in rapporto alle nuove tecnologie?
«Ormai da tre anni dedichiamo uno spazio alle innovazioni digitali. In questa edizione cogliamo l’occasione del lancio su RaiPlay del cortometraggio The Prompt di Francesco Frisari, realizzato interamente con l’Intelligenza Artificiale sia sul piano della storia che dal punto di vista delle immagini, per presentarlo e parlare della sua creazione. I software capaci di realizzare l’animazione con l’AI, creano immagini evidentemente artificiali. È chiaro quindi che oggi ci siano dei limiti nella mimesi della realtà, ma è altrettanto vero che l’AI mostra anche un potenziale immaginifico.
Quello che bisogna stabilire, come sempre accade quando arriva una nuova tecnologia, è se l’AI diventa uno strumento in mano ai creativi o un sostituto degli artisti. Negli anni abbiamo visto come alcuni effetti abbiano preso il sopravvento in modo esagerato, altre volte invece come l’animazione con la CGI abbia avuto un riscontro negativo da parte di pubblico e critica: penso a film come Polar Express o Beowulf, in cui gli attori vengono sostituiti da immagini al computer. Erano dei tentativi di uso della tecnologia che in quegli anni spaventavano, proprio perché si temeva che avrebbe soppiantato il ruolo degli interpreti. Da quel momento, infatti, la CGI è stata impiegata diversamente. Per le creazioni cinematografiche in AI credo che avverrà la stessa cosa, si prenderà il buono dello strumento e si scarterà quello che invece non piace, né al creatore nè allo spettatore.
Da un punto di vista narrativo ed estetico, quale impatto hanno l’AI e l’innovazione digitale nell’animazione? Si stanno sviluppando delle cifre stilistiche specifiche?
«In questi ultimi anni ho visto diversi progetti nati per passione o per entusiasmo verso le nuove tecnologie il cui uso si faceva evidente e pervasivo nelle opere, seguite poi da una riflessione critica che comporta un ridimensionamento del loro utilizzo. Come ha affermato l’ex-direttore della Pixar John Lasseter, non è tanto importante la tecnica che usi, quanto la storia che vuoi raccontare. In alcuni casi tecnica e storia sono legate, si pensi al Pinocchio di Del Toro, ma comunque resta uno strumento a servizio della narrazione.
Parlando di tendenze, la stop motion, molto manuale e artigianale, è oggi tornata in auge come reazione all’uso smodato di nuove tecnologie, ma indirizzandosi in nuove tendenze, come nel caso di Flow – Un mondo da salvare, il film d’animazione che ha vinto l’Oscar. Quest’opera è realizzata con un software open source, in continua integrazione e miglioramento da parte dei programmatori, dimostrando come la CGI non sia più appannaggio delle grandi major. Un altro aspetto interessante, è che gli animali protagonisti non sono né verosimili né iper-dettagliati come la tecnologia oggi permetterebbe di fare, ma sono lasciati un po’ “grezzi”, quasi fossero da rifinire. Ed è qui che sta la forza di questo film, ovvero nel dimostrare come una tecnica può essere declinata in tanti modi diversi a seconda di quello che serve o si vuole raccontare; uno strumento, insomma, nelle mani di creativi».
Oltre agli appuntamenti dedicati al tema del gioco e al focus sulle creazioni con l’AI, il festival si compone di concorsi, workshop e iniziative speciali in occasione dei suoi 25 anni. Quali sono gli eventi principali?
«Il Festival ospita due concorsi internazionali, uno per lungometraggi e uno per cortometraggi, che accolgono anche serie, filmati in 360, realtà virtuale o aumentata. Quest’anno abbiamo ricevuto oltre 1400 candidature, un vero record. A partire da questi contest, sono in programma iniziative che coinvolgono alcuni degli ospiti, come il lead animator di Flow che terrà una masterclass e un workshop più pratico dedicato al movimento dei quadrupedi in animazione. Abbiamo inoltre organizzato dei momenti di formazione sulla scrittura, sulla produzione e sulla post-produzione di un corto animato. Tra gli altri ospiti, ricordo Han Jaehun, regista di Gill, film sudcoreano, proiettato in anteprima italiana in apertura del festival, che mostra l’arrivo della new wave coreana nell’animazione. Un’altra anteprima italiana è Journey of Shadows di Yves Netzhammer, regista svizzero che presenta un utilizzo del 3D molto particolare.
Queste iniziative, unite alla possibilità di incontrare creatori da tutto il mondo, rappresentano il senso dei festival in generale e, per quanto riguarda lo specifico di 24FRAME Future Film Fest, divengono un’occasione unica per vedere anteprime esclusive per il nostro Paese, che vede spesso una lenta e poco sviluppata distribuzione. Anche per i creatori è un momento importante, perché dà loro la possibilità di incontrarsi, conoscersi e confrontarsi tra professionisti del settore.
A proposito del senso del festival e ritornando a quanto accennavi prima sulla sua genesi, qual è l’urgenza da cui è nato 24FRAME Future Film Fest e ora, dopo 25 anni di attività, quali sono le nuove spinte?
«24FRAME Future Film Fest nasce dall’urgenza di portare in Italia l’animazione, perché quello che arrivava era molto poco e soltanto dall’America e restituirle una dignità, dal momento che è spesso considerata la sorella minore del cinema. In quel periodo, inoltre, il lungometraggio italiano era in una fase di pre-agonia, e la maggior parte dell’animazione asiatica, soprattutto giapponese, che arrivava non riceveva grandi riconoscimenti. La seconda urgenza era di discutere di nuove tecnologie nella creazione cinematografica: per noi, al tempo, Titanic era quasi un film d’animazione, vista l’acqua realizzata in digitale così come le comparse e gran parte della nave. Da qui abbiamo voluto aprire dibattiti su che cosa si intende per “animazione”, chiedendoci se si tratti solo del disegno animato, oppure anche di ricostruzioni di scene in CGI nei film dal vero.
Questi fuochi rimangono vivi anche oggi, sebbene ci si concentri meno sugli effetti visivi, dal momento che ormai siamo abituati a considerarli animazione e a vederli all’interno delle produzioni cinematografiche. Fondamentale è inoltre continuare a far capire che “animation is film”, come ha detto Del Toro lo scorso anno agli Oscar, scardinando l’idea che sia la sorella minore del cinema o, peggio, che non sia affatto cinema. Anche a livello accademico c’è molto da fare in tal senso, perciò questa è un’istanza che ci vede ancora molto coinvolti.
Un altro aspetto importante oggi è dare spazio agli altri territori dell’arte dell’animazione, come il gaming, la realtà virtuale e aumentata e tutte quelle creazioni in cui l’utente è attivo e partecipante. Inoltre, una riflessione è sempre rivolta allo spettatore come interprete, dal momento che l’animazione non mostra la realtà per com’è, ma la rappresenta sul piano simbolico, un po’ come avviene nell’arte contemporanea, che fa della combinazione di astratto e concreto la sua cifra stilistica».
Qual è dunque l’auspicio per il futuro del festival e quali gli orizzonti a cui tende?
«L’orizzonte è continuare a portare avanti queste istanze, ma anche porci sempre più come un punto di riferimento italiano e internazionale per professionisti del settore, affermati o emergenti. Ciò che oggi manca, e che il festival al momento è riuscito a sopperire solo in parte, è riuscire a trovare la via giusta per far incontrare fra loro i creatori e far scoprire i professionisti alle case di produzione; e per far conoscere gli artisti italiani in Europa o accogliere coloro che già sono affermati e lavorano all’estero, al fine di creare connessioni e aggiornamenti in questo settore».