Artigianato teatrale a Palermo. Conversazione con Quintoequilibrio

0
48
ph Andrea Macchia

.

Domenica 16 marzo il Teatro Il Lavatoio di Santarcangelo di Romagna (RN) ha ospitato lo spettacolo per attrice e pupazzo Felicia della Compagnia Quintoequilibrio.

L’appuntamento, realizzato in collaborazione con Alcantara Teatro, era parte del progetto di welfare culturale Sciroppo di Teatro promosso da ATER Fondazione.

Dopo lo spettacolo abbiamo conversato con le due anime della Compagnia, Stefania Ventura e Quinzio Quiescenti: un’occasione per iniziare a conoscere questa realtà di base a Palermo, ma attiva in tutta Italia.

.

Cominciamo dall’ovvia domanda: perché Quintoequilibrio?

Prendendo ispirazione dalle filosofie orientali, il quinto equilibrio si riferisce all’equilibrio del quinto chakra, il centro energetico posizionato tra la gola, la bocca e le orecchie: gli organi che mettono in comunicazione il nostro mondo interiore con il mondo esterno. Quando il quinto chakra è in equilibrio siamo in grado di comunicare con chiarezza, sappiamo ascoltare tanto gli altri, quanto la nostra voce interiore e riusciamo ad esprimere la nostra unicità creativa, mettendoci in connessione con ciò che è altro da noi. Siamo consapevoli di quanto l’equilibrio sia in continua oscillazione e il nome Quintoequilibrio ci ricorda di mantenere la tensione verso questi obiettivi, affini alla nostra ricerca teatrale.

.

Stefania Ventura

.

Quando e come è avvenuto il vostro incontro con il teatro di figura e, più in generale, con il teatro?

Stefania: Il mio primo incontro con il teatro è avvenuto da bambina, nelle sale prove della compagnia teatrale guidata da mio padre Nino e nei teatri dove, insieme a mia sorella, guardavamo andare in scena i loro spettacoli per decine e decine di volte. Ho studiato danza in accademia tra l’infanzia e l’adolescenza e negli anni del liceo ho frequentato il laboratorio di teatro fisico condotto da Aldo Pasquero e Giuseppe Morrone (Faber Teater) che mi ha sconvolto tutti i piani di vita. Ho cominciato a lavorare a 20 anni come professionista grazie a Livio Viano e alla Compagnia Teatro d’Aosta e da allora non mi sono più fermata, per fortuna. Il primo spettacolo con il quale ho fatto più volte il giro di tutta Italia, Francia, sconfinando fino al Sud America, è stato Le avventure di Pinocchio, nel quale andavo in scena con una marionetta, assieme alla quale raccontavo in rima tutta la storia. Una marionetta che mi ha instillato curiosità per il mondo della figura che, col passare degli anni, ho continuato ad indagare fino ad arrivare alla marionetta ibrida di Felicia. Con Felicia penso di aver fatto un salto più profondo, aprendomi a una via sperimentale, misteriosa e complessa, per me deliziosamente appagante.

Quinzio: Il mio incontro con il teatro è arrivato in maniera quasi fortuita, ma anche fortunata. Prima un laboratorio con Luciano Nattino, poi il laboratorio permanente Universitario con Carlos Riboty e con la tradizione del teatro peruviano, Ewa Bennesz ed il Parateatro proveniente dal Terzo Teatro di Grotowski, il Circo, il teatro di Strada e lo studio della manipolazione di oggetti, l’incontro con la drammaturgia contemporanea di Emma Dante e Civilleri/Lo Sicco e poi il lavoro nel progetto Quintoequilibrio, che mi ha permesso di cominciare a indagare un linguaggio autoriale personale.

Il teatro di figura per me è un mondo nuovo, ma gli oggetti in qualità di strumenti portatori di significato ed elementi carichi di capacità immaginifica sono stati sempre presenti nella mia ricerca e nel mio lavoro.

Per la creazione di Felicia, l’approccio da “eretico” alla tecnica di manipolazione della marionetta ibrida mi ha permesso di “azzardare” proposte fuori dalla logica del “si fa così” ma più vicine a “facciamo come è funzionale” rispetto a quello che vogliamo raccontare.

.

ph Andrea Macchia

.

Dal punto di vista della drammaturgia testuale, lo spettacolo Felicia intreccia almeno due registri: quello narrativo e quello evocativo, se non addirittura sapienziale. Quali principi hanno regolato l’adattamento del testo originale?

Quinzio: Felicia ha preso vita a partire dall’albo illustrato Felicità ne avete? di Lisa Biggi e Monica Barengo (Kite edizioni). Il suo testo e le sue immagini sono stati fondamentali per lo sviluppo della riflessione che ci ha portato allo spettacolo.

Il testo di partenza, sintetico come può essere il testo di un albo illustrato, è ricco di parole cariche di forza evocativa, che contengono contraddizioni interne che hanno acceso in noi il bisogno di parlare di punti di vista, di capacità di stare insieme e di prendere una posizione, del coraggio di cercare la verità e di saperla difendere.

Inizialmente ci siamo confrontati per la scrittura del testo con l’autrice Lisa Biggi, che ci ha accompagnato nelle prime riflessioni fino a quando non ha ritenuto che stessimo prendendo una via tutta nostra e allora ci ha detto: – Da qui in poi è la vostra storia, ci vediamo a teatro -.

Stefania: L’albo che ha ispirato la creazione di Felicia ha la forma di una fiaba raccontata per parole e immagini. Anche il nostro spettacolo ha la stessa struttura. Penso che la fiaba necessiti della compresenza di questi due registri per essere considerata tale, ed è in questa commistione, in questa sfocatura di confini tra i due registri che si trova la sua potenza comunicativa. A noi piace giocare al teatro seguendo gli stessi principi.

.

A favore di chi non ha ancora visto Felicia: in che modo avete trasposto in ciò che accade in scena questo doppio livello di significazione?

Lo spettacolo è costruito per sovrapposizioni, in una continua altalena tra ciò che viene detto e quello che si svela attraverso le immagini. Mentre la storia di Felicia si svolge in modo lineare, gli oggetti, le luci e le musiche si fanno portatori di significati che a volte creano un cortocircuito perché sono costruiti in antitesi con le parole, altre volte ne amplificano il senso e diventano il segno “poetico” di ciò che accade in scena.

Sono soprattutto gli oggetti a mantenersi in equilibrio tra i due piani. Così una piuma bianca che trema nella penombra si fa simbolo di un equilibrio instabile, il volo dei semi di acero ha il potere di sciogliere una paura, pezzi di rami-funghi-foglie assemblati insieme possono far ricordare un amico.

Utilizziamo il registro evocativo per invitare il pubblico a “sentire” lo spettacolo, più che a “capirlo” e ad aprire le porte ad un possibile dialogo interiore, tra le luci e le ombre del nostro “essere umani”.

.

ph Andrea Macchia

.

Dal punto di vista registico quali indicazioni ricevete, dal pubblico che incontra il vostro spettacolo? Detto altrimenti: in quale misura il lavoro è permeabile?

Quinzio: Il nostro lavoro di creazione prevede un lungo periodo di studio e preparazione durante il quale il confronto con anime, sensibilità e anche insensibilità differenti arricchiscono il nostro lavoro, la nostra ricerca e la nostra esperienza, ponendoci di fronte a dubbi e domande diverse da quelle che già da soli ci poniamo. In questa fase non solo lo spettacolo, ma noi per primi, siamo totalmente permeabili a suggestioni, dubbi, consigli e riflessioni.

Una volta che lo spettacolo è andato in scena ed incontra il pubblico credo che il lavoro registico debba ritenersi concluso e che a quel punto ciò che rimane di permeabile sia la vita interna dello spettacolo e l’interpretazione dell’attrice in scena.

Stefania: Lo spettacolo teatrale è permeabile per sua natura, si trasforma, si distende e si contrae, cambia il ritmo del suo respiro interno in connessione al respiro del pubblico in sala, è continuamente condizionato dalle repliche e dagli incontri precedenti e vive dell’attesa e dell’ignoto degli incontri che verranno.

Rispondiamo con gioia alle domande che riceviamo dal pubblico di bambin* e adult* che vengono a vedere Felicia. Spesso ci vengono fatte domande che ci consentono di ripercorrere il nostro processo creativo insieme a loro ed è sempre emozionante soddisfare questo tipo di curiosità, che svelano segreti e aprono discussioni stimolanti sul percorso e le scelte che abbiamo fatto.

.

Quali scoperte ha finora portato, Felicia, nel vostro percorso artistico?

Stefania: Ho scoperto la potenza del “dare l’anima” a un oggetto che diventa soggetto, che trova un respiro, una voce, un ritmo, un pensiero tutto suo. Per me è magico quando Felicia (la pupazza che io stessa animo) riesce a cogliermi di sorpresa con le sue risposte, i suoi gesti, la sua vita. Questo succede quando non tento di controllare la nostra relazione ma, mi lascio andare ad essa, mi ci perdo dentro. Allora succede che io e Felicia siamo due e io ci credo e il pubblico ci crede insieme a me.

Un’altra scoperta fondamentale è stata sentirmi in estrema difficoltà durante la maggior parte del processo creativo. Questo mi ha permesso di cadere ripetutamente fuori di me, di spingermi lontana dal teatro che sapevo fare, per poi recuperarne dei pezzi e metterli a servizio di quello che di nuovo avevo trovato insieme a Quinzio. Ecco, Quinzio posso dire sia stato l’artefice della maggior parte di queste crisi, sia perché non avevamo mai lavorato da soli insieme prima d’ora, sia perché per sua natura lui mette in dubbio ogni scelta, la indaga minuziosamente per scoprirne sostanza e fragilità. L’ho odiato in quei momenti, ma adesso lo ringrazio per avermi spronata a srotolare gli infiniti dubbi che mi rimbombavano in testa, per avermi guidata in una ricerca fatta di piume e di ore ed ore impiegate a conoscerne il peso, la forma e il disegno del loro volo in caduta e per aver messo in luce tutti i momenti di difficoltà nei quali mi sarei facilmente rintanata nelle mie confortevoli abitudini.

Quinzio: La scoperta più sorprendente è stata trovare questo fragile punto di equilibrio tra i due percorsi (quello mio e di Stefania) e le due sensibilità che ci appartengono. Spesso diciamo che “siamo come due rette parallele che si incontrano all’infinito”, perché i nostri approcci e modi per affrontare la creazione sono differenti, ma condividiamo una meta alla quale, dopo infiniti scontri e confronti, arriviamo tenendoci per mano.
Durante Felicia ho avuto la possibilità di osservare tutto il processo creativo da fuori, a parte le sessioni in cui ci scambiavamo di ruolo per permettere a Stefania di vedere Felicia all’opera.  Questa opportunità mi ha messo spesso in difficoltà per la responsabilità di dover guidare, ma mi ha allo stesso tempo dato la possibilità di vedere Stefania come interprete, autrice, apprendista, attrice e regista tutto concentrato in un’unica persona, con una forza d’animo e una determinazione che spesso colmavano le mie difficoltà.

.

Quinzio Quiescenti

.

Infine: quali difficoltà e quali vantaggi presenta, per un piccolo gruppo teatrale indipendente, far base a Palermo?

Vivere in un’isola ha come vantaggi gli stessi suoi svantaggi: il mare che circonda, ti contiene e ti separa. Palermo ti abbraccia e ti stritola e questa sua intrinseca contraddizione ti dà e ti toglie. Palermo è tirchia di lavoro e generosa di spunti, di spazi, di tempo e di solidarietà tra gli artisti.

Per una realtà indipendente come la nostra, vivere a Palermo rappresenta una difficoltà lavorativa non indifferente. Significa sempre partire e quasi mai spostarsi, significa aumentare tempo e risorse economiche da mettere in campo per la tournée, significa essere meno competitivi a volte, significa essere in Provincia-di-Periferia e sentirsi fuori dal circuito generale.

Questo però allo stesso tempo ci permette di non essere travolti dalla baraonda del circuito generale, di poter preservare una peculiarità, di poterci prendere il tempo di studiare e non solo di fare, di sapere che la difficoltà genera fatica e che, se ben riposta, la fatica genera il lavoro onesto e questo si trasforma in artigianato, che è alla base dell’arte.

.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.