
Durante la prima guerra mondiale, tra il 1915 e il 1916, l’impero ottomano ha compiuto il primo e più terribile dei genocidi avvenuti al mondo, quello dello sterminio della popolazione armena. È una strage di dimensioni enormi, per decenni coperta dall’oblio, mai riconosciuta dalla Turchia e che viene ricordata ogni 24 aprile con il giorno del memoria del genocidio armeno.
Il 24 aprile, alle ore 19, a Rimini, nella sede di Giardini Pensili, in via Sant’Acquilina e in diretta su usmaradio.org Roberto Paci Dalò (clarinetto, elettronica, voce) e Giacomo Vanelli (elettronica) eseguono “Ararat” un concerto in memoria del genocidio armeno.
Roberto Paci Dalò si definisce un miltante per il riconoscimento del Genocidio armeno da parte del governo turco e ci racconta le motivazioni di questo genocidio non solo non riconosciuto dalla Turchia, ma anche dimenticato per anni dall’intera Europa a differenza di quello ebraico.

“Con il termine Genocidio armeno, talvolta olocausto degli armeni o massacro degli armeni, si indicano le deportazioni ed eliminazioni di armeni perpetrate dall’Impero ottomano tra il 1915 e il 1916, che causarono circa 3 milioni di morti. Il Genocidio armeno non è mai stato riconosciuto dal governo turco. – spiega Roberto Paci Dalò – Il termine genocidio fu utilizzato per la prima volta dal giurista ebreo-polacco Raphael Lemkin per designare, in seguito alle sterminio degli Armeni consumato nell’impero ottomano nel 1915-16, una situazione nuova e scioccante per l’opinione pubblica; tuttavia, fu solo dopo lo sterminio posto in essere dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale e l’istituzione di un tribunale internazionale per punire tali condotte, che la parola genocidio iniziò a essere utilizzata nel linguaggio internazionale per indicare un crimine specifico, recepito sia nel diritto internazionale sia nel diritto interno di numerosi paesi”.
Come è nato il progetto?
“È da un po’ di tempo che lavoro sull’Armenia e ho creato una serie di film, concerti, spettacoli teatrali, radio, libri attorno a questo luogo, la sua cultura, le sue persone e storia.
In questo caso ho unito le forze con il musicista elettronica Giacomo Vanelli col quale ho trovato, fin dal nostro recente primo incontro, una sintonia profonda e comuni intenti.
Allora in occasione della sua Radio Residenze di Usmaradio presso Giardini Pensili è nata l’idea di collaborare attorno a questo progetto – dal titolo “Ararat” – che per non un “tema” ma un atto di fede. Tutti gli anni ricordo questa giornata a modo mio. Talvolta con azioni semplici e invisibili, talvolta, come in questo caso, con un concerto pubblico. La musica tradizionale armena viene riscoperta, rielaborata e trasformata attraverso l’uso di tecnologie elettroniche e tecniche contemporanee, senza mai perdere il legame profondo con le sue radici. Il clarinetto, con il suo timbro struggente e cantabile, si fa portavoce di melodie antiche e nuove. La voce diventa corpo narrante, che canta, sussurra, invoca. L’elettronica non è semplice accompagnamento: è ambiente, spazio sonoro, memoria viva. Ogni suono è pensato per avvolgere, per risuonare dentro chi ascolta, per creare una connessione emotiva intensa e diretta. Questo viaggio musicale vede poi la presenza delle parole dei poeti Sayat Nova e Daniel Varoujan, proposte sia in lingua originale che in traduzione italiana”.
Chi sono questi poeti?
“Daniel Varoujan, poeta del Novecento ucciso durante il genocidio, è una voce potente della memoria armena, le cui liriche raccontano l’anima di un popolo ferito ma vivo.
Sayat Nova, grande cantore e musicista del XVIII secolo, è considerato uno dei padri della cultura armena, simbolo di una tradizione profondamente legata alla musica e alla poesia. Sayat Nova è stato il soggetto del film “Il colore del melograno” (nell’originale Sayat Nova) di Sergei Parajanov. Nel 1969, Sergei Parajanov realizza questo film che è considerato tra i più visionari della storia del cinema, dedicato alla vita del poeta e ashugh armeno Sayat Nova. Ma non è un film biografico nel senso classico: è una composizione di quadri viventi, di simboli, di gesti sospesi. Parajanov non racconta la vita del poeta, ma la evoca, la in-canta, la trasfigura. Attraverso immagini potenti e codici iconografici tratti dall’arte armena, dalla miniatura medievale, dalla liturgia e dalla musica, Parajanov costruisce un’opera che è già allora – e ancora oggi – un atto di resistenza culturale. In un contesto sovietico che soffocava le identità nazionali e la libertà artistica, Sayat Nova diventa un monumento alla memoria armena, ma anche una dichiarazione universale: la bellezza, la poesia e il simbolo sono strumenti di sopravvivenza e di libertà”.

Come si integrano poesia e musica?
“In questa luce, il concerto si inserisce idealmente nella stessa linea poetica e politica. Come il film, non mira a ricostruire una storia, ma a farne risuonare l’anima. Il clarinetto che canta, la voce che evoca versi antichi, l’elettronica che avvolge lo spazio come un tempo sospeso: tutto concorre a costruire un linguaggio simbolico, intimo e collettivo allo stesso tempo. Parajonov è sempre stato molto presente nel lavoro degli artisti e questo concerto è un ulteriore omaggio alla sua poetica. Potremmo pensare a questo concerto come a una colonna sonora di un film immaginario mai girato da Parajanov stesso.Oggi come allora – oggi forse più di allora – sentiamo il bisogno di strumenti che ci permettano di custodire e rinnovare le memorie fragili, quelle che la storia ufficiale spesso dimentica o silenzia. Il genocidio armeno è una di queste ferite ancora aperte. E Sayat Nova, come Varoujan, come Parajanov stesso, ci offrono forme per non dimenticare, ma anche per trasformare la memoria in esperienza artistica, viva, condivisa.
Come è nata la partitura musicale?
“A partire da improvvisazioni tra elettronica e strumenti analogici viene creato un tessuto ambientale basato in particolare su note pedale. Questa è una pratica comune di una moltitudine di musiche tradizionali che, come in Europa occidentale, sono sviluppate in Medio Oriente fino all’Asia (basti pensare alle tradizioni indiane e pakistane). Il bordone, il suono continuo, lavora su un moto orizzontale evocando il paesaggio di questa parte di mondo. Questa partitura è il risultato dell’incontro tra musiche d’oggi e elettronica innovativa con tradizioni millenaria”
Stai lavorando a un film che sarà girato a partire da “Viaggio in Armenia”, libro del poeta Osip Mandel’štam (1891-1938) a che punto sei?
“Sto lavorando da qualche annno a questo progetto su/con Osip Mandel’štan. Il lavoro in realtà è iniziato un po’ prima quando, verso i 18 anni, insieme a Cinzia Zavoli, iniziai a studiare il russo con Irina Kravchenko. Una straordinaria insegnante che viveva a Pesaro e arrivava da Kiyv via campi di prigionia in Germania). Insomma, il mio rapporto con l’universo russo è una lunga storia! Nel 2026 verrà presentato uno spettacolo teatrale/musicale e al momento sto presentando piccole performance / azioni sotto il semplice titolo “Mandel’štam” (la prossima sarà in estate a “I Fumi della Fornace – Festa della poesia”! a Valle Cascia vicino a Macerata). Mandel’štam è stato uno dei più importanti poeti russi del XX secolo, appartenente al movimento dell’acmeismo, che privilegiava la chiarezza, la forma e l’armonia rispetto al simbolismo più vago e mistico. Il suo rapporto con l’Armenia nasce nel 1930, quando, in un periodo di crisi personale e politica (già sotto il mirino del regime sovietico), Mandel’štam compì un viaggio in Armenia, allora Repubblica Socialista Sovietica. Questo viaggio fu per lui una sorta di rinascita spirituale e creativa. L’Armenia gli apparve come una terra antica, intrisa di storia, cultura e spiritualità. Mandel’štam fu profondamente colpito dalla lingua, dalla natura e dalla bellezza del paesaggio armeno, così come dalla dignità e dalla semplicità del popolo. Quell’esperienza lo ispirò a scrivere Viaggio in Armenia (Путешествие в Армению), un testo in prosa poetica che mescola riflessione personale, osservazione etnografica e lirismo. Il viaggio in Armenia segnò uno degli ultimi momenti di libertà creativa prima del suo arresto definitivo nel 1938, che portò alla sua morte nei gulag staliniani. Sto lavorando, tra gli altri, insieme a Alyona Shumakova che è attiva nel settore cinematografico e culturale con esperienza come produttrice, coordinatrice internazionale e manager di produzione. Tra le sue collaborazioni voglio ricordare quella, fondamentale, con il regista Aleksandr Sokurov col quale Alyona ha creato un vero e proprio sodalizio. In pratica Alyona è l’anello di congiunzione tra Russia e Italia per il cinema (ma anche il teatro poiché è lei che ha fatto arrivare Romeo Castellucci a Mosca). Con lei stiamo definendo in questo periodo il calendario delle riprese che vedranno un primo viaggio a breve per raccogliere dei materiali che verranno utilizzati come materiali visivi per azioni musicali a teatrali e per montare un corto. A seguire intendiamo lavorare su un lungo formato”.
Il progetto è realizzato da Usmaradio – Centro di Ricerca per la Radiofonia dell’Università degli Studi della Repubblica di San Marino e Giardini Pensili.
È possibile assistere in studio in presenza presso Giardini Pensili. Necessaria la prenotazione su eventribe.