35 anni di musica vivente: torna AngelicA Festival

Scegliere di intraprendere percorsi poco tracciati non è affatto facile: richiede impegno, perseveranza e molta fiducia, dal momento che, spesso, ci si scontra con molti ostacoli e tante resistenze. Lo sa bene AngelicA – Festival Internazionale di Musica, che da ormai 35 anni propone un vivace  contesto per la sperimentazione sonora e la ricerca musicale nazionale e internazionale, anche attraverso il Centro di Ricerca presso il Teatro San Leonardo e la Scuola di Musica.

Quest’anno il programma di AngelicA si sviluppa tra il 30 aprile e il 31 maggio tra Bologna e Modena, con 18 live in 15 giorni e artisti provenienti da 16 Paesi, che mescoleranno culture, ritmi, musiche e tradizioni dall’Europa e dal mondo, per abitare e esplorare territori inediti, anche attraverso relazioni artistiche inusuali. 

Partiamo dall’immagine di quest’anno e dal sottotitolo Il peso del fuoco: cosa rivelano dell’edizione di AngelicA 2025 e che suggestioni intendono trasmettere al pubblico?

«Molte delle immagini di AngelicA – racconta il direttore Massimo Simonini – provengono da delle visioni e quest’anno ho chiesto a Massimo Golfieri e Concetta Nasone di creare un vulcano di carta con sopra una palla da mare. Contemporaneamente avevo in mente questa espressione, “il peso del fuoco” che mi sembra riesca ad essere in dialogo con il sottotitolo dell’edizione scorsa, “valutazione del vento”. Mi piaceva l’idea di tornare a questi elementi. Sull’immagine abbiamo lavorato molto – non sempre il risultato di una visione riesce – ma in questo caso ne sono soddisfatto. Per quanto riguarda il significato, lascerei a ognuno interpretare secondo la propria sensibilità: l’esperienza mi porta a dire che spesso si trovano connessioni insolite o, con il passare del tempo, alcune cose si leggono in maniera diversa, in un modo che prima nemmeno si poteva immaginare. E poi magari anche stimolare la curiosità della gente che, osservando questa grafica, è portata a voler scoprire quali musiche vengono proposte da AngelicA».

A proposito delle proposte, quali linee guida hanno ispirato la programmazione 2025? C’è un filo conduttore che accomuna gli appuntamenti?

«La formula di AngelicA è sempre stata quella di trovare un equilibrio tra le diverse espressioni musicali della ricerca, che può riguardare una canzone o un percorso, la musica più contemporanea, o una sonorità più essenziale, attraversando storie e musiche diverse. Per ricerca si intende anche quando due musicisti si incontrano e lavorano insieme pur provenendo da mondi diversi: penso per esempio a Eve Risser, pianista che proviene da un jazz innovativo e progressivo, che ad AngelicA è in concerto con una cantante del Mali Nainy Diabaté; oppure Charlemagne Palestine e Rhys Chatham, esponenti del movimento massimalista-minimalista ma che poi, per me, sono rappresentazione di “intensità”, che apriranno il festival. Il viaggio di AngelicA 2025 parte dunque da queste due figure così diverse, entrambe in residenza da noi al Teatro San Leonardo e che poi ritroveremo in altri momenti: Chatham per esempio sarà al Comunale di Modena con un ensemble di 33 chitarre elettriche, Myriam Stampulis al basso elettrico e Jonathan Kane alla batteria, quest’ultimo di ritorno al festival dopo 25 anni (aveva suonato con The Forever Bad Blues Band di La Monte Young). Insieme a loro, anche gli studenti (e qualche docente!) del Conservatorio di Bologna, Cesena-Rimini e Ferrara e il Liceo musicale di Bologna.

AngelicA è da sempre un’occasione per fare una ricognizione della musica che accade nel mondo, mi piace chiamarla “musica vivente”. Oggi c’è chi ancora si ostina a dedicare tempo soltanto alla tradizione, dimenticando di trovare il giusto equilibrio tra musica del passato e del presente. AngelicA si conferma anche quest’anno come un contesto festivaliero in cui ascoltare tanta musica molto diversa, una rarità in Italia. Ma è proprio questa pluralità a fare la differenza».

Quali sonorità, musiche e culture incontreremo dunque in questa 35esima edizione?

«In 15 giorni, sono in programma 18 live con artisti provenienti da 16 Paesi, tra i quali Polonia, India, Mali, Asia, Sud-Est Asiatico… Alcuni musicisti sono insieme, altri propongono concerti propri come il polacco Waclaw Zimpel che con un quartetto di virtuosi musicisti indiani mescola tradizione ed elettronica. AngelicA diventa un viaggio, anche se il pubblico non segue tutti i concerti, ognuno di questi dà la possibilità di incontrare sonorità nuove, scoprire o appagare gusti musicali, restare colpito da qualcosa di inedito. Ogni sera vediamo spettatori diversi, per esempio chi segue il jazz certamente verrà a sentire il trio di William Parker, Ava Mendoza e Hamid Drake. Quello che mi piace della “musica vivente” è che porta con sé una storia e quando un musicista ne incontra un altro, magari da paesi e culture diverse, e trovano insieme una sintesi, ecco allora si crea come una “pace elettrica”. E questo avviene anche nel contesto stesso di AngelicA, in cui compositori e musicisti sono insieme in uno stesso spazio, attraversando vari luoghi, dal nostro Centro di Ricerca Musicale al Teatro San Leonardo, fino alla Basilica di Santa Maria dei Servi con il concerto con l’Organo a Canne di Palestine (13 maggio), una serata dedicata a Mario Zanzani (scomparso nel 2007).

O penso anche a Dumitrescu & Yperion International Ensemble in cui ci sono, tra gli altri, anche Chris Cutler, Tim Hodgkinson e Simone Beneventi che pochi giorni prima, con un concerto per nove campane, con il pubblico tutto intorno, fa un omaggio a Tom Johnson, che ci ha lasciati il 31 dicembre del 2024. Si tratta di una partitura che prevede un percorso che il musicista suonando deve seguire.

E così attraversiamo queste serate con la voglia di esplorare, perché esplorando gli altri esploriamo noi stessi. C’è molto bisogno di uscire dalla forma e dalla stagnazione, dedicando più spazio alla musica di oggi, ai compositori viventi».

AngelicA propone anche un’alternativa alle programmazioni dei grandi teatri, aperta al contemporaneo, alla musica internazionale. Oggi che il festival compie 35 anni, cosa si è trasformato e cosa cosa rimane immutato nelle sue premesse e urgenze?

«AngelicA prosegue dimostrando che ci perdiamo tantissima musica. Nelle stagioni dei teatri istituzionali c’è ancora troppo poco interesse per il contemporaneo, per i nuovi compositori, tanto che molti direttori artistici nemmeno li conoscono. Già dalla seconda edizione, quindi, abbiamo iniziato a fare concerti nei teatri di tradizione con le orchestre sinfoniche, cercando di riempire un vuoto. In tutti questi anni, inoltre, abbiamo portato nei teatri di tradizione una dimensione internazionale molto forte e che resta nella memoria dei musicisti che sono stati con noi, come Ornette Coleman, Roscoe Mitchell, o addirittura Stockhausen (a cui abbiamo commissionato due pezzi), che ci propose anche di fare una delle sue opere dal ciclo LUCE, ma nessuno accolse la nostra proposta.

Di cosa ha bisogno dunque il panorama musicale italiano? 

Di fronte a certe resistenze, da parte dei musicisti e di noi operatori culturali si genera frustrazione. Oggi credo sia quanto mai necessario trovare il modo di armonizzare le risorse e proseguire nell’educare alla musica del presente, nei conservatori e da parte di coloro che organizzano i festival, per poter presentare compositori viventi, il che significa anche garantire occasioni di lavoro agli artisti di contemporanei».

Un altro traguardo sono i 15 anni del Centro di ricerca musicale…

«Il Centro nel tempo è stato attrezzato con ottime tecnologie (audio, video, luci, backline, pianoforte, ecc) e con una camera acustica e tendaggi. Si può dire sia un luogo unico in Italia, capace di accogliere diversi progetti speciali. Questo è stato reso possibile grazie alla vincita di quattro bandi. L’associazione si trova inoltre a dover comunque coprire il 15-20% dell’investimento, mentre i contributi che vengono erogati restano fermi a circa 15 anni fa nonostante l’aumento del costo della vita. La nostra è una realtà che ha sette persone assunte a tempo indeterminato, una vera fatica ma anche una soddisfazione per un’associazione: per questo ribadisco l’importanza di fare sistema tra istituzioni, sponsor privati, fondazioni per sostenere meglio la cultura e armonizzare le risorse»

Di fronte a questo auspicio, sei ottimista o pessimista? Negli ultimi anni, nonostante lo scenario non sia dei migliori, c’è stato qualche piccolo passo in questa direzione?

«Alcune istituzioni stanno facendo qualcosa in tal senso, penso per esempio a i Teatri di Reggio Emilia con il Festival Aperto (da settembre a novembre), è un segnale importante, anche in relazione al budget investito. Tuttavia, considerando che questa è una Regione ricca e avrebbe una tradizione al contemporaneo, è ancora poco. C’è bisogno che gli spazi si aprano maggiormente per incontrare musica diversa, altrimenti il rischio è chiudere tutto dentro a delle scatole quando invece c’è bisogno di comunione e pluralità.

AngelicA ha senz’altro dei difetti, anche quelli che forse io non riesco a vedere. Ma credo che il problema sia sistemico. I bandi in Italia sono arrivati molto tardi rispetto all’Europa, offrendo senz’altro opportunità, ma i contributi sono ancora molto ridotti tanto che con quei finanziamenti un’associazione può permettersi semplicemente di fare (quasi) le cose che già fa, garantendo una retribuzione decente – non ottimale, decente – a un artista che avrebbe comunque programmato. Credo che non dovrebbe essere la normalità il fatto che dopo 35 anni di attività, il riconoscimento anche internazionale, un progetto come AngelicA debba essere considerato come qualcosa di alternativo.

Detto questo e nonostante le mie lamentele, come mi ha insegnato il mio caro amico Mario Zanzani – che ci segue dal mondo invisibile – bisogna continuare a essere positivi e propositivi. Quindi, perché non facciamo tutti un po’ meglio, AngelicA compresa? Questa, credo, dovrebbe essere una preghiera pubblica».

 

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