Ci sono questioni, oggi, «che incombono sul nostro futuro come una spada di Damocle» affermano gli studenti del Liceo Minghetti di Bologna con la voce ferma e decisa di chi è pienamente consapevole di ciò di cui parla e del complesso contesto socio-politico in cui si trova.
Le ragioni che hanno spinto all’occupazione della scuola, avvenuta tra il 18 e il 22 marzo scorsi, sono infatti chiare: esprimere con forza il proprio dissenso al riarmo europeo, al ddl sicurezza 1660, alla riforma scolastica del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara e alla complicità del governo italiano nel genocidio del popolo palestinese.
Le reazioni della dirigenza scolastica
A rafforzare ulteriormente l’urgenza dei liceali di prendere con forza la parola – dopo la lettera-appello del 23 marzo, hanno convocato una conferenza stampa nel pomeriggio del 1 aprile davanti alla scuola – è stata la dura reazione del dirigente scolastico Roberto Gallingani. In accordo con la maggioranza del corpo docenti, il Preside, invece di seguire la prassi di denuncia a ignoti per interruzione di pubblico servizio, ha scelto di segnalare alle forze dell’ordine i nomi di cinque studenti, quelli più esposti. Il Collegio Docenti ha poi avviato una serie di provvedimenti disciplinari, tra sospensioni e 6 in condotta, rivolte a un numero imprecisato di studenti «scelti arbitrariamente», commenta Dario, uno dei membri del Collettivo Minghetti. «È davvero un modo di trattare un’occupazione senza precedenti», aggiunge.
Il gesto della direzione ha in effetti fatto molto discutere e numerosi sono stati i cittadini che hanno dimostrato sostegno agli studenti sottoscrivendo il loro appello (oltre 10mila le firme raccolte) per il ritiro delle sanzioni e delle denunce che, si ricorda, hanno carattere penale.
A detta di Gallingani, ad aver occupato erano in pochi e l’atto è stato «violento» e «antidemocratico», ma i minghettiani rispondono di essere stati un centinaio e che la loro è stata una manifestazione pacifica. «Ciò che è successo in questa scuola è grave – aggiunge Matteo, un altro degli occupanti –, ma va inquadrato in un contesto più ampio, che riguarda l’intero Paese: le forme di repressione si stanno sempre più inasprendo, a tal punto che si sta concretizzando la chiusura degli spazi di democrazia e di dissenso. E l’occupazione è una forma di dissenso».
Allarme Rosso
Messa in questi termini, la reazione della dirigenza scolastica appare in linea proprio con il ddl Sicurezza contestato dagli occupanti, che mira a criminalizzare le manifestazioni di dissenso. A tal proposito, gli studenti ricordano come il decreto permetterebbe ai Servizi Segreti di collaborare con le Università per reperire informazioni personali e individuare chiunque si mobiliti o tenti di farlo. A sostenere la lotta dei liceali, ci sono infatti anche gli studenti universitari, che durante la conferenza a microfono aperto del 1 aprile hanno preso parola ricordando l’occupazione della terrazza del dipartimento di Matematica di via Zamboni da parte degli attivisti di ‘Cambiare Rotta’, per protestare contro il piano di riarmo europeo da 800 miliardi e i conseguenti tagli delle risorse alla ricerca, all’istruzione, oltre che alla sanità e ai servizi sociali.
Diversi altri licei della città, come il Laura Bassi e il Copernico, sono attualmente in occupazione, un chiaro segno di malcontento diffuso che spinge a farsi sentire contro il pesante clima di repressione e contro un occidente che promuove un futuro di guerra e si fa complice di Isrlaele nella pulizia etnica della Palestina. «Viviamo in una realtà che ci preoccupa – commenta Dario – e che ci fa temere per il nostro futuro. Sta suonando un allarme rosso».
Tra le questioni ricordate in conferenza e che hanno mosso verso l’occupazione, ci sono anche le proposte della riforma del Ministro dell’Istruzione Valditara. A essere contestate sono le ore di PCTO in aumento per gli istituti tecnico-professionali, non coperte da adeguate norme di sicurezza (gli studenti ricordano i tre coetanei morti durante uno stage in azienda); e lo studio della Bibbia a scuola che andrebbe a sottrarre tempo ad altre materie, dal momento che ha già spazio all’interno dell’ora di religione, seppur facoltativa.
Tutto ciò li muove verso la partecipazione a due mobilitazioni a livello nazionale: lo sciopero di venerdì 4 aprile del comparto istruzione e ricerca del Settore Scuola e la manifestazione di domenica 6 aprile, a Bologna, contro le politiche di riarmo europeo.

Il ruolo educativo della scuola
Gli studenti-occupanti rivendicano con forza il valore della scuola come spazio di riflessione critica e di contestazione del presente. Nella loro lettera-appello sottolineano che proprio l’educazione ricevuta li ha spinti a mettere in discussione la realtà che li circonda, trovando perciò assurdo l’atteggiamento diametralmente opposto con cui la dirigenza ha reagito alla loro protesta.
La conferenza del 1 aprile è stata dunque anche un’occasione per rivendicare, e difendere, la scuola in quanto spazio democratico, capace di accogliere il conflitto, alimentare il dibattito, stimolare al pensiero critico. In questo senso, agli interventi degli studenti del Minghetti, si sono susseguiti quelli di numerosi sostenitori, tra ex-allievi, docenti, ricercatori, psicoterapeuti, esponenti di Potere al Popolo e consiglieri regionali, che hanno manifestato il loro disappunto per la reazione autoritaria della dirigenza scolastica, considerandola un fallimento del ruolo educativo della scuola: «pensare che dopo anni di lavoro insieme agli studenti, ora si trovino a lottare nella scuola ma contro di essa è davvero avvilente», ha commentato un insegnante ora in pensione. In aggiunta, un gruppo eterogeneo di 500 persone fra genitori e non, ha sottoscritto una lettera rivolta alla scuola, lamentando come le misure adottate rischino di minare il patto educativo fondato sulla collaborazione tra studenti, docenti e famiglie.
Sostenere, in quanto adulti, la mobilitazione del Minghetti, con tutta la sua portata politica intrisa della sana rabbia e della rivoluzionaria impazienza tipiche dell’adolescenza, diviene allora un modo per rivedere i meccanismi inceppati del sistema scolastico e frenarne alcune potenziali derive. Una riflessione che deve partire innanzitutto dall’ascolto delle istanze della nuova generazione e dalla tutela del libero pensiero, facendo della scuola uno spazio di confronto sicuro e intergenerazionale. «Difendere l’agibilità politica di questa scuola, che ha un significato specifico in questa città — ha affermato Nicola Borghesi, ex-minghettiano e ora attore e regista della compagnia Kepler-452 — è prezioso, importante e può avere un’efficacia immediata».
Si tratta, in altre parole, di condividere alcuni strumenti di pensiero, ma di lasciare poi spazio e parola ai giovani-adulti affinché possano immaginare, e attuare, la loro idea di mondo e di politica, che hanno ben chiara: «Ci hanno accusato di non essere democratici – afferma uno degli ex-occupanti – perchè non avevamo la maggioranza in plenaria per occupare. Ma la democrazia è discussione, dissenso, diritto di protesta e di manifestazione delle idee, che si sia maggioranza o minoranza».