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impulsivo
irritabile
violento
non è capace di amare
gli piace solo lo scandalo
disturbato
non dorme mai
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Lo spettacolo Caravaggio. Di chiaro e di oscuro, drammaturgia di Francesco Niccolini, interpretato da Luigi D’Elia e diretto da Enzo Vetrano e Stefano Randisi, si configura come un’operazione di indagine sull’intersezione tra parola, corpo e immagine.
Presentato al Teatro Goldoni di Bagnacavallo (RA) il 27 marzo scorso, questo monologo è un atto di evocazione che tenta di catturare, attraverso un’articolazione di gesti e linguaggi, il violento chiaroscuro della poetica caravaggesca.
Non solo portare a teatro la vita di un celebre artista: una riflessione più ampia sulla teatralità come strumento di trasposizione pittorica, un progetto che trova eco in una più vasta ricerca in cui l’attore è inteso come creatore artigiano, capace di generare mondi a partire dalla propria corporeità o, più largamente, umanità.
In tal senso e contesto, l’interprete si pone come medium tra presenza scenica e immaginario pittorico: tra il qui e ora e il lì e allora.
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STRUTTURE DELLA VISIONE
L’organizzazione drammaturgica si fonda su un principio di oscillazione, una dinamica di avvicinamento e allontanamento che Niccolini traduce nel procedere come tenendo in mano un cannocchiale e uno zoom.
Questa tecnica si manifesta attraverso un alternarsi di narrazioni distese e dettagli acuminati, come se lo sguardo del narratore fosse costantemente impegnato a mettere a fuoco un’immagine per poi dissolverla in un piano larghissimo e subito ricomporla.
D’Elia, anche grazie alla sua inflessione pugliese, radica il testo in una concretezza che è al contempo fisica e visionaria. La lingua si fa strumento di una voluttà che riverbera l’iconografia stessa di Caravaggio, dove la carne è sempre segnata da un’irrimediabile vulnerabilità.
QUOTIDIANITÀ, DIDASCALIE E COREOGRAFIE
Lo spettacolo si articola attraverso tre registri gestuali distinti, ognuno dei quali possiede un valore comunicativo specifico.
- Quotidiano: questo registro è caratterizzato da una gestualità ordinaria e spontanea, radicata in una corporeità semplice e diretta. È il gesto comune, quello che appartiene alla vita di tutti i giorni e che si manifesta senza intenzione estetica. Nella narrazione, esso si colloca nelle sequenze descrittive o nei passaggi in cui l’attore si affida a una comunicazione essenziale, quasi colloquiale, in sintonia con l’idea di una pittura che attinge dal reale e dalla quotidianità stessa.
- Didascalico: qui il gesto si trasforma in un supporto esplicativo, assumendo una funzione illustrativa rispetto al testo. La corporeità diventa veicolo di chiarificazione e intensificazione, come se i movimenti fossero estensioni visibili delle parole. Questo livello suggerisce la volontà registica di costruire una narrazione stratificata, dove il gesto agisce come amplificazione e chiarificazione del discorso verbale, accompagnandolo senza soffocarlo.
- Coreografico: è il registro più complesso e simbolico, dove il gesto si emancipa dalla dimensione narrativa per farsi struttura autonoma e significante. In questo contesto, il corpo di D’Elia assume una qualità quasi pittorica, riproducendo suggestivamente scene tratte dall’immaginario caravaggesco. Emblematico è il riferimento al Ragazzo morso da un ramarro: la reazione violenta e improvvisa del giovane, il suo corpo scosso da un dolore repentino e incontrollato, diventa l’archetipo di un gesto coreografico che si distacca dalla quotidianità per elevarsi a rappresentazione estetica. D’Elia incarna questa tensione attraverso movimenti bruschi e spezzati, che evocano il momento di rottura e di disarticolazione presente nel dipinto.
La regia permette a questi registri di coesistere e intrecciarsi, creando un tessuto espressivo in cui il gesto, la parola e l’immagine dialogano continuamente. La varietà gestuale contribuisce a costruire un discorso teatrale che non si limita a raccontare, ma si impegna a trasmettere fisicamente e visivamente l’intensità della pittura di Caravaggio.
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UN MOSAICO DI PROSPETTIVE
Caravaggio si struttura come un mosaico di prospettive narrative, ognuna delle quali contribuisce a costruire un’idea plurale e stratificata.
La regia pare privilegiare un’architettura scenica aperta, all’interno della quale l’attore si muove con una libertà che è al contempo rigorosa e fluida.
L’interazione tra differenti angolazioni di racconto e variazioni ritmiche diventa un metodo di esplorazione estetica.
Come nei dipinti di Caravaggio, qui ogni luce (di Francesco Dignitoso) è un’incisione nel buio, ogni gesto un frammento di verità strappato all’oscurità.
In questo composito panorama, la veemenza di D’Elia si articola come un linguaggio espressivo che eccede il mero esercizio attoriale.
Attraverso cesure, sospensioni e accelerazioni, vuole far emergere una violenza che non è soltanto tematica ma strutturale: la brutalità della pittura caravaggesca trova qui una traslazione teatrale che non teme di confrontarsi con la materialità del gesto e della voce.
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TRA LUCE E OMBRA
Nel cuore di Caravaggio. Di chiaro e di oscuro emerge un continuo confronto tra opposti, che fa eco ad altre opere della coppia registica Vetrano e Randisi. L’estetica del contrasto, uno dei cardini della loro ricerca, è qui espressa attraverso l’interazione tra luce e oscurità, tra violenza e grazia. Questi elementi si intersecano e si sovrappongono, generando una tensione che attraversa tutta la drammaturgia.
L’interpretazione di Luigi D’Elia si alimenta di questa dialettica di contraddizioni, facendo emergere un Caravaggio spinto da pulsioni contrastanti. Il suo corpo diventa luogo di frizione e di resa, dove il gesto si fa espressione viscerale di un’anima tormentata.
La sua performance alterna momenti di furia, quasi animalesca, ad altri di silenziosa contemplazione, con una naturalezza che restituisce la complessità del pittore. L’energia fisica si fa incisiva, ma si fa anche spazio per l’introspezione, per il pensiero che non si dice ma si suggerisce.
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UN CORPO AL CENTRO DEL CONFLITTO
Luigi D’Elia fa del corpo il vero fulcro di un’opposizione di forze.
Nel suo Caravaggio ogni movimento sembra quasi un’impronta lasciata sulla scena, come una pennellata che solca la tela (o, furiosamente, lo spazio vuoto, nel frammento visivamente più incisivo di tutto lo spettacolo)
I momenti di accensione, dove la violenza esplode in gesti drammatici e sfibranti, si alternano a più sottili rarefazioni, come un’ombra che si allunga silenziosa.
Ombra che diventa luce.
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Morì malamente, come male havea vivuto.
Trentotto anni, ed è tutto finito.
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