A Forlì, dopo 20 anni, il 17 maggio, dalle 15.30 alle 22, riapre per un giorno l’ex Casa Repubblicana “Carlo Cattaneo”. Fu costruita nel 1946 da una cooperativa di nove cittadini che misero insieme risorse e manodopera volontaria. Diventata un luogo di incontro e di dibattito politico, punto di riferimento negli anni ’60 e ’70, il circolo culturale è andato incontro ad un lento declino, per chiudere definitivamente nel 2005. Oggi la Casa è inserita nel museo diffuso “In Loco” realizzato da Spazi Indecisi nell’itinerario dedicato alla memoria delle case del popolo, dei circoli e dei teatri sociali oramai abbandonati della Romagna.
Quello del 17 maggio è il primo appuntamento del festival diffuso “Inno al perdersi”, curato da Spazi Indecisi in collaborazione con EXATR che andrà avanti fino ad ottobre: un viaggio esplorativo tra Forlì, Cervia, Santa Sofia e Predappio, per entrare in luoghi abbandonati attraverso installazioni artistiche e “nuovi rituali collettivi”.
L’associazione Spazi Indecisi, che quest’anno compie 14 anni, porta avanti progetti di rigenerazione urbana di luoghi in abbandono con un approccio sempre innovativo, lavorando tra arte, geografia, memoria e comunità.
“Inno al perdersi”. Mi piace molto questo titolo. In questi anni di digitalizzazione imperante, l’improvviso, il casuale e l’inaspettato sono sempre meno praticati, perché questo titolo?
“Perché perdersi è un atto creativo, romantico e misterioso, che apre appunto all’inaspettato. – spiega Francesco Tortori, presidente dell’Associazione Spazi Indecisi – È un gesto rivoluzionario nella società consumistica e iper digitalizzata che usa google maps per arrivare ovunque. Così anche gli spostamenti, il raggiungere un luogo, il viaggio diventa “produttivo”: ottimizziamo il tempo, le risorse, il percorso. E così fatalmente percorriamo la stessa strada tutti i giorni, perdendoci il resto: luoghi, suggestioni, sogni, incontri. Crediamo che stimolare a perdersi in un luogo, in un paesaggio come nella memoria, sia un modo per tornare a sentire, percepire e interpretare lo spazio in cui siamo e in cui ci sentiamo “persi” in modo più consapevole. “Perdere tempo per guadagnare spazio” diceva Stalker. Perdersi stimola processi di conoscenza, ci costringe a guardarci intorno e dentro, a raccogliere informazioni, sensazioni ed emozioni e a rielaborare.
La vostra attività è iniziata ben oltre un decennio fa come mappatura dei luoghi abbandonati e progetti rigenerazione urbana, potete spiegare ai nostri lettori che ancora non vi conoscono, cosa significa e quali sono i vostri obiettivi?
“Siamo attivi dal 2011 in Romagna. Ci occupiamo sostanzialmente di rigenerazione culturale e urbana di luoghi in abbandono, attraverso progettualità che contaminano memoria, arti, esplorazioni e geografie. Crediamo che le città e i paesaggi non siano entità fisse ma mutevoli, sono organismi che si trasformano e Spazi Indecisi vuole mettersi in questa dinamica. Non c’è una critica all’abbandono, ma una presa d’atto che è un fenomeno congenito nell’urbanizzazione e nei cambiamenti sociali economici e culturali della società. Sentiamo e vediamo tali luoghi come densi di senso, perché sono opportunità per conoscere il passato, riflettere sul presente e immaginare futuri. Spazi Indecisi sperimenta e fa ricerca su come intervenire sul patrimonio in abbandono credendo che l’intervento su questi luoghi non sia digitale, 0 o 1. Riqualificazione o abbandono. Lo stesso luogo può essere ristrutturato integralmente, riattivato temporaneamente, valorizzato culturalmente, lasciato all’abbandono o addirittura abbattuto. La chiave è il processo.
Quali riferimenti filosofici avete? Intravedo in qualche modo lo sguardo di Luigi Ghirri e Gianni Celati di “Viaggio in Italia”, ma forse mi sbaglio…
“In realtà l’opera di Ghirri, Celati ma anche di Guido Guidi l’abbiamo scoperta una volta nato Spazi Indecisi cercando e studiando autori la cui poetica e ricerca ci riverberasse; Spazi Indecisi in fondo nasce osservando e mostrando nel paesaggio e nella città ciò che lo sguardo non percepisce, esclude per abitudine. I principali riferimenti che in qualche modo ci hanno stimolato sono l’opera di Gilles Clement, le derive situazioniste, i collettivi Stalker e Luther Blissett, Gordon Matta Clark”.

Quali traguardi avete raggiunto in questi anni e di cui siete più fieri?
“Il primo è che Spazi Indecisi esiste ancora – mutando e adattandosi – dopo 14 anni. Non credo sia assolutamente scontato. Sicuramente siamo contenti di aver mantenuto una certa libertà progettuale, uno sguardo politico e aver in qualche modo stimolato uno sguardo alternativo e attivo al patrimonio in abbandono. Il risultato sono processi complessi e sperimentali di rigenerazione urbani che ci vedono coinvolti come EXATR a Forlì, ex deposito delle corriere ora centro culturale, insieme a Città di Ebla, e Spinadello, ex centrale di sollevamento di un acquedotto oggi Centro Visite Partecipato dell’area dei meandri del Fiume Bidente a Forlimpopoli. Processi. Progetti, luoghi, energie, comunità e contesti molto diversi, che hanno portato fatalmente a percorsi differenti. Forse il progetto di cui siamo più fieri e in qualche modo è più identitario è IN LOCO, l’idea di un museo diffuso sul patrimonio abbandonato romagnolo per raccontare, conservare e attivare riflessioni, azioni di rilettura dal basso. E’ un progetto-piattaforma complesso che si arricchisce continuamente di strumenti, azioni, visioni, incontri”.