Chille de la balanza: pratiche di durata nel parco di San Salvi

ph Paolo Lauri

C’è un verbo, nel titolo della rassegna promossa dai Chille de la balanza, Spacciamo culture interdette, che attira per la sua ambivalenza ironica e fertile: spacciare.

Qui il gioco semantico si apre alla polisemia della trasmissione, dell’offerta, ma anche della marginalità e della possibilità.

E a ben vedere è questa tensione tra il dentro e il fuori, tra la cultura ufficiale e le pratiche alternative, tra la parola e il gesto, a costituire il terreno sul quale crescono – e si coltivano, letteralmente – le installazioni disseminate nel parco dell’ex manicomio di San Salvi, nella primavera fiorentina del 2025.

Questo è il campo – e non solo in senso figurato – su cui i Chille operano da anni, con un’ostinazione che merita di essere letta come azione colturale, nel senso più profondo: un vivaio interdisciplinare di pratiche, linguaggi, mestieri, seminari, relazioni.

Si coltivano virtù, si seminano domande, si piantano gesti.

In questo spazio aperto, la terra non è più solo fondale, ma superficie sensibile, soggetto e supporto, in un’alleanza rinnovata tra arte e natura, tra opera e tempo.

Il filo rosso che unisce le installazioni di questa edizione è, dichiaratamente, la cura.

Non una cura retorica, né sentimentale, ma un invito a una pratica quotidiana e durativa, fatta di attenzioni, presenze, scavi.

In questo senso, spiccano con particolare forza due interventi, tra tutti: Vitalità di Eric Oddono Piccione e Vuoto di Francesco Salvini.

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PIANTAR DURATE

Il progetto Vitalità di Eric Oddono Piccione è una delle azioni più potenti e poetiche viste a San Salvi martedì 13 maggio.

La semplicità del gesto – piantare insieme ad altre persone alberi da frutto, alberi commestibili – si carica di un’intensità stratificata: politica, ecologica, performativa.

Non ci sono proclami, non ci sono slogan.

C’è un pugno di terra gettato non per salutare un defunto, ma per inaugurare una vita.

Un gesto non di lutto, ma di nascita.

Non un funerale, ma una semina.

La memoria corre inevitabilmente a 7000 Eichen di Joseph Beuys, l’intervento epocale alla Documenta di Kassel del 1982: un’opera-azione che non finisce nel tempo della mostra, ma che comincia lì, estendendosi negli anni a venire.

Piccione si muove in quella linea: l’opera non è più oggetto chiuso, né evento concluso.

È un’azione che eccede la durata dell’artista, una domanda aperta rivolta al tempo e alla comunità.

Si ascolta, tra i rami appena piantati, un’eco del Canto alla durata di Peter Handke, quel canto lento alla resistenza delle cose che continuano, alla perseveranza del gesto silenzioso, alla cura come forma di presenza.

L’albero, qui, non è simbolo, ma corpo vivo.

Non messaggio, ma fatto.

Non ornamento, ma trasformazione attiva dello spazio.

Alle spalle di questa azione, un seminario voluto dai Chille, coltivato nei mesi precedenti, ha fatto crescere conoscenza, coscienza, linguaggi.

La piantumazione è così la punta visibile di un iceberg pedagogico e relazionale: l’arte non come esibizione, ma come costruzione di mondo.

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SCAVARE PER CREARE RELAZIONI

Complementare, e forse speculare, è l’intervento Vuoto di Francesco Salvini.

Una grande buca scavata a mano, giorno dopo giorno, nel terreno di San Salvi.

Nessun oggetto lasciato, nessuna forma da contemplare: solo il vuoto.

Lo scavo diventa occasione di incontro, catalizzatore di parole, di presenze, di aiuti spontanei.

L’opera si costruisce nella relazione che si addensa attorno a un’assenza.

Arte pubblica in sottrazione, in ascolto, in attesa.

Pessoa scriveva: Io non sono niente. / Non sarò mai niente. / Non posso volere essere niente. / A parte questo, ho in me tutti i sogni del mondo.

E forse è proprio questo niente che salva: un niente naturale, scavato, restituito alla terra.

Un niente che accoglie.

Salvini non cerca l’effetto spettacolare.

Il suo vuoto non è monumentale, ma conviviale. È

un vuoto che accoglie, che interroga, che si riempie lentamente di voci, di storie, di gesti.

È una forma di resistenza alla logica dell’opera finita, esposta, consumata.

È uno spazio di sospensione, dove l’arte si fa intervallo.

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CURE E PERPLESSITÀ

Accanto a questi due interventi esemplari, altri lavori disseminati nel parco appaiono, per contrasto, più incerti nel loro posizionamento.

Talvolta il rischio è quello di scivolare in una simbolizzazione eccessiva, in un’arte che si spiega troppo, che vuole essere significante prima ancora di essere esperita. Iper-emotiva, finanche predicatoria.

La forza degli alberi piantati da Piccione e della terra scavata da Salvini sta, invece, nell’essere prima di tutto azioni: trasformazioni concrete di un luogo, di un tempo, di una relazione.

Coltivare arte, come fanno i Chille, significa accettare la lentezza, la durata, l’invisibilità.

Significa lasciare spazio alla crescita, non al consumo.

Questo festival, nei suoi momenti più alti, lo ricorda con forza.

E tra le fronde nuove del parco, si comincia a intuire una stagione diversa: non quella delle mostre, ma quella dei frutti.

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ph Paolo Lauri

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