Dall’unione tra Balletto Civile e Arte e Salute del regista Nanni Garella è uscita la chicca raffinata di questo Don Giovanni (prod. ERT Teatro Nazionale; visto all’Arena del Sole di Bologna) con la commistione tra Molière, le marionette (in carne ed ossa) e la Commedia dell’Arte dai costumi polverosi. La farsa è in atto tra le pesanti tende rosse che tagliano e ampliano i quadri in una scena semplice, pulita senza orpelli né divagazioni oggettistiche, dove vengono esaltate le azioni attoriali, tranne un grande Sole proiettato sul fondale che fa il paio con i pomelli rossi sulle guance-zigomi (come spaventapasseri) degli interpreti sulle facce bianche di cerone, in una sorta di couperose che trasmette timidezza ma anche l’imbarazzo dello stare al mondo, quella sottile sindrome dell’impostore che tutti attanaglia da qualsiasi parte del recinto stiamo che sia da quello socialmente dei vincenti come dei perdenti. Un Sole che ricorda la bandiera nipponica, ma che più che altro ci rammenta il tramonto della ragione in questa tragicommedia che parte leggera fino a perdersi dentro gli anfratti del dramma esistenziale e umano.
.

.
Don Giovanni è rappresentato da una donna (l’ottima Michela Lucenti) mentre Sganarello, il suo fido compare e servitore, è Maurizio Camilli (l’altra faccia della medaglia del Balletto Civile) formando un duo ben oliato con alchimia e amalgama tangibile. Il nostro Don, che appare fiero e pieno di iniziative e pronto a superare ogni ostacolo e anche a sfoderare la spada per orgoglio e capriccio, mostra le sue infinite fragilità e debolezze nella ricerca spasmodica e famelica di nuove conquiste amorose che agogna, brama e ambisce non tanto per il piacere fisico-sessuale ma quanto per una spirale bulimica dell’elenco, del possesso, del gretto avere. Per lui conta solo la conquista dopo di che la fanciulla perde alcun senso e torna priva di interesse e desiderio: per questo spadaccino senza valori ha senso solo una nuova preda e vive solo nell’attesa, in tutti quei frangenti che lo separano tra la vecchia amata e la nuova idealizzazione dell’amore. Mai contento, sempre inquieto, sempre spinto dal suo daimon interiore a impalmare giovani ragazze che ancora non hanno conosciuto l’amore. La nuova fiamma per lui è un mero oggetto e il successivo cancella quello precedente: La fedeltà è essere morti davanti alla bellezza. E’ come morso e mangiato da un desiderio incolmabile, un istinto animalesco che gli offusca e obnubila la mente e non gli permette di ragionare che non lo fa resistere alle tentazioni. E’ sfrontato e arrogante e si eccita a turbare le virtù delle innocenti piene di scrupoli e di pudore ma le fa vacillare con il miraggio di un matrimonio con un buon partito.
,

.
Se vogliamo la critica qui corre sul doppio filone: sull’assenza di morale del signorotto e sulla mercificazione (del corpo e dell’amore) da parte delle ragazze che appena vedono possibile il potersi accasare allora abbassano le difese e si gettano tra le braccia della dote e del patrimonio. Don Giovanni certo fa leva sulla sua cultura, sulla retorica, la dialettica, e sul conto in banca per addolcire e rendere malleabile e mansuete le resistenze femminili anche se dovremmo uscire dalla dicotomia aggressore-vittima. Qui è in atto un gioco delle parti, uno scambio consapevole, c’è chi promette e chi vuole credere a queste promesse così superficiali e scontate, bieche e squallide. Anche le luci (di Luca Diani) hanno la loro bella valenza e importanza nel cangiare seguendo gli stati d’animo che via via si susseguono in un fondale che si sposta dal rosso al rosa, dal viola al blu sottolineando, pastellando, i sentimenti in campo. Se Giovanni è scandaloso, cerca volontariamente l’abisso, Sganarello è il grillo parlante pieno di moralità. Giovanni ha bisogno di una continua scossa per riaccendere la passione, proprio quella che non nutre per la vita, proprio quella che il padre, anche lui moraleggiante e puntuto, non ha saputo infondergli né trasmettergli. Il nostro antieroe libertino e lascivo è soltanto il prodotto di un mondo e di una società vuota che tende a colmare le mancanze con dipendenze per spostare il problema, per non pensare, per non soffermarsi su alcun tema ma godere del momento estetico, enfatico, ricercando quella poesia che forse nemmeno esiste, anelando la purezza che però sfiorisce ad ogni Sì che riesce, anche con l’inganno, ad ottenere. E’ una sorta di Cupido diavolesco tentatore che riesce ad ottenere le grazie richieste anche perché nessuno può considerarsi così puro e innocente in questo Sistema di disvalori. Giovanni cerca la libertà, cerca la salvezza, il perdono per vivere e non per come ha vissuto, vuole disintegrarsi, punirsi, annientarsi, eliminarsi, distruggersi, cercando insistentemente la fine, rincorrendo la sua estinzione, in qualche modo un suicidio dei sensi, paradossalmente affogando nell’abuso pasoliniano degli stessi.
.