Gli Uccellini non volano più a Scampia

Roberto Del Gaudio

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I volatili sono il simbolo della libertà, del poter spaziare al di là dei recinti, dei reticolati, delle barriere, delle mura di cinta. Dalla colomba della Pace alla Gabbianella di Sepulveda, le ali sono quella parte del regno animale che più manca agli uomini, alla loro insoddisfazione, alla loro voglia di fuggire da una certa realtà, cura alla loro curiosità. E ci sono alcuni luoghi dove le gabbie e le sbarre sono invisibili ma contemporaneamente si possono sentire, percepire sulla pelle come un graffio, come un tatuaggio, negli occhi degli altri, toccare con mano come stigma. Il Sud è un luogo dove è più difficile emergere per condizioni ataviche strutturali, la carenza di lavoro, la corruzione, le istituzioni malavitose, un insieme di accadimenti storici che hanno depauperato un territorio, impoverendolo di forza lavoro, di mezzi, di scuole. Crescere in alcune zone d’Italia vuol dire avere una corazza di fronte a tutto quello che non funziona, andare avanti perseguendo la legalità è un esercizio morale complicato perché si rischia sempre di scivolare nel borderline, in quella zona grigia, pseudo franchigia, dove lo Stato non arriva ma le organizzazioni che controllano il territorio si fanno sentire con la forza capillare dell’abuso, della violenza, soprattutto della minaccia della paura. Qualcuno riesce, con grande fatica, a spostarsi, ad uscire da questo meccanismo a spirale, vortice che spolpa le nuove generazioni prostrate, ed emigra, cambia città per cercare un posto al sole, un lavoro sano dimenticando dinamiche contaminate e rapporti di forza senza tutele, protezioni né rispetto.

Sono gli Uccellini di Scampia (testo di Roberto Del Gaudio, visto al Teatro Instabile di Napoli) che tentano di volare con la nostalgia perenne di casa che li riporta proprio lì nei luoghi dai quali sono fuggiti. Ciro Pellegrino (sua anche la regia pulita e trasognante), che per sé si è ritagliato il ruolo centrale nel doppio e parallelo binario tra leggerezza e fatalità, ha intagliato una drammaturgia tragica e arcaica nel rapporto tra l’amore e la necessità, tra le note strazianti e dolenti della fisarmonica (Vito Raosa), le arie operistiche a sondare e scandagliare l’atrocità (il baritono Antonio Santaniello), a cavallo continuo tra la vita e la morte in un sentiero che sappiamo fin dall’inizio che non potrà essere salvifico né porterà perdono né giustificazione né carezze di sorta. Ci sono angeli che aleggiano in questo antro che pare pacificato e finalmente candido dove si ricorda ma non si prova più dolore, un angolo purgatoriale per prendere coscienza di quello che è accaduto, per poter chiudere un cerchio, un capitolo e poter tornare a volare stavolta rasserenati. Spargono a terra quelle che sembrano delle ceneri; siamo di fronte ad un funerale che lentamente si sta consumando e compiendo a ritroso fino alla presa di consapevolezza degli eventi, al loro svolgersi, alla loro consunzione.

C’è un amore che non è potuto convolare a nozze (intensa è Angela Rosa D’Auria) proprio perché infranto e strappato, c’è una valigia da emigrante che però dentro conserverà il più atroce dei messaggi. Tonino era fuggito dal quartiere che ancora chiamava Casa e si era ricostruito un’identità, una dignità, un’emancipazione contro l’emarginazione sofferta e subita. Gli Uccellini di Scampia è una denuncia sociale che, anche con i meccanismi della fabula nera, riesce a raccontare un’ambientazione soffocante, un clima stantio, un’atmosfera pesante. Ma ogni volta la nostalgia dell’infanzia, del cognome, della famiglia, del dialetto è lì come calamita che ti riportano, ti attanagliano, ti attraggono pericolosamente in quel dirupo che non ha cambiato le proprie dinamiche, che è sopravvissuto senza evolversi o migliorarsi, dove vige ancora la legge del più forte, le leggi non scritte degli sguardi, del silenzio, della sottomissione.

E nello spandersi del racconto ci arrivano fotografie e affreschi del rione, la sua crescita nel deserto, la costruzione del ghetto di cemento e asfalto senza servizi, i cantieri arrugginiti, i piloni in questa terra di nessuno che presto ha trovato i suoi caporali, un luogo grigio senza verde colmo di strade sbagliate e mancante di rette vie da seguire e perseguire, orizzonti da poter cogliere e panorami da intraprendere. Tra gioco sadico e commercio fraudolento i ragazzi di Scampia ungevano le basi dei pilastri (questo cubo al centro della scena, quadrato magico, cilindro di mago dal quale escono feticci e oggetti) con un olio vischioso nel quale, come sabbie mobili (metafora perfetta di quel barrio), rimanevano impigliati e incastrati piccoli passerotti con le zampette bloccate e le ali inutilizzabili. E’ facile vedere in quegli uccellini questa gioventù bruciata, arsa viva dall’ignoranza dei clan, dalla maleducazione, dalla distruzione della voglia di vivere, dall’annientamento dei sorrisi, dall’annichilimento dell’amore. Ma il sacrificio, le ferite, il supplizio, il martirio, le pene, il tormento, le sofferenze, di questi uccellini come di questi ragazzi di strada che non riescono a salvarsi neanche rinnegando le proprie origini, sembra non servire, non essere utile a fare in modo che nel futuro altre storie tutte uguali di isolamento, marginalità e solitudine non si riaffaccino alla cronaca, quasi come se ogni morte, ogni vita strappata, ogni ala tarpata non sia da insegnamento e, tra lamentele e accondiscendenza, tra supina accettazione e rassegnazione, non si riesca a rialzare la testa, a cercare un nuovo respiro, nuovo ossigeno, a trovare bellezza e solidarietà, cercando l’amore e rinnegando la morte. Gli uccellini a Scampia dovrebbero tornare a fare quello per il quale sono stati progettati e creati: volare e non rimanere ancorati a quel liquido insozzante e laido che prima li confina e blocca e infine li soffoca e uccide. Vola solo chi osa, questo è vero tecnicamente, poi, in alcune circostanze, ci vogliono anche le condizioni esterne per permettere di poter aprire le ali. Ci sono tanti giovani là fuori da salvare, hanno soltanto bisogno di fiducia e di luoghi attorno a loro dove cominci a funzionare qualcosa, in primis i servizi, lo Stato, la legalità.

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Sono laureato in Scienze Politiche alla Cesare Alfieri di Firenze, sono iscritto all'Ordine dei Giornalisti dal 2004 e critico teatrale. Ho scritto, tra gli altri, per i giornali cartacei Il Corriere di Firenze, per il Portale Giovani del Comune di Firenze, per la rivista della Biennale Teatro di Venezia, 2011, 2012, per “Il Fatto Quotidiano” e sul ilfattoquotidiano, per i mensili “Ambasciata Teatrale”, “Lungarno”, per il sito “Words in Freedom”; per “Florence is You”, per la rivista trimestrale “Hystrio”. Parallelamente per i siti internet: succoacido.it, scanner.it, corrierenazionale.it, rumorscena.com, Erodoto 108, recensito.net. Sono nella giuria del Premio Ubu, giurato del Premio Hystrio, membro dell'A.N.C.T., membro di Rete Critica, membro dell'Associazione Teatro Europeo, oltre che giurato per svariati premi e concorsi teatrali italiani e internazionali. Ho pubblicato, con la casa editrice Titivillus, il volume “Mare, Marmo, Memoria” sull'attrice Elisabetta Salvatori. Ho vinto i seguenti premi di critica teatrale: il “Gran Premio Internazionale di critica teatrale Carlos Porto '17”, Festival de Almada, Lisbona, il Premio “Istrice d'Argento '18”, Dramma Popolare San Miniato, il “Premio Città di Montalcino per la Critica d'Arte '19”, il Premio “Chilometri Critici '20”, Teatro delle Sfide di Bientina, il “Premio Carlo Terron '20”, all'interno del “Premio Sipario”, “Festival fare Critica”, Lamezia Terme, il “Premio Scena Critica '20” a cura del sito www.scenacritica.it, il “Premio giornalistico internazionale Campania Terra Felix '20”, sezione “Premio Web Stampa Specializzata”, di Pozzuoli, il Premio Speciale della Giuria al “Premio Casentino '21” sezione “Teatro/Cinema/Critica Cinematografica e Teatrale”, di Poppi, il “Premio Carlos Porto 2020 – Imprensa especializada” a Lisbona. Nel corso di questi anni sono stato invitato in prestigiosi festival internazionali come “Open Look”, San Pietroburgo; “Festival de Almada”, Lisbona; Festival “GIFT”, Tbilisi, Georgia; “Fiams”, Saguenay, Quebec, Canada; “Summerworks”, Toronto, Canada; Teatro Qendra, Pristhina, Kosovo; “International Meetings in Cluj”, Romania; “Mladi Levi”, Lubiana, Slovenia; “Fit Festival”, Lugano, Svizzera; “Mot Festival”, Skopje, Macedonia; “Pierrot Festival”, Stara Zagora, Bulgaria; “Fujairah International Arts festival”, Emirati Arabi Uniti, “Festival Black & White”, Imatra, Finlandia.

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