Narni Città Teatro: tre giorni di arte diffusa

WAUHAUS The Companion 2024

Ormai è un appuntamento imprescindibile che negli ultimi anni ha preso campo e piede all’interno delle tante proposte festivaliere di teatro contemporaneo e performance che costellano la nostra penisola. Da sei anni la direzione artistica di Davide Sacco e Francesco Montanari (con il grande lavoro della direzione organizzativa di Ilaria Ceci) ha portato nella provincia umbra con il Narni Città Teatro uno spaccato di suggestioni internazionali miscelato con artisti di strada, musica, danza e teatro di qualità. A differenza delle passate edizioni, quest’anno il programma è stato sempre ricco di eventi e appuntamenti ma senza il sovrapporsi degli orari che gli scorsi anni aveva creato qualche problema organizzativo e logistico. Iconico il titolo Giocare la vita insistendo sul play verbo anglosassone che può essere declinato come gioco e come fare teatro, due cose strettamente connesse. Intanto le città cambiano e si trasformano e si abbelliscono, attraverso l’arte e i colori, anche zone più marginali e laterali. A Narni Scalo, la zona industriale in pianura rispetto al borgo dove si arriva dopo una serie di tornanti e scale e ascensori, sono sorti, come funghi dopo la pioggia, alcuni bellissimi e ariosi murales a coprire facciate di case o prefabbricati, tutti a tema commedia all’italiana a spingere nella direzione di una risata, anche se amara, quella che sembra mancare in quest’Italia depressa: ecco Marcello Mastroianni con Sofia Loren mentre dall’altra parte della strada spunta su fondo rosso Paolo Stoppa, invece più avanti, tra le varie ditte proseguendo su via Tuderte, si aprono un magistrale Fantozzi con la sua Fiat Bianchina e all’angolo la Sora Lella divisa da un spigolo con il fratello (dice che nella vita reale non corressero buoni rapporti tra i due congiunti) Aldo Fabrizi e ancora un Gastone Moschin, direttamente da Amici Miei, che ci guarda torvo e giudicante nella nostra miseria.

 

Wauhaus, The Companion, piece per una persona sola

Molte le esperienze interessanti da sottolineare, godere, vivere, a partire dal curioso esperimento dei finlandesi Wauhaus e il loro cane robot all’interno della piece per una persona alla volta The Companion, evocativo e inquietante proprio perché attinge ai nostri peggiori incubi e purtroppo è già realtà in alcuni Paesi, vedi la Cina che li utilizza insieme alla Polizia alla ricerca dei criminali. Entriamo titubanti in questa stanza asettica tutta bianca, una colonna al centro e un guinzaglio senza nessun collare. Il silenzio ci avvolge, ci attanaglia. Siamo soli, o meglio, davanti a noi una strana creatura, tutta nera, anzi nerissima, nera come l’abisso, nera come il baratro e il fondo del pozzo. E’ un cane robot, un bulldog francese che ricorda un Cerbero, che vorrebbe essere dolce ma proprio non ci riesce con quella voce metallica pseudo infantile che chiede insistentemente, quasi nazisticamente, i Grattini per poi chiosare con un per piacere che fa risultare il tutto ancora più duro e dittatoriale, un ordine obbligatorio che ti mette con le spalle al muro. Se non esegui sbatte furiosamente le zampette metalliche a terra producendo un rumore sgradevole di attesa e impazienza, di insoddisfazione e ansia. C’è una violenza velata di fondo che aleggia in questa stanza dove siete soltanto in due ma è uno solo che gestisce e dirime il gioco. Il cane parla come Snoopy e già questo mette in subbuglio l’ordine delle cose. Impressiona questo essere che ti guarda fisso senza occhi, senza pupille, senza emozioni, senza alcuna empatia né espressione. Il guinzaglio abbandonato a terra ci ha suggerito l’immagine collodiana di Melampo: qui però il cane, evidentemente chiuso da qualcuno in questo recinto-cortile, è riuscito a liberarsi mentre l’umano, presumibilmente il padrone che qui lo ha rinchiuso, non si vede nei paraggi. Forse lo avrà eliminato? Forse faremo la stessa fine? Ci vuole convincere della sua bontà e vuole che ci avviciniamo a lui abbassando le nostre difese per poi aggredirci? Sicuramente fa paura e incute timore con i suoi comandi imperativi: Sdraiati, Sdraiati sulla schiena, Vieni, Dammi la zampa sempre più nervoso sembra non accettare i rifiuti. Il tappeto sonoro amplifica la sensazione da pellicola horror. Hai la percezione di non poterlo controllare. Oppure è soltanto un’anima in pena in cerca di carezze e amore, forse ha dentro di sé una dolcezza inespressa (come ne La Bella e la Bestia) e sta soltanto implorando un po’ di compassione, di attenzioni, di pietas. Forse dentro di sé ha un essere imprigionato in quell’ammasso di ferraglia, ricordandoci L’Uomo di latta del Mago di Oz: Io chiederò un cervello invece del cuore disse lo Spaventapasseri perché uno stupido non saprebbe che farsene di un cuore, anche se ne avesse uno. Io prenderò il cuore replicò il Boscaiolo di Latta perché l’intelligenza non rende una persona felice, e la felicità è la cosa più bella del mondo. Anche le macchine hanno dei sentimenti? Anche l’Intelligenza Artificiale saprà essere empatica o dominerà come cani senza catene?

La giostra di Adrian Paci

All’interno del Chiostro è andata in scena invece una performance ideata dall’artista albanese Adrian Paci, Chords termine dalla varie sfaccettature: può significare infatti accordo ma anche corda fino a catena, qualcosa che stringe, che lega. Qui è declinato verso la fiducia. Tra il prato verde, i mattoni rosso stinto e il cielo celeste prima un uomo sta solo in piedi nella fetta di sole che il pomeriggio ritaglia tra gli archi. Piano piano arrivano altre persone (alla fine saranno dieci e tutti uomini, non abbiamo capito il perché) che si fermano davanti agli altri già allineati e si stringono la mano, un semplice saluto rispettoso, franco, sincero. Questi uomini in fila, a formare una linea retta, guardano lontano, verso l’orizzonte, verso l’altrove. Come durante la messa, scambiamoci un segno di pace. E ricomincia la giostra: il primo ridà la mano a tutti gli altri, e così il secondo, e si posiziona scegliendo un’altra linea nel campo brullo del chiostro. All’inizio questi uomini rimanevano confinati nel trapezio illuminato dal sole prossimo al tramonto e questa poteva essere una chiave di lettura: uomini, sbalestrati dai cambiamenti della società, che si uniscono impauriti cercando un posto al sole nel mondo, un luogo illuminato, sempre più piccolo, dove sentirsi riparati e parte di un tutto, stretti in un angolo mentre il buio avanza a mangiarsi i loro valori, le loro tradizioni. Invece, delusi, constatiamo che la ricerca della luce era soltanto un nostro desiderio che si infrange quando le linee dei dieci sforano nell’ombra lasciandoci con le due domande inevase: Perché solo uomini? Perché non rimanere confinati nella luce mentre la bellezza della caducità del tramonto stava conferendo un’aura sacrale e rituale al gesto?

L’installazione di Ilaria Ceci

Curiosissima l’installazione vivente, ideata da Ilaria Ceci, dal titolo carveriano Di cosa parliamo quando parliamo d’amore della durata di 48 h. Due giovani attori, Claudia Grassi e Jacopo Riccardi, reclusi dentro una casetta rossa al centro della piazza narnese, un monolocale di 20 metri quadri senza tetto, alle prese con la vita di coppia e con un trasloco da compiere in quei due giorni, ovvero inscatolare tutto e intanto conversare, mangiare, amarsi, dormire, litigare. Il pubblico, i passanti potevano ascoltare con l’ausilio di cuffie i dialoghi all’interno delle quattro pareti tra baci, carezze o discussioni sul quotidiano. Curioso che tra gli invitati del festival ci fosse Roberta Beta, partecipante al primo Grande Fratello e quindi rinchiusa veramente nella casa più spiata della televisione italiana senza possibilità di comunicazioni con l’esterno. Il tutto ha un sapore morboso e voyeuristico, quasi da peep show, i box all’interno dei quali agiscono performance hot. I due hanno realmente vissuto per due giorni consecutivi, notte compresa, sotto l’occhio costante delle persone incuriosite. Gli attori recitavano, e vivevano la scena, indipendentemente che ci fosse qualcuno ad osservarli o ad ascoltarli dalle tre grandi finestre che si affacciavano su questo nido che diventa chiusura verso l’esterno al retrogusto amaro di lockdown.

Al tramonto con Monad e Piovani

Al tramonto, nella calura, guardando la Valle del Nera, una danza elegante, raffinata, curata, ha smosso il vento, ha alzato la brezza, ha shakerato l’aria. I due danzatori della compagnia francese Monad con questo duetto Yin Zero, sensuale e faticosissimo, emozionante e conturbante, coinvolgente e ritualistico, hanno danzato con le loro gonne da dervisci, quasi cappelli, su quattro canzoni: la prima romantica, la seconda dai bassi pesanti, la terza intimista, l’ultima disco dance. Volteggiano sul tappeto bianco, uno in nero, l’altro in grigio, hanno delle palle in mano (sembrano delle bocce da spiaggia) e le muovono sulle mani, sulla testa, le fanno scivolare sulle braccia come pianeti gestiti e direzionati da Atlante. Il loro movimento è un mantra che ipnotizza ed è facile perdersi e ritrovarsi nelle steppe della Mongolia mentre si sentono frusciare i dolci passi veloci che infondono armonia, pace e grazia.

Illuminante il genio di Nicola Piovani che, oltre ad utilizzare il suo linguaggio preferito, ovvero i tasti del pianoforte, si è dimostrato con Note a margine anche un emozionante intrattenitore tessendo una drammaturgia tra le colonne sonore della sua vita e i ricordi, gli aneddoti, i dettagli legati alla sua professione e inevitabilmente alle sue musiche. Con i disegni di Milo Manara alle sue spalle ci ha portato dentro La notte di San Lorenzo dei Fratelli Taviani parlandoci di Resistenza, tra le pieghe di Speriamo che sia femmina e il suo rapporto brusco ma affettuoso con Mario Monicelli e poi la lunga sinergia con Nanni Moretti da La messa è finita a Caro Diario. Spassoso il ricordo di Federico Fellini, per il quale ha composto per La voce della Luna e dei loro ritorni in macchina la sera dopo le riprese quando il regista riminese gli faceva sempre, volontariamente o meno, sbagliare strada per poi smarrirsi nelle viuzze di campagna: E se ci perdiamo un’altra volta? chiedeva un giovane Piovani, Speriamo risponde Fellini. E’ sempre bello quando un gigante, con amore e umiltà, apre il suo cassetto segreto degli episodi e delle storie personali; è proprio lì che capisci perché qualcuno è un Maestro e tanti altri semplici mestieranti di successo. E avresti voglia che non finisca mai e che quella musica e quelle parole ti cullino verso la notte. Le note a margine sembrano laterali, piccole, insignificanti come tanti momenti di vita, ma sono quel pepe che dà senso e gusto all’intera esistenza.

Visti domenica 8 giugno Narni Città Festival

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Sono laureato in Scienze Politiche alla Cesare Alfieri di Firenze, sono iscritto all'Ordine dei Giornalisti dal 2004 e critico teatrale. Ho scritto, tra gli altri, per i giornali cartacei Il Corriere di Firenze, per il Portale Giovani del Comune di Firenze, per la rivista della Biennale Teatro di Venezia, 2011, 2012, per “Il Fatto Quotidiano” e sul ilfattoquotidiano, per i mensili “Ambasciata Teatrale”, “Lungarno”, per il sito “Words in Freedom”; per “Florence is You”, per la rivista trimestrale “Hystrio”. Parallelamente per i siti internet: succoacido.it, scanner.it, corrierenazionale.it, rumorscena.com, Erodoto 108, recensito.net. Sono nella giuria del Premio Ubu, giurato del Premio Hystrio, membro dell'A.N.C.T., membro di Rete Critica, membro dell'Associazione Teatro Europeo, oltre che giurato per svariati premi e concorsi teatrali italiani e internazionali. Ho pubblicato, con la casa editrice Titivillus, il volume “Mare, Marmo, Memoria” sull'attrice Elisabetta Salvatori. Ho vinto i seguenti premi di critica teatrale: il “Gran Premio Internazionale di critica teatrale Carlos Porto '17”, Festival de Almada, Lisbona, il Premio “Istrice d'Argento '18”, Dramma Popolare San Miniato, il “Premio Città di Montalcino per la Critica d'Arte '19”, il Premio “Chilometri Critici '20”, Teatro delle Sfide di Bientina, il “Premio Carlo Terron '20”, all'interno del “Premio Sipario”, “Festival fare Critica”, Lamezia Terme, il “Premio Scena Critica '20” a cura del sito www.scenacritica.it, il “Premio giornalistico internazionale Campania Terra Felix '20”, sezione “Premio Web Stampa Specializzata”, di Pozzuoli, il Premio Speciale della Giuria al “Premio Casentino '21” sezione “Teatro/Cinema/Critica Cinematografica e Teatrale”, di Poppi, il “Premio Carlos Porto 2020 – Imprensa especializada” a Lisbona. Nel corso di questi anni sono stato invitato in prestigiosi festival internazionali come “Open Look”, San Pietroburgo; “Festival de Almada”, Lisbona; Festival “GIFT”, Tbilisi, Georgia; “Fiams”, Saguenay, Quebec, Canada; “Summerworks”, Toronto, Canada; Teatro Qendra, Pristhina, Kosovo; “International Meetings in Cluj”, Romania; “Mladi Levi”, Lubiana, Slovenia; “Fit Festival”, Lugano, Svizzera; “Mot Festival”, Skopje, Macedonia; “Pierrot Festival”, Stara Zagora, Bulgaria; “Fujairah International Arts festival”, Emirati Arabi Uniti, “Festival Black & White”, Imatra, Finlandia.

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