Cosmografie. Mappe sensibili di un mondo ancora da desiderare

 

Il 5 e il 6 giugno le Artificerie Almagià di Ravenna sono state attraversate da un flusso eterogeneo e pulsante: Cosmografie, prima edizione di un evento interlinguistico ideato dall’associazione Nebula, si è configurato come un tentativo — poeticamente politico — di rallentare il tempo, ascoltare le forme dell’alterità e tessere narrazioni non lineari del nostro abitare contemporaneo.

Non una rassegna né un festival, ma un dispositivo transitorio, un ambiente poroso e stratificato dove danza, arti visive, suono e parola non si sono offerte come linguaggi autonomi o chiusi, bensì come pratiche di coabitazione e di scambio continuo.

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IPERTESTI DEL SENSIBILE

Lontano da ogni retorica celebrativa della “multidisciplinarietà”, Cosmografie ha percorso una traiettoria più sottile e radicale: quella della creazione di spazi intermedi, di soglie percettive, di costellazioni in cui la visione non è mera ricezione, ma relazione aperta e mutante.

La scelta di aprire con un laboratorio di costruzione condotto da Elisa Capucci, anziché con una performance spettacolare, si è rivelata emblematica: si è prima costruito un dispositivo insieme, si è abbracciato un tempo condiviso di creazione, per poi osservare — o meglio, guardare costruendo — nel tentativo di oltrepassare il paradigma tradizionale, spesso passivo, della fruizione.

Ne è esemplare l’installazione The Post-Material Archive 01, a cura di marte: un atlante fragile e polifonico di memorie, oggetti, tracce, dove l’archiviazione non si configura come gesto museale o di controllo, ma come atto poetico, eterogeneo e relazionale, un tentativo di preservare non cose, bensì affetti e sospensioni di senso.

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CORPI-ALTRI, PAESAGGI DA ABITARE

Il cuore pulsante della nostra esperienza a Cosmografie è stato ULTRAUMANO, durational performance di Nicola Galli.

Qui il corpo si è fatto antenna e soglia, interrogazione aperta più che risposta: un organismo che si distanzia da qualsiasi forma di rappresentazione umana tradizionale, declinando un processo di decostruzione e reinvenzione a partire dai propri limiti e vulnerabilità.

Nello spazio vibrante dell’Almagià, il gesto si è dilatato e assottigliato, si è trasformato in paesaggio, in piega, in crepa temporale.

Nel contesto di Cosmografie ha assunto valenza di specchio e di prisma: ha interrogato il nostro abitare contemporaneo, la frattura e la crisi dei regimi di dominanza antropocentrica, il fragile equilibrio tra presenza e ciò che ci oltrepassa e ci precede.
Non ha offerto soluzioni, ma ha aperto uno spazio di immaginazione come potenza creaturale e creativa: attraverso la durata, l’assolo, la sospensione, ha convocato un ascolto di dimensioni ignote, invisibili ma presenti — corporee, micro-biologiche, atmosferiche.

Questa indagine si è dispiegata all’interno di un habitat non solo fisico ma relazionale e temporale, un luogo in cui il corpo è divenuto territorio da attraversare senza possesso, spazio d’incontro tra forze visibili e invisibili.

In ULTRAUMANO, la materia del gesto si è fusa con la texture ambientale, generando un paesaggio mutante e organico, quasi un organismo in sé.

Qui la distinzione tra interno ed esterno si è dissolta, lasciando emergere una coabitazione fragile e dinamica, in cui il confine tra umano e altro-da-umano si è fatto incerto, labile.

Il corpo, più che abitare uno spazio, si è lasciato abitare da esso, in un continuo scambio di significanti e significati, rimandando a una topologia fluida del sé, che richiama la pratica della danza contemporanea come esperienza di attraversamento, metamorfosi e accoglienza dell’alterità.

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TOPOGRAFIE DELL’INVISIBILE

Cosmografie è apparso, ai nostri occhi, come un progetto che non si prefiggeva di pronunciare un’ultima parola ma di aprire domande.

Un gesto curatoriale che assume la forma del paesaggio: mutevole, stratificato, in perenne trasformazione.

Un invito a pensare in termini di ecologia relazionale, a mettere in crisi e attraversare i confini tra arte e vita, tra umano e non-umano, tra gesto e pensiero.

In un’epoca dominata dalla semplificazione e dalla frenesia, questo evento si è configurato come zona di decelerazione e complessità, come mappa sensibile da scrivere insieme — con i corpi, le mani, le voci, gli sguardi.

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