Già nel titolo “Pinocchio. Cos’è una persona?” Davide Iodice e la sua “Scuola elementare del teatro”, andato in scena a Venezia nell’ambito della Biennale Teatro 2025, si nasconde un indizio, un filo rosso che la illumina di senso e che è un ponte.
Questo indizio, questo filo rosso è il concetto, l’idea, la percezione comune e anche etimologica, storica ed estetica di ‘persona’, un indizio che apre e così entra nella messinscena accompagnato giustamente da un punto interrogativo.
Si sa che persona è l’individuo storicamente, socialmente e anche giuridicamente determinato nei suoi doveri e diritti, a partire da quell’habeas corpus che lo delimita nella sua concreta fisicità, nel corpo cioè, ma ‘persona’ è anche la ‘maschera teatrale’ esteticamente sovrapposta anche idealmente e determinata, o meglio indeterminata per il suo essere immagine dell’immaginazione, nel corpo dell’attore in scena.
È in fondo la porta che apre ai due mondi da tempo frequentati da Davide Iodice, quello della società del disagio, ma non solo o soprattutto, e quello della società del teatro, che apre e li ri-unisce (perchè unite lo sono da sempre e comunque) in una osmosi creativa, senza superbe ambizioni di ‘riscatto’, che genera una reciproca consapevolezza di cui la scena è l’accogliente, attiva e proattiva protagonista.
Del resto, come è efficacemente scritto nella presentazione dello spettacolo “il lavoro di ridefinizione delle identità attraverso lo strumento dell’arte, la centralità della persona e delle sue fragilità, sono i principi alla base della pedagogia della “Scuola elementare del Teatro”.
Ma credo debba essere innanzitutto sfatato un equivoco: qualunque drammaturgia, anche in questo specifico caso, non è teatro pedagogico (o meglio tutte lo sono anche senza sembrarlo), o teatro di cura, o teatro del disagio, è teatro tout court senza etichette e definizioni.
Se l’approccio è, o può essere considerato con tutte le cautele del caso, ‘singolare’, il risultato scenico è comune ad ogni modalità o forma di rappresentazione teatrale, e come tale va considerato e dunque come tale qui lo considereremo.
A partire da Pinocchio, il personaggio/persona che, narrativamente e linguisticamente, fa più di ogni altro da ponte tra i due mondi che abbiamo citato e che in fondo, poi, sono il mondo nel quale noi viviamo visto da due finestre poste in angoli diversi della nostra vita.
Ma Pinocchio è anche la maschera che più di ogni altra è in grado di rappresentare la parabola di condivisione, di vita e di desiderio, anche quando, purtroppo, si trasforma, magari inconsapevolmente, o addirittura come in Geppetto, con le migliori buone intenzioni (che spesso peraltro lastricano la strada dell’Inferno) nella ‘coatta’ imposizione di una ‘normalità’, i cui lineamenti sono spesso quelli della ‘convenzione sociale’, borghese in quanto la nostra Società è tale oggi e ieri.
Una contraddizione che lacerò lo stesso Collodi che, come noto trasformò la chiusa della prima stesura (Pinocchio impiccato) in una più confortante e magica trasformazione di Pinocchio in bambino umano, da ‘persona’ (maschera) a ‘persona’ (uomo) si potrebbe dire.
Cosa sia meglio Iodice non lo dice e forse, come noi, non lo sa, ma anche con questo suo spettacolo riflette, e ci fa riflettere, sulla diversità, che non è solo quella dei ‘diversi’ ma pure quella di tanti di noi cosiddetti ‘normali’ alle prese con i propri limiti, difetti, dubbi e incertezze e contraddizioni.
E con sensibilità singolare ci riesce, anche quando si impone e ci chiede di guardare la vita attraverso la lente distorta ma illuminante di “un’adolescenza incomprensibile, incompresa, nel cui tormento a tratti gioiosamente furioso, a tratti cupo e irredimibile, si specchia una società di adulti da macchietta o in rovina”, così da redimere il “legno stuprato” di Carmelo Bene ma insieme anche lo stupratore.
Davide Iodice, curando ideazione, drammaturgia, regia scene e luci, è il deus ex machina di questa rappresentazione calata sulla scena da un invisibile empireo, ma i molti attori suoi protagonisti sono lo strumento ineludibile del suo coerente transito.
Attori che la psichiatria chiama e definisce rigidamente dentro molti nomi e molte sindromi, ma che ci piace chiamare solo attori e attrici, tutti e tutte molto bravi.
Visto all’Arsenale di Venezia, Teatro alle Tese, mercoledì 4 giugno e giovedì 5 giugno. Molti gli applausi per tutti con standing ovation.
Pinocchio. Cos’è una persona? Ideazione, drammaturgia, regia, scene e luci Davide Iodice. Compagnia SCUOLA ELEMENTARE DEL TEATRO APS. Partner Campania Teatro Festival, FORGAT ODV, Teatro Trianon Viviani. Con Giorgio Albero, Gaetano Balzano, Danilo Blaquier, Federico Caccese, Stefano Cocifoglia, Veronica D’Elia, Giuseppe De Cesare, Simona De Cesare, Patrizia De Rosa, Gianluca De Stefano, Paola Delli Paoli, Chiara Alina Di Sarno, Aliù Fofana, Cynthia Fiumanò, Marino Mazzei, Serena Mazzei, Giuseppina Oliva, Ariele Pone, Tommaso Renzuto Iodice, Antonio Senese, Giovanna Silvestri, Jurij Tognaccini, Renato Tognaccini. Training e studi sul movimento Chiara Alborino, Lia Gusein-Zadé. Equipe pedagogica e collaborazione al processo creativo Monica Palomby, Eleonora Ricciardi tutor Danilo Blaquier, Veronica D’Elia, Mara Merullo. Cura del processo laboratoriale SCUOLA ELEMENTARE DEL TEATRO APS. Versi Giovanna Silvestri. Realizzazione scene Ivan Gordiano Borrelli. Costumi Daniela Salernitano con Federica Ferreri. Maschere Tiziano Fario, Davide Iodice. Tecnico del suono Luigi Di Martino. Tecnico luci Simone Picardi. Fotografo di scena Renato Esposito. Direttrice di produzione Hilenia De Falco. Traduzione e adattamento sovratitoli a cura di Matilde Vigna, Edward Fortes. Si ringrazia Gabriele D’Elia, Natalia Di Vivo, Tonia Persico, Ilaria Scarano, Antonio Senese. Produzione Interno5, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale.