L’arcobaleno in una bottiglia

ph Simone Infantino

 

La natura non ammette salti. Non procede per strappi e tagli ma per via di metamorfosi continue di forme, materie, forze, energie. Nulla crea e nulla distrugge, tutto trasforma variando gradienti, mutando stati, amalgamando elementi senza prediligere mai la discontinuità. È la nostra volontà, mossa dalle pulsioni e dai desideri che si intersecano nel caleidoscopio degli accadimenti e degli incontri, che ci rende capaci di compiere salti, virate, scelte, di andare anche contro noi stessi e contro la vita.

Carrozzeria Orfeo ci avvince fin dal titolo con il nuovo spettacolo Misurare il salto delle rane, visto al suo debutto presso il Teatro Nuovo di Napoli nel contesto del ricchissimo programma del Campania Teatro Festival (la produzione è del Festival stesso con Fondazione Teatro Due, Accademia Perduta/Romagna Teatri, Teatro Stabile d’Abruzzo, Teatri di Bari). Non poteva esserci viatico migliore della salita ai Quartieri Spagnoli, tempio a cielo aperto della collisione tra gli opposti, ascesa e discesa sgargiante e sdrucita nell’umano troppo umano, nell’oro di Napoli.

Il testo di Gabriele di Luca (sua anche la regia, con Massimiliano Setti) ci porta dentro una palude cupa, un acquitrino stagnante e immoto che si increspa all’arrivo di Iris (Marina Occhionero), una giovane donna nella cui vita ha inopinatamente fatto irruzione un passato non suo, manifestandosi con modalità che oscillano tra il visionario e l’onirico e poi nella forma concreta di una bottiglia di vetro contenente un messaggio affidato all’acqua oltre vent’anni prima da una quindicenne suicida, prima di tuffarsi.

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ph Simone Infantino

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È impossibile per chi resta sulla riva misurare il grande salto dalla vita alla morte, soprattutto quando chi lo compie sceglie di farlo deliberatamente. Torna alla mente l’immagine celeberrima e potentissima affrescata nella Tomba del Tuffatore nella vicina Paestum, la silhouette di un corpo nudo che spicca il volo, eternamente sospeso nel vuoto incommensurabile, nel bianco assoluto di un fotogramma capace di parlare dell’inconoscibile agli uomini di ogni tempo.

Similmente la distanza di chi non c’è più può apparire infinita e nulla al tempo stesso, l’assenza può cristallizzare in una presenza costante con cui continuare a interagire e a parlare, per cui mettere da parte le caramelle preferite.

Carrozzeria Orfeo si misura con questo salto in un testo denso e brillante, capace come d’abitudine di spaziare tra molti registri diversi, un calibratissimo congegno ad orologeria di rivelazioni, memorie, riflessioni, imprevisti e misteri che ha richiesto un salto di qualità e un rinnovamento anche nei metodi: nessun membro della compagnia è in scena ed il numero di attori coinvolti è ridotto a tre sole presenze, tutte al femminile.

Il palcoscenico è la sponda del lago sulla quale si affaccia la casa di Lori (Elsa Bossi), madre ormai anziana della ragazza che con il suo suicidio ha saturato di sé ogni istante residuo dell’esistenza di chi le voleva bene, una donna affinata anche nel fisico dalle amarezze, dall’aver cresciuto la figlia da sola, dal dolore, apparentemente riarsa nel sentire.

Con lei c’è Betti (Chiara Stoppa), nata per errore da un aborto malriuscito, irascibile e muscolare trentasettenne che cerca ossessivamente le risse con gli uomini per colmare i buchi neri di una vita senza né arte né parte, un tempo inseparabile amica della suicida e ora allenatrice della rana Froggy, che nutre coccola e porta sempre con sé come un animale domestico, addestrandolo per le gare di salto e surrogando con la sua presenza l’amica perduta.

Due donne che cercano di sbarcare il lunario in un contesto sociale ostile, giudicante, che le ha segnate a vita con un marchio di infamia e pazzia. Una fa di tutto per rendersi invisibile nel silenzio e l’altra per eccedere, esagerare, distruggere: la loro interazione tra affetto e rabbia descrive la forma dell’assenza, sono la fanciulla morta ed il trauma ad ingombrare la scena e a definire i contorni delle identità.

L’arrivo di Iris è un fuori schema, un innesco formidabile, una rivoluzione copernicana, è lo sguardo senza pregiudizi che serve a chi è rimasto sulla riva per ritrovare se stesso, per riuscire a scegliere di ricominciare a vivere, per uscire dal paradosso, dallo stallo dell’eterna presenza dell’assenza.

È suo il ruolo di chi viene dall’altra parte, dall’altra sponda, del connettore tra spazi e tempi lontani, ponte, gancio, fune tesa, addirittura un collegamento tra cielo e terra se vogliamo portare alle estreme conseguenze il senso di ciò che il suo nome evoca in riferimento alla divinità omonima, che nella mitologia classica è messaggera degli dei e personificazione dell’arcobaleno, il grande salto colorato segno di benevolenza e di pace. Iris è mossa da un’urgenza, si sente chiamata in causa, investita del compito di portare a destinazione il messaggio, una frase sola le risuona dentro, la trascina, la muove, le fa guardare la propria esistenza con occhi diversi, vorrei vivere.

Da qui a posso vivere, voglio vivere, c’è un salto in lungo di volontà.

MARIA FERRONI

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ph Simone Infantino

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CALENDARIO 2025-2026 (in aggiornamento):

28 giugno 2025 | Asti – Teatro Alfieri | Asti Teatro 47

19 settembre 2025 | Seriate (Bergamo) – Cineteatro Gavazzeni

22 settembre 2025 | Forlì – Teatro Testori | Colpi di Scena

20-30 novembre 2025 | Parma – Teatro Due

4-5 dicembre 2025 | L’Aquila – Ridotto del Teatro Comunale

9-14 dicembre 2025 | Torino – Teatro Gobetti

17 dicembre 2025 | Mirandola (MO) – Aula Magna Rita Levi Montalcini

18 dicembre 2025 | Mantova – Teatro Sociale

20-21 dicembre 2025 | Bari – Teatro Kismet

9 gennaio 2026 | Rimini – Teatro Galli

11 gennaio 2026 | Lecce – Teatro Koreja

16 gennaio 2026 | Faenza – Teatro Masini

17 gennaio 2026 | Cervia – Teatro Walter Chiari

27 gennaio – 8 febbraio 2026 | Roma – Teatro Vascello

13 febbraio 2026 | Reggello (FI) – Teatro Excelsior

21-26 aprile 2026 | Milano – Teatro Elfo Puccini

 

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