Ho letto Limonov di Carrère qualche anno fa e l’ho trovato un ritratto unico di un uomo che mescola poesia, radicalismo politico, rabbia e auto-distruzione. Il libro ti cattura perché scava nelle contraddizioni: Limonov è misogino ma affascinante, poeta e guru nazionalsocialista, dissidente poetico e ardente nazionalista.
Diversi mesi fa, spinto dall’interesse per questo libro e per questo personaggio, seppi che Kirill Serebrennikov, un regista russo molto conosciuto anche in Europa e di cui ho parlato in uno dei miei precedenti articoli, stava girando un film su di lui e sono andato a vederlo.
Dal punto di vista visivo, il film è una potenza.
Regia nervosa, montaggio affilato, fotografia sound e design da rock‑video anni ’70. Ben Whishaw è espressivo, camaleontico, perfino disturbante, con una performance che ti cattura anche quando la narrazione vacilla. Il film ha quel “gusto da rockstar”: c’è rabbia, sex appeal e si percepisce chiaramente la tensione tra il poeta fragile e il guerriero cinico.
Eppure serve una doppia lettura: se visivamente è un’esplosione, sul piano narrativo non sempre regge.
È strutturato come una sequenza di flash che mostrano momenti iconici: New York, Parigi, i primi bagni di sangue politico –, ma manca un filo che leghi, che faccia sentire meglio il passaggio da artista ad estremista. Le scelte più controverse di Limonov, l’impegno politico violento, le guerre nei Balcani e in Ucraina, vengono citate in chiusura, ma appaiono come fotogrammi scollegati: li vedi, ma non li senti.
Da amante della lingua russa mi avventuro anche in una particolare osservazione: l’accento inglese di Whishaw, invece di dare autenticità, a volte distrae: il mix tra inglese e russo non mi ha convinto del tutto. Avrebbero potuto girare in russo o rinunciare del tutto alla finzione dell’accento. Qui invece si resta sempre un passo fuori dalla realtà.
Sembra quasi che il film si innamori della forma, della sua potenza estetica – e la forma di Serebrennikov è sempre forte – ma la sostanza politica rischia di restare sotto traccia. Manca davvero quel filo rosso che unisca creatività e follia all’evoluzione ideologica. Non c’è abbastanza spazio per capire come un poeta che si faceva chiamare “Eddie” nei bar di New York abbia preso quella strada.
.
.
Uno degli aspetti che più mi ha lasciato perplesso è l’assenza di una reale introspezione. Il film ti mostra Limonov in mille travestimenti, tra letto, palco e guerra, ma raramente ci fa entrare nei suoi pensieri. Non c’è una voce interiore, né un vero conflitto interiore. Tutto resta in superficie, come se l’evoluzione del personaggio fosse più una questione di costumi di scena che di cambiamento profondo.
E lo stesso vale per il contesto storico e politico. La Russia, l’Unione Sovietica, la guerra in Cecenia o in Ucraina sono appena evocati, come fondali teatrali. Il film si concentra così tanto su Limonov come figura performativa da dimenticarsi quasi il mondo in cui si muoveva. Eppure è proprio il contrasto tra il suo narcisismo e la tragedia storica intorno a lui che lo rendeva così inquietante e complesso nel libro. Qui invece ci resta solo il riflesso del personaggio, non la sua ombra.
Rimane però una visione potente, uno sguardo immersivo su un uomo che si sentiva in eterno conflitto con se stesso. Whishaw ti fa sentire quel conflitto: la rabbia, l’insicurezza, la spinta a trasformare ogni falla in identità pubblica. Ma il risultato è un’icona disturbante, più rock’n’roll che radicale.
.
,
Limonov è un film visivamente audace, con un Whishaw che vive il personaggio fino alla pelle. Ma per chi, come me, arriva dal libro di Carrère, manca una vera immersione nella tensione tra arte e ideologia, tra poeta e violento, tra dissidente e fascista. Mi aspettavo di più sull’uomo politico, sulla parabola che lo porta a fondare un partito che sfiora l’ideologia nazista. Invece mi sono ritrovato davanti a una ballata potente – ma priva di quell’ombra intellettuale e storica che rende Limonov così controverso.
Resta un’esperienza cinematica forte, ma incompleta sul piano della profondità.
Se cercate solo energia visiva e un protagonista magnetico, ve lo consiglio.
Se invece vi interessano le idee, le ambiguità politiche, la coerenza di un percorso umano, forse rimarrete con il desiderio di qualcosa di più.
.