Rovesciare i propri occhi. Su Bellezza dell’effimero di Pierre Zaoui

Helen Levitt, Children with Soap Bubbles, 1945

 

«Lascerò che ogni tipo di uccello voli in casa mia; mai chiuderò le finestre e il vento avvolgerà sempre i miei passi»: si apre con un’aerea, programmatica citazione di Giuseppe Penone il nuovo illuminante saggio del filosofo francese Pierre Zaoui, pubblicato da il Saggiatore poche settimane fa.

Bellezza dell’effimero, questo il titolo, articola attingendo a piene mani dalla Storia della Filosofia, ma anche delle Arti visive, un ribaltamento di sguardo tanto minimale quanto radicale che proprio Penone negli anni Settanta sintetizzò nel progetto citato nel titolo di queste note.

«Rovesciare i propri occhi è una serie di lavori attraverso cui l’artista rivela qualcosa che in realtà esiste, ma che lo spettatore non è in grado di percepire appieno spontaneamente» si legge nel suo sito web «L’artista, reso cieco dalle lenti e privato del suo sguardo, riflette nei suoi occhi il paesaggio che gli sta davanti, e che lo spettatore può intravedere nello specchio delle sue lenti».

.

Giuseppe Penone, Rovesciare i propri occhi, 1970

.

Arte come possibilità di farsi attraversare, mediante un minuto, accurato accorgersi.

Di questo tratta, in gran sintesi, il commovente saggio di Zaoui: commovente nel senso letterale del farci insieme muovere verso e attraverso l’arte del poco e del niente.

«Giuro che io salverò la delicatezza mia» si potrebbe far eco con i celebri versi di Mariangela Gualtieri «la delicatezza del poco e del niente / del poco poco, / salverò il poco e il niente il colore sfumato, / l’ombra piccola / l’impercettibile che viene alla luce / il seme dentro il seme, / il niente dentro quel seme. / Perché da quel niente nasce ogni frutto. / Da quel niente / tutto viene».

È con smisurata fiducia verso quel poco, e con chirurgica esattezza nel necessario ribaltamento di sguardo, che queste duecento pagine propongono un attraversamento -colto e al contempo lieve, a tratti finanche ironico- che prende a occasione la pratica infantile del fare bolle di sapone.

.

Édouard Manet, Ragazzo che soffia bolle di sapone, 1867

.

Apologia «di una vita votata alla grazia» che decostruisce, con sorridente, feroce implacabilità, secoli di pensiero escludente e verticale su cosa è meritevole (perché duraturo e pregno di valori morali) e ciò che è vano, che ha unicamente «gioia gratuita di esistere» e che subito, e senza lasciar traccia, scompare.

Molte pagine e pensieri sono dedicati al rapporto tra le bolle di sapone e l’arte del dono: «La bolla di sapone […] è un dono assoluto, che il donatore non riavrà mai indietro, ed è un dono vano, poiché il donatario non potrà appropiarsene per incorporarlo a sé».

Un «dono puro», lo definisce «che liberi dall’inferno del dono e dalla triade “dare-ricevere-ricambiare” analizzata da Marcell Mauss» (per chi ne avesse curiosità, il riferimento è l’ormai classico Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche del 1924).

Come non pensare allo Zen, là dove Zaoui sintetizza «la bolla […] scompare senza lasciare traccia e, così facendo, ci libera da qualsiasi immutabilità e da qualsiasi attaccamento»?

.

Pieter Bruegel il Vecchio, Giochi di bambini, 1560 (particolare)

.

Da lì a una stratificata riflessione sulla morte il passo è breve (o smisurato, ma è indubbio merito di questo autore farcelo apparire cosa da bambini): stratificata, ma sempre ricondotta al qui e ora dell’esperienza personale, come vivace esortazione a permanere con pienezza non (auto)giudicante, in una condizione di cui spesso l’infanzia è maestra.

Un esempio fra molti: «La parola mori nell’espressione memento mori è un presente, non un futuro, e dunque l’ingiunzione non significa letteralmente “ricordati che morirai”, ma “ricordati che muori, che stai già morendo”».

Ciò sia letto, ovviamente, come incoraggiamento a una maggiore, semplice pienezza: a «un rapporto con la morte vivo».

Tanto altro si potrebbe e forse dovrebbe dire di questo piccolo tesoro-in-forma-di-libro.

Ma forse prima è meglio uscir fuori, all’aria aperta, soffiare una bolla, guardare volteggiare a mezz’aria quella sua vuota pienezza, finché scompare.

.

.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.