Dance, Singular Plural. Uno sguardo sulla NID Platform

Stabat Mater - ph Paolo Rossi

 

Con la sontuosa e classicheggiante resa coreografica dello Stabat Mater di Rossini, realizzata da Monica Casadei con 16 danzatori, si sono consumati i nostri tre giorni di sguardi e di visioni con i quali abbiamo attraversato la chiaroscurale nona edizione della NID Platform, la piattaforma della danza italiana, organizzata dall’1 al 4 ottobre, con grande e operosa cura dall’AMAT, Associazione Marchigiana Attività Teatrali, capitanata da Gilberto Santini, che ha accolto e vinto la sfida di accogliere da tutta Italia, ma non solo, più di cinquecento operatori, critici, artisti e pubblico in diversi teatri della Regione, sconfinando da Civitanova a Porto Sant’Elpidio e Fermo.

La manifestazione, intitolata quest’anno Dance, Singular Plural, che seguiamo con estremo interesse da quasi un decennio, nata dalla condivisione tra diversi organismi che si occupano della distribuzione della danza, con la Direzione Generale Spettacolo del MiC e le Regioni di riferimento, diventata da poco da biennale ad annuale, a nostro avviso, con minor accortezza di intenti, ci ha sempre dato, in modo fervido di approfondimento, l’occasione di “assaggiare “ alcune delle diverse direzioni verso cui si muove questo particolare linguaggio dello Spettacolo nel nostro paese.

Nei nostri tre giorni di benefica permanenza ne abbiamo potuto ancora una volta constatare l’essenza e il valore, attraverso 13 performance e 6 studi in divenire, operati sia da compagnie che già conoscevamo, sia da altre di cui avevamo percepito solo il nome, offrendoci meritoriamente anche l’opportunità di scoprire nuovi talenti.

Siamo riusciti così, nel contempo, avendola attraversata negli anni, di capirne l’evoluzione e le caratteristiche attuali.

Edizione chiaroscurale, dicevamo, che, se è vero come è vero, ci ha permesso di vedere diversificati modi di porre in scena la danza, accompagnata davvero da una qualità sempre di ottimo livello dei performer, nel medesimo tempo, difficilmente siamo stati illuminati da una benefica luce che squarciasse i fumi che invadevano quasi sempre la scena, intravvedendo davvero poco un forte chiarore che colorasse la noia che a volte ci invadeva per coreografie troppo lunghe e ripetitive e capace di irrorare i costumi ogni volta neri e della medesima foggia, consentendoci infine la possibilità di danzare insieme ai performer, invasi anche noi da un’energia non banalizzata che si potesse trasmettere anche sul pubblico meno attrezzato.

Ci siamo posti così alcune domande a cui lasciamo ad altri la risposta: è questa la danza che percorre il nostro paese e che abbiamo offerto agli organizzatori stranieri giunti a Civitanova?

Diremmo subito forse di no, dopo aver ammirato proprio quest’anno, tra gli altri, gli straordinari nuovi spettacoli di Carlo Massari Strangers in The Night, dove la danza tra tragedia e commedia si sussegue con forza davvero stupefacente, mescolando forme e modi diversi, poi Epiphania, mi rendo manifesta di Abbondanza/Bertoni, coreografia di grande impatto visivo ed emozionale dove il corpo femminile, pur e proprio nel suo continuo smembrarsi, ha la sua completa ed esplosiva realizzazione e infine Asteroide di Marco D’Agostin, musical sofisticatissimo capace di condurci tra parola e gesto, cielo e terra.

Oppure, e meglio, potremmo aggiungere, visti i tagli e le esternazioni piovute addosso al comparto della Danza : chi dall’alto ci vuole governare ce la vuole proporre forse in questo modo rassicurante con modelli non sempre confacenti a ciò che il contemporaneo ci suggerisce? Parecchie delle performance che abbiamo visto ci ha portato a queste riflessioni che abbiamo sentito il bisogno urgente di esternare, confortati anche dalle impressioni di molti altri operatori presenti.

Intendiamoci subito, non tutto quello che ci è stato proposto va in questa direzione.

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Op.22 No.2 – ph Andrea Macchia

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Non si può non amare la danza corroborante di Marta Ciappina in Op.22 No.2, coreografata da Alessandro Sciarroni che illumina la Chiesa di San Francesco, facendo galoppare la nostra immaginazione con Sibelius e insieme a lei Alice Raffaelli in una coreografia di certo non tra le più intense di Enzo Cosimi.

E non si può non amare il Spellbound Contemporary Ballet: in Forma mentis Jacopo Godani porge alla fisarmonica un nugolo di danzatori che occupano con vivifica irruenza la scena o i performer di Sofia Nappi che in Pupo si concedono alla libertà creativa ed inventiva del Gaga, il rivoluzionario linguaggio del corpo ideato e sviluppato dal coreografo israeliano Ohad Naharin.

Senza dubbio  ci sono sembrati  più fecondi di originali visioni gli Open studios, curati da Paolo Brancalion: 15 minuti in cui la danza è ancora parzialmente da reinventare e perfezionare, ma che già ci hanno fatto intravvedere, seppure in progress, le coreografie ipotizzate e pensate per la scena, spesso di grande e imprevedibile sostanza.

Gianmaria Borzillo, per esempio, anche lui proveniente dalla factory di Corpo Celeste di Alessandro Sciarroni, traendo ispirazione dall’album Diamond Jubilee di Cindy Lee del 2024 che divenne in modo inaspettato addirittura un cult della scena musicale underground e che poco dopo vide i due autori sfuggire al successo, sparendo nel nulla, riesce a inondare di melanconico distacco il nostro sguardo nell’installazione performativa E la bella stanza è vuota. Borzillo, nel progetto che in forma definitiva sarà di lunga durata, riempiendo lo spazio scenico di 5 performer e un cane in cerca di se stessi, simboli di un umanità di diversa consistenza, tutta in cerca di nuovo senso esistenziale, tra cui con piacere abbiamo riconosciuto Antonio Tagliarini orfano di Daria De Florian, riesce già a comunicarci tutto il dolore di un incontro di solitudini, che solo una fotografia condivisa con il pubblico potrà in qualche modo calmare.

In Studi per M /Madeleine a Stefania Tansini, artista che seguiamo e amiamo da diversi anni, interessa la relazione tra i luoghi e la figura umana, e la mette in scena ricostruendo continuamente lo spazio, muovendo ogni volta i pochi ma significativi elementi presenti che ha scelto, aprendo porte, cambiando la luce e adattandosi sempre alla nuova situazione nella quale ogni volta vengono riposizionati il suo corpo e quello della compagnia di scena.

Abbiamo molto gradito anche il rapporto tra danza, musica (Alberto Ricca/Bienoise) e scelta dell’esiguo spazio in cui muoversi, operato dalla compagnia Parini Secondo: Sissj Bassani, Camilla Neri, Martina Piazzi e Francesca Pizzagalli scegliendo la parola Incanto per la loro performance, già hanno la capacità di permettere al nostro sguardo l’occasione di perdersi, incantandosi appunto, nel gesto reiterato della loro danza che si muove tra continua tensione e calma rassicurante, in questo aiutate anche dall’utilizzo delle luci che accompagnano la loro gestualità.

In ultima analisi le note di maggiore speranza e soddisfazione per la danza del nostro Paese, personalmente, ci sono venute (ma è anche doveroso ricordare che a Civitanova, nel giorno che non ci ha visti presenti, vi erano artisti che avevamo apprezzato in altri contesti, i promettenti Gaetano Palermo con Swan che si ispira trasfigurandolo all’assolo La morte del cigno che Michel Fokine costruì per Anna Pavlova, Elisa Sbaragli che ci aveva già ammaliato con il precedente Mirada in due diverse situazioni e Simona Bertozzi per Sista, con in scena Marta Ciappina e Viola Scaglione, artista che apprezziamo da sempre, capace ogni volta di nuove interessanti coreografie) da due giovanissimi artisti che curiosamente con buon auspicio si chiamano Vittorio: Vittorio Porcelli, classe 2023, che abbiamo visto negli Open studios e Vittorio Pagani, classe 2000, che ha inaugurato le nostre visioni a Civitanova.

Vittorio Porcelli, proveniente dalla factory di Roberta Ferrara di Equilibrio dinamico, formatosi a Ginevra, attualmente impegnato con Marina Abramović all’Albertina, in Violetto bellosguardo riverberando la bionda e competitiva masticatrice campionessa di chewing-gum, Violet Beauregarde de La fabbrica di cioccolato di Roald Dahl, destinata a trasformarsi in mirtillo, ha già la capacità di trasmettere in scena, con una danza già espressivamente matura che si nutre di altri diversi linguaggi, i cambiamenti dei suoi sentimenti, immergendosi nelle varie sfumature del blu, ispirate alla ricerca su questo colore della scrittrice Maggie Nelson.

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Superstella

 

Vittorio Pagani, infine, anche lui proveniente come formazione, non dal nostro Paese, che ci aveva già letteralmente stregato due anni fa in modo travolgente, utilizzando tutti i linguaggi della scena in A Solo in the spotlight, nel nuovo lavoro Superstella ritorna a parlare del proprio incerto futuro, sulle difficoltà incontrate per la costruzione della nuova coreografia, sulla capacità di sopportare un ambiente ora accogliente, ma subito dopo respingente. Tutto ciò viene portato in scena, entrando a suo piacimento ancora in un coacervo di linguaggi espressivi, con l’utilizzo del suo duttile corpo, tutto teso a smontare e rimontare l’atto teatrale, tra realtà e idealizzazione, evocando di Fellini, dove anche il protagonista vive gli stessi dubbi.

E dunque… Vive la Jeunesse… e arrivederci nel 2026 a Torino!

MARIO BIANCHI

 

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