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Crista, quando il pop-rock fuori dai cliché è “Femmina”

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È un pop-rock energico e genuino quello di Crista. Il suo sound ha un piglio a tratti graffiante e a tratti scanzonato e irriverente, senza nascondere però una dolcezza di fondo che è uno dei tratti caratteristici di questa originalissima songwriter romagnola. Il suo nuovo disco si chiama Femmina,  è stato prodotto artisticamente da Manuel Fusaroli, che ha curato tutti gli arrangiamenti, e sarà presentato sabato 23 marzo a Cesena, al Magazzino Parallelo, con un release party che coinvolge alcuni artisti vicini al suo universo musicale e personale.

All’anagrafe Alessia Pensalfini, nata 32 anni fa “tra le pecore nere e le galline della bassa Romagna”, come si legge nella sua biografia, Crista in questo nuovo lavoro in studio, il secondo del suo palmarès, racchiude due anni molto intensi dal punto di vista artistico. Due anni in cui, fra un concerto e l’altro su e giù per la Penisola, ha messo insieme idee, melodie, sensazioni, stralci di vita vissuta, amori e delusioni, urla liberatorie e parole sussurrate. Il risultato sono nove brani freschi, sanguigni e onesti, con testi personali e limpidi e melodie dal lieve sapore punk. Un disco che è femmina, nel senso letterale del termine, per un’artista capace di interpretare il mondo intorno a sé con una sensibilità del tutto particolare, senza paura di muoversi fuori dai cliché.

“La vita è la mia e vivo come mi pare, amore mio il coraggio ce l’ho, se vuoi te ne presto un po’” canta in Vivo come mi pare, la seconda traccia dell’album. Un disco complesso e leggero, sofisticato e torbido, personale e collettivo.  “C’è molto della mia vita dentro i personaggi che muovono i loro passi e le loro emozioni in queste nove tracce. – racconta Crista –  C’è il mio passato, c’è il mio amore per la rottura delle convenzioni e c’è soprattutto un universo femminile che si racconta, a volte in prima persona, altre volte prendendo in prestito un personaggio che agisce per raccontare gli stati d’ animo di un’adolescenza appena trascorsa e subito così terribilmente lontana e oramai irraggiungibile”.

“C’è il mio punto di vista personale sull’intricato e affascinante mondo delle donne raccontato senza fronzoli, con la schiettezza tipica delle romagnole purosangue”, aggiunge. E infine rivela che Femmina è stato “Un album scritto di notte e registrato di mattina, fatto a pezzi e poi ricostruito, montato su alte impalcature per poi scendere nei bassifondi dei peggiori bar delle città. Anche la sua produzione è stata varia, alcuni pezzi molto ragionati, altri registrati d’istinto nel famoso ‘buona la prima, che a volte è la soluzione vincente”.

Dal vivo, nelle tappe dell’intenso tour che sta toccando alcuni principali club italiani, Crista è accompagnata sul palco solo dalla sua chitarra: una formula essenziale, senza ammiccamenti e senza fronzoli, energica e ruspante, come la sua Romagna. Al Magazzino Parallelo il 23 marzo sarà invece una grande festa tra amici e colleghi musicisti: dalle 21.30 si alterneranno sul palco insieme a lei Daniele Maggioli, Noè, Isak Suzzi, Rachele Pavolucci e L’Amore Ai Tempi Dell’Avvocato Cinico. Quest’ultima formazione, in particolare, è composta da due musicisti di lunga data e “dalla lunga barba”, che promettono di proporre “quesiti di interesse collettivo dando risposte incerte a suon di canzoni”: ai più curiosi il piacere di scoprire chi sta dietro a questo inedito duo. A fare da cornice scenografica alla serata ci saranno le opere della pittrice Alice Tamburini.

Femmina, il nuovo disco di Crista, si può ascoltare su Spotify https://spoti.fi/2T6QgEn

I Massimo Volume in concerto al Teatro Moderno

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Venerdì 22 marzo arrivano al Teatro Moderno di Savignano sul Rubicone Massimo Volume. Il concerto si  presenta come occasione per ascoltare dal vivo “Il Nuotatore”, l’ultimo disco, il primo realizzato “in trio” dal nucleo storico della band (Egle Sommacal, Emidio Clementi, Vittoria Burattini).

Il Nuotatore” scava proprio nell’essenza del loro suono, volutamente scarno, minimale, ma non per questo meno caldo e pieno, grazie anche alla produzione di Giacomo Fiorenza.Tutto quello che si ascolta è stato realizzato con la voce, il basso, la batteria e le chitarre, senza l’ausilio dell’elettronica, di sintetizzatori o tastiere. 

Si tratta di un disco pieno di storie  e di personaggi: un racconto diviso in nove tracce che mischia l’auto-biografismo alla narrazione pura, passato e presente, il tempo e lo spazio.

Info: retropoplive@gmail.com |  339 2140806
www.retropoplive.it

Il vino e l’eno-turismo emiliano romagnolo protagonisti al Vinitaly 2019

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Vinitaly edizione 2018

Manca poco alla nuova edizione di Vinitaly in programma a Verona dal 7 al 10 aprile e le produzioni vitivinicole dell’Emilia Romagna partono già con il “peduncolo” giusto. Ebbene si, perchè quando si parla di Emilia Romagna è inevitabile il richiamo alla gioia, allegria, passione, amore, festa, ma anche sostenibilità, ambiente, cultura e turismo. Tutto questo è il vino dell’Emilia Romagna.

Padrone di casa sarà il Padiglione 1, che ospiterà oltre 200 fra aziende vitivinicole e Consorzi di tutela – grazie all’organizzazione e alla regia di Enoteca Regionale Emilia Romagna – mosse tutte dallo stesso spirito: il vino dell’Emilia Romagna vuole lasciare il segno, vuole regalare nuove esperienze, diversificate, da ricordare e da raccontare.

Vinitaly edizione 2018

Dalla riviera alle verdi colline, passando per la rigogliosa pianura, dai borghi medioevali alle città d’arte, dalle terme ai “motori” ogni singolo territorio esprime spiccate vocazioni turistiche “abbinate” a cibi e vini di eccellente qualità: Albana e Sangiovese per la Romagna, Pignoletto per il bolognese, Fortana per il ferrarese, Lambrusco per il modenese, il reggiano e il parmense, Malvasia per il parmense e il piacentino, Gutturnio per il piacentino, senza dimenticare i tanti autoctoni che costellano la nostra regione. E ancora una volta sarà la via Emilia, spina dorsale della nostra regione, a mettere assieme tutte queste preziosità e a essere la traccia tangibile di quanto di bello e di buono possiamo offrire ai tanti turisti, italiani e stranieri, che scelgono l’Emilia Romagna alla ricerca di uno stile di vita autentico e piacevole.

E proprio il binomio turismo-vino sarà il tema di fondo proposto da Enoteca Regionale a questa edizione del Vinitaly.

Vinitaly_Pinoletto

Come ormai da tradizione, anche in questa edizione di Vinitaly, lunedì 8 aprile si terrà la cerimonia di consegna del riconoscimento di “Ambasciatore dei vini dell’Emilia Romagna”. A questa cerimonia si aggiungerà anche quella di conferimento del Premio “Carta Canta”, rivolto ai gestori di ristoranti, enoteche, bar, agriturismi e hotel situati in regione, in Italia o all’estero che propongono un assortimento qualificato di vini regionali all’interno dei propri menù.

Il Padiglione 1 ospiterà molti altri appuntamenti fra degustazioni, incontri, presentazioni con l’obiettivo di promuovere e valorizzare il patrimonio vitivinicolo regionale a trecentosessanta gradi.

Vinitaly edizione 2018_Pad. Emilia Romagna

Il Vinitaly 2019 vivrà anche quest’anno un’appendice serale fuori salone. Per “Vinitaly and the City” Enoteca Regionale Emilia Romagna gestirà lunedì 8 aprile il grande palco allestito in piazza San Zeno sul quale si esibiranno il comico Paolo Cevoli, la band dei Ridillo, chef stellati, con il duo Fede&Tinto a presentare la serata.

Il calendario completo con i dettagli di ogni appuntamento del Padiglione 1 Emilia Romagna sarà pubblicato sul sito www.enotecaemiliaromagna.it/it, su i canali social e su “Via Emilia Wine & Food”, l’app scaricabile gratuitamente da Apple Store e da Google Play.

Arrivederci and Stay tuned!

www.vinitaly.com/

 

A Cesena torna il festival Cristallino

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Francesco Bocchini e Giovanna Caimmi

Ritornano da marzo gli attesissimi appuntamenti dei Cantieri Cristallino, con un programma ricco e articolato tra mostre, workshop e incontri con gli autori. La prima mostra – allestita a Corte Zavattini di Cesena – si intitola Germinal, espone opere di Francesco Bocchini  e Giovanna Caimmi ed inaugura sabato 23 marzo, alle 18.

 «Anche quest’anno abbiamo due mostre che faranno da volano a tutta una serie di occasioni interpretative e poetiche, innescando la loro intrinseca discorsività e versandosi in altri incontri: – racconta Roberta Bertozzi, ideatrice e promotrice del Festival –  la prima, la bi-personale di Francesco Bocchini e Giovanna Caimmi, è articolata su una doppia visione del dato naturale, meccanicistica nel caso di Bocchini, metafisica e spirituale per la Caimmi; e la seconda, dedicata a Roberto Ghezzi, porterà a compimento LIMEN, un progetto sul Fiume Savio, che l’artista toscano ha iniziato lo scorso ottobre. Ospiteremo anche due workshop, il primo dell’artista e incisore Federico Guerri, che lavora sull’idea del paesaggio urbano e sulla visione della città e il secondo del fotografo Filippo Venturi che ci proporrà un excursus sulla fotografia documentaria, realizzando dei portfolio relativi all’identità, alla condizione umana e agli spazi in cui vivono le persone, con un focus sulle conseguenze del rapido progresso tecnologico di alcune aree del pianeta. A questi eventi si innestano un percorso di formazione per insegnanti sulla didattica dell’arte e una serie di laboratori per le scuole del territorio, CRISTALLINO KiDS».

Cristallino è nato come un progetto di diffusione del contemporaneo sul territorio della Romagna e con i Cantieri questo rapporto si è consolidato e radicato, mi piace leggerlo quasi come un j’accuse a un sistema globale e mainstream che non è poi così capace di rinnovarsi e di dare senso a tutte le realtà presenti su di esso. «Col tempo è cresciuta in me la convinzione che esiste realmente un genius loci: qualcosa che ha a che vedere con il retaggio storico, linguistico, culturale, se vogliamo anche atmosferico, in cui è immerso ogni singolo individuo, fin dalla nascita, artisti compresi. La globalizzazione nega questa differenza, prende questa differenza e la muta in un oggetto standardizzato, azzerando la sua complessità. Cristallino, che nel 2019 giungerà alla sua settima edizione, nasce e cresce in una dimensione decentrata, sia per localizzazione che per tipologia di ricerca. Questa dislocazione favorisce il fermento intellettuale, permette un contatto più profondo tra gli artisti, i teorici e il pubblico: nei ‘territori interstiziali’ l’opera d’arte cessa di essere una pura e semplice merce di scambio, portando con sé altri valori, altre potenzialità».

A proposito di incontro tra artisti, teorici e pubblico, c’è ancora bisogno di una mediazione per il contemporaneo?

«Un’opera d’arte si verifica in base alle relazioni, agli innesti e alle frizioni che essa è in grado di provocare rispetto a un panorama più ampio – processi che molto spesso si formano all’insaputa dell’artista stesso. Sta al critico o al curatore innescare la miccia, prolungare il discorso dell’opera, la sua naturale affabulazione. Non si tratta di mediare col pubblico, non siamo qui per fare la parafrasi: l’opera, quando è tale, è un corpo estraneo, non si lascia ridurre, occorre girarle intorno infinite volte. E di questo il pubblico è già consapevole: le gira intorno, anche fisicamente. Sa già che non è questione di domande e risposte, ma di un farsi trascinare nel flusso».

LEONARDO REGANO

dal 23 marzo a giugno, Cantieri Cristallino, Cesena, Corte Zavattini 31. Info: cristallino.org

Il Craft Beer Festival torna a Forlì

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Da venerdì 22 a domenica 24 marzo arriva a Forli la terza edizione del Craft Beer Festival, la manifestazione che valorizza le eccellenze delle birre artigianali italiane e straniere.

Un universo di odori, gusti e sapori riempirà Piazza del Popolo per l’intero weekend, inserendosi nella splendida cornice del Mercato Coperto che per l’occasione si trasformerà in una grande vetrina.

Le serate avranno inizio alle ore 18 e, accanto alle degustazioni di birra, non mancheranno quelle di cibo, con proposte gastronomiche preparate dagli operatori del mercato. Il tutto sarà reso ancora più perfetto da una selezione musicale a cura dell’Estragon di Bologna.

Balliamo per il mondo: a Faenza arriva “Per una comunità danzante”

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Si svolgerà a Faenza dal 24 al 31 marzo la seconda edizione del festival Per Una Comunità Danzante, patrocinato dal Comune di Faenza con il sostegno di CSEN, con momenti formativi, dibattiti, workshop, laboratori per bambini, performance e spettacoli. Il tema è l’educazione alla diversità, con riflessioni e approfondimenti sulla danza come mezzo possibile per vivere una comunità e un focus speciale sulla dimensione formativa, inclusiva e culturale di quest’arte.

Abbiamo intervistato Valentina Caggio e Paola Ponti di Compagnia Iris, che opera dal 2004 nel settore coreutico e formativo e si occupa di produzione, formazione e organizzazione di eventi legati alla danza contemporanea, il teatrodanza, l’antropologia, l’educazione e la cura attraverso il movimento.

Quando e come nasce il progetto “Per una Comunità Danzante”?

Il progetto nasce nel 2018, è figlio di un altro progetto Corpo e Azione in Rete, che è a sua volta figlio di Corpo e Azione. Vi spieghiamo tutta questa “famiglia”. Corpo e Azione erano cicli di laboratori annuali di danza, teatro e arti plastiche, aperti alla cittadinanza tutta, attivi nella città di Faenza dal 2011. Si trattava di percorsi per cittadini di ogni età e ogni speciale abilità, che utilizzavano molteplici linguaggi artistici ed espressivi come strumenti per lavorare sulla relazione e il dialogo tra le persone. I laboratori erano aperti a tutti gli interessati all’espressione corporea, di tutte le età, con o senza esperienza in ambito performativo, per ogni tipo di corpo: questo per porre l’attenzione sulla persona, per recuperare una democraticizzazione dell’arte, tornando a rendere popolare l’arte senza snaturarla, evitando l’associazione spettacolo per tutti-intrattenimento-bassa qualità. Il progetto ha sempre avuto come focus Faenza: i gruppi hanno cercato di coinvolgere il maggior numero di persone, accomunate dalla voglia e l’impegno di agire esperienze artistiche, comunicative ed espressive. Le azioni performative sono accadute a Faenza nel tempo, in vari palazzi storici e musei della città, come la Pinacoteca, il Museo del Risorgimento, il Museo Internazionale delle Ceramiche e il Museo del Neoclassicismo. Si è poi aggiunto il desiderio di incontrare altre realtà e condividere percorsi e approcci comuni con altri artisti nelle loro città, creando così Corpo e Azione in Rete.

Perché questa particolare attenzione sulla danza come arte per tutti?

La danza ha intorno a sé dei cliché molto condizionanti, che creano fraintendimenti e portano a visioni di quest’arte come qualcosa di inaccessibile e di cui vergognarsi, perché, nell’immaginario dell’italiano medio, si riconduce a ideali di forme e corpi distanti dalla maggioranza delle persone e dalla danza che si pratica per lo più attualmente. La domanda più frequente che ci pongono è “fate danza classica?” e la nostra risposta è “no, quella è una delle tante discipline che si possono praticare”. Altra domanda “fate hip hop (essendo uno stile molto in voga)?” risposta “neanche”. Questa difficoltà di comprensione è uno dei motivi per cui ci interessa proporre questi percorsi, dove ognuno possa trovare la propria danza, il proprio modo di esprimersi. Abbiamo accennato alla vergogna, molte persone affermano di non saper danzare, per noi è un po’ come dire di non saper respirare o camminare, uno dei nostri obiettivi è mostrare che ognuno può danzare e questo non vuol dire che sarà un professionista, ma certamente un amatore, un estimatore, qualcuno che ama il proprio corpo, che è cosciente delle proprie azioni, consapevole della relazione con l’altro. Col passare degli anni, alla nostra volontà di utilizzare la danza come strumento per far incontrare i cittadini (perché no una sorta di ripristino contemporaneo dell’idea di trebbo) e all’impegno di fare comunità attraverso l’arte, si è aggiunto il desiderio di incontrare altre realtà e condividere percorsi e approcci comuni. Alcuni degli artisti coinvolti nell’evento lavorano anche con persone con disabilità. L’aspetto innovativo di quest’esperienza collettiva è stato una nuova (o antichissima) socialità; una comunità di persone che non tramandano la tradizione, come un gruppo di danza o musica popolare normalmente fa, ma lavora sull’innovazione, sul presente, sul contemporaneo. Il dialogo e la rete continuano ad allargarsi, ad esempio con la partecipazione alla rassegna di quest’anno del Magnifico Teatrino Errante di Bologna, sia nell’ambito performativo, che in quello laboratoriale. Data la nostra idea educativa e vocazione formativa, abbiamo così deciso l’anno scorso di iniziare PER UNA COMUNITA’ DANZANTE: quest’avventura di incontro, scambio, dibattito su come l’arte e nello specifico la danza possa recuperare un elemento identitario comune a tutti e possa contribuire ad un vivere sociale sereno, costruttivo, dove circolino cultura e rispetto, dove le differenze possano trovare cittadinanza, dove il rapporto con l’Altro da noi non sia solo possibile, ma anche gioioso e fertile.

In questo festival quindi, un’accezione di danza impegnata nel sociale?

Per noi di Compagnia Iris, la danza è una pratica etica e politica, crediamo che per un danzatore sia normale e ovvio prendere posizione. Politica, non partitica, nell’accezione etimologica da polis; come costruire la nostra società, le nostre società, la nostra città, le nostre città? Abbiamo nel tempo agito diverse performance, manifestando il nostro impegno: in modo evidente è stato dichiarato con CHAIRS, azione non violenta contro la pena di morte; FLORAZIONE, azione non violenta contro la lapidazione e D’ACQUA, danza venduta all’asta nei luoghi d’acqua della città di Faenza, per la campagna referendaria. Riflettiamo da tempo su un’educazione all’identità, sia nell’accezione di cosa ci accomuna agli altri, ovvero cosa degli altri risuona in noi e come ci rispecchiamo negli altri, sia nella declinazione di unicità, di soggettività singola e di differenze ontologiche che appunto ci fanno e fanno sentire la singolarità di ognuno. Entrambe le vie sono necessarie e si intrecciano continuamente in un’ottica di formazione della nostra propria persona e poi di neonati, bambini, adolescenti, adulti, anziani con cui lavoriamo. Oltre a percorsi personali, stiamo pian piano mettendo sempre più a fuoco il nostro progetto comune Cardini, che ha come focus lo sviluppo della persona sia globale che interdipendente, per una maturazione corporea legata a quella cognitiva, sociale, relazionale, affettiva, comunicativa in relazione alla maturazione dell’Altro. Il 4 dicembre scorso abbiamo presentato PER UNA COMUNITA’ DANZANTE all’Ateneo di Bologna al Corso di Laurea in Specializzazione Professionale in prevenzione e cura educativa del disagio sociale, durante un nostro laboratorio sulla diversità e il rispecchiamento nell’altro e proprio in questi giorni abbiamo attivato una convenzione con l’Università, per cui gli studenti potranno fare il tirocinio con noi, sperimentando le nostre modalità didattiche, seguendo le nostre attività formative.

Come può la danza essere utile alla comunità?

In questo momento di grande dis-integrazione e individualismo, ogni forma di collante sociale creativo inclusivo, che non crei una separazione, può essere utile. Ogni azione, ogni parola creano una reazione nell’altro, nel mio vicino. La danza come comunicazione non verbale può essere un efficacissimo mezzo per incidere profondamente, con la speranza di far circolare positività. La danza è l’arte simbolica per eccellenza, il corpo è il luogo di unione dell’aspetto fisico, cognitivo, emozionale, relazionale, espressivo di ognuno di noi e ci pare che praticarla possa aiutare a decifrare meglio gli orizzonti simbolici degli altri e praticarla insieme possa creare un immaginario simbolico comune, unico modo per integrarci e stare bene con gli altri (e non pensiamo necessariamente a qualcuno che venga da chissà dove…). Il contatto, la relazione, l’occupazione di uno spazio comune possono essere uno straordinario allenamento per la convivenza sociale. Non dimentichiamo che la danza è sempre stata presente nelle feste, nei momenti rituali, nei riti di passaggio, ne abbiamo un gran bisogno, di tempo di festa. Quindi sì, la danza è utilissima alla comunità, sia praticandola, che guardandola.

Cosa vorreste che i partecipanti portassero a casa dopo questa esperienza?

Ci piacerebbe che avessero il nostro entusiasmo e la nostra gioia, che sentissero forte un senso di appartenenza, nuove chiavi di lettura dell’altro e della relazione, domande, domande, domande, incontri con nuove persone, scoperte, dubbi, passione, gioiosa disponibilità verso l’altro, senso di possibilità.

La danza può cambiare il mondo?

La caratteristica di ascolto che la danza porta con sé può cambiare il mondo intorno a noi; il nostro modo di porci, il nostro sentire, il nostro sguardo sull’altro e contagiare gli altri in questa grande danza comune. Danzare non è facile, è semplice solo se si ha risolto la complessità. Più si danza, più si guarda danzare, più si hanno strumenti per decifrare la complessità.

Potete trovare il programma completo dell’evento sulla pagina Facebook di Compagnia Iris e sul sito www.iristeatrodanza.it. L’ingresso al programma performativo è di 5 euro, posti limitati, i laboratori sono a numero chiuso. Per info e prenotazioni, 3474436893 o iristeatrodanza@gmail.com.

Joe Jackson: l’icona post punk in concerto a Bologna

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The Shacks

«Right and wrong, do you know the difference?». Torna in Italia Joe Jackson con il suo Four Decade Tour, tournée che ripercorre i suoi 40 anni di carriera, dal primo successo del 1978 Is She Really Going Out With Him? al nuovo album uscito a gennaio 2019, Fool. L’artista inglese sarà a Bologna giovedì 21 Marzo 2019 nella splendida cornice dell’Auditorium del Teatro Manzoni e il suo tour italiano di quattro date toccherà anche Roma, Milano e Torino.

«Non ho mai in mente un tema generale quando inizio a provare a scrivere canzoni per un album, ma a volte uno si sviluppa da solo. In questo caso è Commedia e Tragedia, e il modo in cui sono intrecciati in tutte le nostre vite.» racconta Jackson in merito a Fool, Il ventesimo album in studio dell’artista registrato tra luglio e agosto dello scorso anno. «Le canzoni parlano di paura, rabbia, alienazione e perdita, ma anche di cose che rendono ancora la vita degna di essere vissuta: l’amicizia, le risate, la musica o l’arte stessa. Non avrei potuto farlo nel 1979. Non avevo vissuto abbastanza».

Per farvi un’idea dell’impronta di questo nuovo lavoro provate a dare un occhio al video uscito in anteprima su you tube del singolo Fabulously Absolute .

Joe Jackson è uno degli artisti più eclettici della musica: nel corso della sua carriera ha affrontato quasi tutti i generi della storia partendo dal punk rock degli esordi fino al successo internazionale sancito dall’album Night and Day in cui sperimenta un contrasto sonoro tra musica latina e ballata pop. L’album del 1982 merita di essere ricordato come uno dei migliori dischi degli anni 80 che porta il giovane Jackson in tour internazionali in tutto il mondo e alla vittoria dei Grammy Awards come Best Pop Instrumental Album per Symphony N°1, album che amalgama con lampante stile e versatilità la musica classica d’avanguardia del Novecento e il jazz fusion.

Jackson ha attraversato 40 anni della storia della musica seguendo solo la sua ispirazione. Nel 1981, dopo i primi tre dischi new wave/punk rock, pubblica Jumpin’ Jive un album jazz di cover; nel 1983 con Body And Soul riprende lo stile musicale rhythm’n’blues degli anni ’50 e ’60 fondendo in modo originale rock’n’roll, soul e funk oltre alle immancabili ballate; ma è del 1986 il suo capolavoro, intitolato Big World, album incentrato sul tema dell’esplorazione dei più disparati stili e motivi musicali del mondo, sempre in chiave rock, attraverso un ipotetico viaggio dell’artista intorno ad esso. Non c’è un genere che egli non abbiamo affrontato o sperimentato: un caso più unico che raro nella storia della musica.

Ma lasciamo all’artista le ultime parole su questo tour:  «Quindi, ecco che arriva un grande tour. Vogliamo celebrare il fatto che questo sta accadendo dopo 40 anni – qualsiasi altra cosa, sarebbe come tenere il broncio in una stanza da soli durante la tua festa di compleanno. Cercando un modo per organizzare uno spettacolo con materiale di 40 anni, ho deciso di concentrarmi su cinque album, ognuno dei quali rappresenta un decennio: Look Sharp (1979), Night And Day (1982), Laughter And Lust (1991), Rain (2008) ) e Fool (2019). Inseriremo anche un paio di canzoni da altri album e alcune nuove cover. I can’t wait. Let’s party».

A cura di
Danilo Cosa, Alice Murtas

 

21 marzo, Bologna, Auditorium Manzoni, Via de’ Monari, 1/2, info:  051 656 9672, www.auditoriumanzoni.it

“Beethoven non è un cane” in scena al Teatro della Regina di Cattolica

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Venerdì 22 marzo, al Teatro della Regina di Cattolica, si esibirà un insolito Dj, Paolo Migone; il comico toscano infatti non avrà a che fare con i vinili di musica pop, ma con i grandi maestri di musica classica.

In “Beethoven non è un cane”, con la regia di Daniele Sala, Migone farà rivivere i grandi compositori raccontando la contemporaneità della musica classica, gli aneddoti e gli episodi biografici salienti dei grandi del passato. L’intento è quello di destare la curiosità dei più giovani che, magari, andranno a cercare su Internet maggiori informazioni su Beethoven o Bach.

Paolo Migone, attore, regista e autore televisivo, famoso soprattutto per la partecipazione a Zelig, ha calcato numerosi palcoscenici teatrali (“Completamente spettinato”, “Fuori piovevano incudini”, “Don Chisciotte (senza esagerare)”, “Italia di m…are”, “Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere”) e partecipato a diverse produzioni cinematografiche (“Non c’è più niente da fare”, “Questo mondo è per te”, “Ridere fino a volare”…).

Attore camaleontico, dallo stile visionario, sul palco ha la capacità di raccontare, attraverso una gestualità essenziale, situazioni e immagini rievocandole con l’ausilio di uno stile di scrittura sobrio e d’impatto. Dotato di una fantasia fuori dal comune, ama stupire con continue deviazioni della narrazione, con lampi di improvvisazione e trovate verbali. Tema ricorrente dei suoi lavori è l’eterno gioco fra uomini e donne che, pare, fornirgli spunti creativi inesauribili.

“Beethoven non è un cane”, venerdì 22 marzo, ore 21.15, Teatro della Regina, Cattolica (Rn), piazza della Repubblica, 28-29. Per info: 0541 966778, info@teatrodellaregina.it

 

 

Lucia Vasini torna al Teatro Petrella di Longiano con lo spettacolo “Luci”

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Oggi, 20 marzo, torna sul palco del Teatro Petrella di Longiano (Fc), Lucia Vasini, con il suo nuovo lavoro, Luci, di Gianni Guardigli e Ilaria Milandri.

Al centro della pièce c’è Luci, una donna contemporanea, presa dalla routine e dal vortice delle proprie vicende personali, ma con una grande passione: il teatro.

Proprio questa passione la metterà in contatto con un’attrice di altri tempi che la esorterà a mettere il teatro al centro della propria vita, usandolo come terapia per esplorare i meandri più profondi della propria esistenza. Lo spettacolo si evolverà con la protagonista, Luci, che tenterà di seguire il consiglio fra le difficoltà del quotidiano e l’aiuto dei grandi drammaturghi del passato, in un turbinio di situazione drammatiche, poetiche, comiche. Ci riuscirà?

Lucia Vasini, attrice di teatro, cinema e televisione, romagnola, classe 1955, diplomatasi negli anni Settanta alla scuola del Piccolo Teatro a Milano, è cresciuta artisticamente con Dario Fo e Franca Rame. Ha lavorato, tra gli altri, con Gabriele Salvatores, Mario Missiroli, Paolo Rossi ed Enzo Iacchetti. È autrice del libro “Nessuno dei due”, storia autobiografica d’amore e di teatro.

Longiano e il Teatro Petrella sono stati per un lungo periodo la casa di Lucia, nei primi anni Novanta, quando grazie a Sandro Pascucci, quest’angolo di Romanga divenne residenza creativa privilegiata per gli artisti. Sono nati qui diversi lavori che la videro protagonista (“La commedia da due lire”, “Milanon Milanin”…), insieme a Paolo Rossi, suo ex marito.

“Luci”, oggi, mercoledì 20 marzo, ore 21, Teatro Petrella, Longiano (Fc), piazza S. Girolamo, 3. Per info: 0547 666008, ilteatropetrella.it

 

 

 

 

 

Al via, a Forlì, NeHo18, la nuova edizione del corso per giovani filmmakers

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Martedì 26 marzo, a Forlì, partirà NeHo18, la nuova edizione del corso per giovani filmmakers dai 17 ai 19 anni, organizzato da Sedicicorto International Film Festival.

Ai  ragazzi  non  è  richiesto  avere  alcuna precedente  esperienza  nella  creazione di  film, ma sarà importante partecipare con impegno ed entusiasmo. Il  laboratorio  avrà una  durata  di  30 ore  di  lezioni  frontali  e  altre 30  ore  di  project-work  per  la  realizzazione  dei cortometraggi.  Gli incontri  verranno gestiti da  due  tutor specializzati nell’ambito  del  cinema  e  della  formazione e saranno presenti anche ospiti che aiuteranno negli approfondimenti di alcuni aspetti tecnici particolari. Tra i temi che verranno trattati sceneggiatura, tecniche di regia e fotografia, messa in scena e audio, post-produzione e distribuzione. La finalità è dare ai partecipanti competenze di videomaking di livello professionale e accompagnarli  in  un  percorso  di  ricerca  e produzione  creativa  su  vari argomenti. Ogni ragazzo potrà creare in  proprio  alcuni cortometraggi  su  un  tema  assegnato, interpretandolo  dal proprio  punto  di  vista. Concluso  il  laboratorio,  le  produzioni  saranno  proiettate  nel corso del 16°  Sedicicorto International  Film  Festival. Oltre alle lezioni di laboratorio, agli iscritti, verrà data anche la possibilità di intervenire  a trasmissioni radiofoniche,  partecipare  alle  riprese  su  un  vero  set,  fare  parte  di  una  giuria  di  selezione di cortometraggi  e  redigere  recensioni  di film.

Sarà possibile per i partecipanti richiedere l’attivazione di una convenzione di alternanza scuola lavoro a copertura dei costi di iscrizione, dell’ammontare complessivo di 49€ a studente. Le iscrizioni sono ancora aperte e si chiuderanno mercoledì 20 marzo.

NeHo18, dal 26 marzo, Deposito EXATR, Forlì, via Ugo Bassi, 16. Per info: info@sedicicorto.it

 

 

 

Rigoletto firmato Pizzech in scena al Teatro Comunale di Bologna

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A seguire il grande successo de Il Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini, domani, martedì 19 marzo al Teatro Comunale di Bologna andrà in scena Rigoletto di Giuseppe Verdi con la regia di Alessio Pizzech e la direzione di Matteo Beltrami.

Pizzech, che già nel 2016 firmò l’allestimento per il Teatro Comunale di Bologna, oggi, sempre al Comunale, ripropone l’opera in una versione rivista e con costumi completamente rinnovati, da martedì 19 marzo (ore 20) con repliche fino al 30 marzo, e in tournée in Giappone con i complessi del TCBO dal 15 al 23 giugno.

Rigoletto_2019_Alberto Gazale-Rigoletto_Lara Lagni-Gilda_7RC8684©RoccoCasaluci_TCBO

A guidare l’Orchestra e il Coro del Teatro è chiamato il direttore d’orchestra Matteo Beltrami, Direttore musicale del Teatro Coccia di Novara dal 2016, per la prima volta ospite del teatro felsineo. Daranno voce ai ruoli principali Alberto Gazale (Rigoletto), Stefan Pop (il Duca di Mantova), Lara Lagni (Gilda) sostituita da Desirée Rancatore per la recita del 21 marzo.

Rigoletto_2019_Lara Lagni-Gilda_6RC7981©RoccoCasaluci_TCBO

«Come gli eroi della tragedia greca anche Rigoletto è vittima del suo stesso disegno e non può fare nulla per modificare la situazione. La vendetta, tanto evocata e desiderata, cade su di lui, trasformandolo nell’eroe tragico di una modernità sorprendente, assoluta».

«In questa edizione rivista – spiega il regista – la deformità di Rigoletto è fisica. A causa di una malformazione il protagonista è impossibilitato ad usare un braccio, che viene coperto da un elemento decorativo con cui per tutta l’opera egli gioca, esibendo e nascondendo questa deformità, facendola diventare il centro di uno spettacolo crudele e circense. In realtà l’emergere di questa deformità fisica, che rende difficilissimo per lui compiere anche gesti come accarezzare, baciare, portare qualcosa o abbottonarsi, rivela il dolore interiore vissuto da Rigoletto».

Rigoletto_2019_Alberto Gazale-Rigoletto_6RC7589©RoccoCasaluci_TCBO

Tratto dal dramma Le Roi s’amuse di Victor Hugo e rappresentato per la prima volta alla Fenice di Venezia nel 1851, Rigoletto incappò nella censura austriaca per le tinte fosche con cui tratteggia la corte di Mantova del XVI secolo tra stupri, loschi bassifondi, prostitute e sicari.
Le scene dello spettacolo sono di Davide Amadei, i costumi di Carla Ricotti, le luci sono firmate da Claudio Schmid – riprese da Daniele Naldi – e i movimenti coreografici sono realizzati da Isa Traversi. Il Coro del TCBO è preparato da Alberto Malazzi.

Rigoletto_2019_Alberto Gazale-Rigoletto_6RC8216©RoccoCasaluci_TCBO

Lo spettacolo è realizzato grazie al contributo di Automobili Lamborghini, che sceglie di sostenere per la quarta stagione consecutiva il Teatro Comunale, dopo l’Attila inaugurale del 2016, la Lucia di Lammermoor del 2017 e La bohème che ha aperto il cartellone 2018.

La Prima di martedì 19 marzo ore 20.00 sarà preceduta, alle 19.15 in Rotonda Gluck, da un breve incontro sull’opera con il critico musicale di «Avvenire» Pierachille Dolfini – che ha curato le note al programma di sala dello spettacolo – e con il Sovrintendente del Teatro Comunale Fulvio Macciardi.

Insieme al Barbiere di Siviglia, Rigoletto è una delle due produzioni che il Teatro Comunale di Bologna porterà in tournée in Giappone a giugno.

In scena a Bologna dal 19 al 30 marzo 2019
In tournée in Giappone dal 15 al 23 giugno 2019

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ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE, LA CIA E IL MAGICO MONDO DELLE COOPERATIVE BRACCIANTI DI RAVENNA

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Alice nel Paese delle Meraviglie, così veniva chiamata dai romagnoli delle campagne l’antropologa americana Alison Sanchez Hall durante la sua prima visita a Ravenna all’inizio degli anni ’70. Il nomignolo veniva da un misto tra l’incredulità di essere studiati nientemeno che da un’antropologa statunitense e dall’orgoglio di sapere che, in effetti, avevano molto da insegnarle sul tema della cooperazione.

Il libro All or none – Cooperation and sustainability in Italy’s Red Belt (Tutti o nessuno – Cooperazione e sostenibilità nell’Italia rossa, ndr), frutto di 40 anni di studi sulle Cooperative Agricole Braccianti di Ravenna, è uscito recentemente, edito da Berghan Books di New York. È il primo studio sociologico e antropologico in lingua inglese su quella che è considerata una delle più importanti esperienze di agricoltura collettiva al mondo. Dall’11 al 15 febbraio Alison è tornata a Ravenna e a Bologna per presentare la sua ricerca agli studenti del Master in Economia della Cooperazione.

Perché un libro sul modello cooperativo romagnolo? «All’inizio degli anni ’70, il mio professore di Antropologia all’Università della California a Santa Barbara stava facendo delle ricerche per un libro sulle società utopistiche e, avendo sentito parlare di Ravenna, mi suggerì l’argomento poiché allora non c’era niente di scritto in inglese».

Cosa si aspettava quando è venuta in Italia per la prima volta nel 1972 e cosa ha trovato? «Il mio professore mi aveva detto che mi sarei dovuta aspettare il fallimento delle cooperative. Più tardi ho scoperto che aveva lavorato per il governo degli Stati Uniti in America Latina per impedire le rivoluzioni contadine. Su Ravenna Notizie qualcuno si è ricordato della mia prima visita in Italia, dicendo che allora alcuni pensavano che il mio lavoro sarebbe finito nelle mani della CIA. Ho risposto che probabilmente avrebbero avuto ragione se non avessi fatto arrabbiare il professore al mio ritorno, raccontandogli quanto fossero forti le cooperative di Ravenna e le cose meravigliose che stavano facendo per i lavoratori».

Nella sua seconda visita a Ravenna nel 2010, cosa era cambiato rispetto al 1972? «Nel 2010 scoprii con piacere che le cooperative avevano adempiuto alla loro storica missione di creare lavoro per cinque generazioni e che i figli e i nipoti dei membri delle cooperative vivevano ancora nelle stesse città rurali che avevo visitato. Ma negli anni ’70 nessuno avrebbe pensato che i braccianti come classe sociale sarebbero scomparsi come di fatto è successo. Una cosa che non era cambiata erano le biciclette, che mi sembravano le stesse di 40 anni prima».

Cosa la sorprese maggiormente dell’Italia? «Direi il calore della gente, la vicinanza tra i membri delle famiglie e i sentimenti che gli uomini esprimevano nei confronti dei bambini».

Gli agricoltori di Ravenna possono davvero insegnare qualcosa agli americani? «Certamente. Nel mio Paese ci sono giovani agricoltori che vorrebbero acquistare terreni troppo costosi per loro per cercare di cambiare il modello di produzione agricola negli Stati Uniti, basato sull’allevamento intensivo e sulle grandi fabbriche nei campi che distruggono il terreno superficiale spruzzando pesticidi ancora prima della semina, con il risultato che il cibo è insapore e malsano. Ricordo che, quando tornai dall’Italia nel 1974, rimasi sconcertata dal fatto che gli scienziati della University of California (che lavoravano con i soldi delle nostre tasse) modificassero geneticamente i pomodori per renderli più squadrati e adatti al trasporto e per farli maturare solo al supermercato».

Nell’introduzione al libro cita Papa Francesco. Cosa accomuna le sue idee sulla società alle idee sull’organizzazione cooperativa? «Ho menzionato Papa Francesco perché ha detto che il futuro è nelle nostre mani e che possiamo organizzarci ed essere creativi inventando lavoro dove non ce n’è (come hanno fatto i braccianti di Ravenna)».

Qual è il più grande ostacolo alla cooperazione oggi? «La cospirazione delle persone più ricche del mondo che fanno il lavaggio del cervello a tutti noi. Negli Stati Uniti è uscito di recente il libro Dark Money (Soldi sporchi, ndr), di Jane Meyer, che descrive in dettaglio come alcune persone molto ricche abbiano investito nella propaganda e nel controllo del governo».

Nel suo libro cita anche il movimento Slow Food, ritenuto a volte un po’ snob. Come potrebbe essere considerato più vicino alle persone comuni? «Ho menzionato Slow Food come esempio di resistenza al fast food e come strumento dei consumatori per il cambiamento. Un tempo credevo che l’agricoltura su larga scala fosse necessaria affinché nel mondo non si morisse di fame e so che il cibo sano è troppo costoso per la stragrande maggioranza delle persone. Tuttavia, so anche che le persone che coltivano il proprio cibo non sono snob o ricche e lo coltivano con cura per non riempirlo di pesticidi. So anche che negli Stati Uniti la gente mangia troppa carne e che questo è un enorme problema ambientale. Nel mio libro non volevo uscire troppo dal seminato citando le parole di Einstein ‘Nulla favorirà la salute o la sopravvivenza sulla terra come l’evoluzione verso una dieta vegetariana’. Penso che il punto sia che la nostra cultura deve cambiare e questo, come dice anche Papa Francesco, è una nostra responsabilità».

Perché le idee socialiste e comuniste sono sempre state denigrate negli Stati Uniti? «Questa è una grande domanda che ha molte risposte parziali. Anche se dovremmo ringraziare anarchici, socialisti e comunisti per il movimento operaio negli Stati Uniti e per la giornata lavorativa di 8 ore e i fine settimana di riposo. Solo adesso i giovani cominciano ad accettare la parola socialismo. Mentre il nostro Paese si muove in direzione del fascismo, ci sono parallelismi con l’uso che Mussolini fece del Red Scare, la minaccia rossa, e della paura di un totalitarismo senza Dio per ottenere il consenso per la marcia verso il fascismo. Nel suo discorso del 5 febbraio 2019 sullo stato dell’Unione, il Presidente Donald Trump ha affermato che ‘L’America non sarà mai un Paese socialista; siamo nati liberi e rimarremo liberi’. Come fattore storico dell’equazione tra socialismo e tirannia posso citare la Grande Frontiera che permetteva ai coloni di appropriarsi delle terre degli Indiani e i Robber Barons, che nell’800 acquisirono terreni in tutto il Paese per costruire ferrovie, controllando anche la politica, e ai quali risale la maggior parte dei patrimoni più vasti degli Stati Uniti. Un’altra ragione è che gli oligarchi capitalisti repubblicani, anche grazie al controllo dei media come già accaduto in Italia con Berlusconi, sono stati in grado di convincere la maggioranza delle persone che il comunismo e il socialismo li avrebbero privati della libertà. Ancora oggi, chiunque parli di socialismo, anche in relazione a una cosa sensata come l’assistenza sanitaria, è accusato di voler trasformare gli Stati Uniti nel Venezuela. Il mio è il Paese più ricco del mondo ma c’è molta insicurezza tra la gente a causa della mancanza di assistenza sanitaria, perché se ti ammali rischi la bancarotta e la perdita della casa».

Hai capito ’sti romagnoli, facevano paura pure alla CIA… E fu così che la bella Alison alias Alice, anziché compiacere il professore cattivo che pronosticava la fine delle utopie, portò in America il seme della rivoluzione cooperativa.

VALENTINA AMADEI

Sintesi: una grande mostra a Modena rende omaggio a Franco Fontana

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Modena rende omaggio a Franco Fontana (1933), uno dei suoi artisti più importanti e tra i più conosciuti a livello internazionale. Dal 23 marzo al 25 agosto 2019, FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE, nelle tre sedi della Palazzina dei Giardini, del MATA – Ex Manifattura Tabacchi e della Sala Grande di Palazzo Santa Margherita, ospita la mostra, dal titolo Sintesi, che ripercorre oltre sessant’anni di carriera dell’artista modenese e traccia i suoi rapporti con alcuni dei più autorevoli autori della fotografia del Novecento.

Suddivisa in due sezioni. La prima, curata da Diana Baldon, direttrice di FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE, allestita nella Sala Grande di Palazzo Santa Margherita e nella Palazzina dei Giardini, rappresenta la vera sintesi – come recita il titolo – del percorso artistico di Franco Fontana, attraverso trenta opere, la maggior parte delle quali inedite, realizzate tra il 1961 e il 2017, selezionate dal vasto archivio fotografico dell’artista. Questo nucleo si concentra su quei lavori che costituiscono la vera cifra espressiva di Fontana. Sono paesaggi urbani e naturali, che conducono il visitatore in un ideale viaggio che lega Modena a Cuba, alla Cina, agli Stati Uniti e al Kuwait.

Fin dagli esordi, Fontana si è dedicato alla ricerca sull’immagine fotografica creativa attraverso audaci composizioni geometriche caratterizzate da prospettive e superfici astratte significandone e testimoniandone la forma. Queste riprendono soggetti vari, che spaziano dalla cultura di massa allo svago, dal viaggio alla velocità, quale allegoria della libertà dell’individuo, in cui la figura umana è quasi sempre assente o vista da lontano. Le sue fotografie sono state spesso associate alla pittura astratta modernista, per la quale il colore è un elemento centrale, mentre le linee geometriche delle forme dissimulano la rappresentazione della realtà. Questo suo innovativo approccio si è imposto, a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, come una carica innovatrice nel campo della fotografia creativa a colori.

La seconda sezione, curata dallo stesso Franco Fontana, ospitata dal MATA – Ex Manifattura Tabacchi, propone una selezione di circa cento fotografie che Franco Fontana ha donato nel 1991 al Comune di Modena e Galleria Civica che costituisce un’importante costola del patrimonio collezionistico ora gestito da Fondazione Modena Arti Visive. Tale collezione delinea i rapporti intrecciati dall’artista con i grandi protagonisti della fotografia internazionale. A metà degli anni settanta, Fontana inizia infatti a scambiare stampe con altri fotografi internazionali, raccogliendo negli anni oltre 1600 opere di molti tra i nomi più significativi della fotografia italiana e internazionale, da Mario Giacomelli a Luigi Ghirri e Gianni Berengo Gardin, da Arnold Newman a Josef Koudelka e Sebastião Salgado. Questa sezione testimonia la vastità e la genuinità delle relazioni di Fontana con colleghi di tutto il mondo, in molti casi divenute legami di amicizia profonda, e la stima di cui è circondato, attestata dalle affettuose dediche spesso presenti sulle fotografie.

Dal 23 marzo al 25 agosto 2019 
Modena, Palazzo Santa Margherita, Sala Grande, Corso Canalgrande 103; Palazzina dei Giardini, Corso Cavour 2;  MATA – Ex Manifattura Tabacchi, via della Manifattura dei Tabacchi 83. Info e orari: www.fmav.org

 

 

Charlie surfs on lotus flowers: la personale di Simone Sapienza allo Spazio Labo’

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Spazio Labo’ presenta Charlie surfs on lotus flowers un progetto espositivo del giovane fotografo Simone Sapienza ideato dall’omonimo libro edito nel 2018 da AKINA.

Catanese, classe 1990, Sapienza racconta il Vietnam, le contraddizioni di un Paese che cerca la modernità pur rimanendo ancorato alle vicende che hanno segnato il recente passato. Bloccato tra l’economia capitalista di libero mercato e le rigide leggi del Partito Comunista, il Vietnam ritratto da Simone Sapienza è un luogo che vive delle sue memorie di occupazione, delle tracce di comunismo e del desiderio, sempre più crescente, di consumismo. Come scrive Roberto Boccaccino nel testo critico che accompagna la mostra: “Dopo tutta quella fatica ad allontanare l’Occidente e a difendere l’uguaglianza, ci si è finalmente conquistati la libertà di essere diversi gli uni dagli altri, proprio come lo sono tutti là fuori. Oggi il Vietnam è un paese giovanissimo fatto di led e di plexiglas, una delle future tigri asiatiche che, a turno, ricordano al mondo quanto tempo ha perso per cercare di cambiarle, e quanto tempo perde adesso a rincorrerle. E mentre tutti si sorbiscono la globalizzazione e il neoliberismo facendo finta che siano una scelta, lì la storia viene imposta dal Partito Comunista nazionale con sincero totalitarismo: privatizzazioni e libero mercato, meno tasse e più sorrisi. […] La globalizzazione, a quanto pare, comincia proprio a metà degli anni settanta, quando gli Stati Uniti, uscendosene dallo scenario vietnamita, consacrano questa nuova, grande, fantastica strategia: combattere il fuoco con il fuoco non serve e niente. L’ideologia non si batte con l’ideologia, e soprattutto la resistenza non si batte resistendo. Al potere basta l’economia. E una manciata di immagini.”

Dal 4 aprile al 24 maggio
Bologna, Spazio Labo’, Strada Maggiore, 29. Info:  spaziolabo.it simonesapienza.com

(l.r.)

 

 

Un microscopio che si fa telescopio. Pirandello incontra Beckett, a VIE Festival

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Compagnia Scimone Sframeli, Sei

 

La Storia del Teatro e quella dell’Arte assumono rinnovata consistenza negli spettacoli della Compagnia siciliana Scimone Sframeli e del greco Dimitris Kourtakis: proposizioni diversissime, ma forse avvicinabili per una comune idea di pratica scenica come esperienza. Infuocata.

«Tradizione è  custodia del fuoco, non culto delle ceneri»: la celebre citazione mahleriana pare adatta a introdurre una breve lettura sinottica di due degli spettacoli incontrati all’edizione 2019 di VIE Festival: Sei e Failing to levitate in my studio.

Affatto difformi per dimensioni produttive, stilemi, riferimenti culturali e linguaggio, gli spettacoli della Compagnia siciliana Scimone Sframeli e del greco Dimitris Kourtakis sono caratterizzati da una analoga attitudine dialettica rispetto alla Storia a cui fanno (principalmente) riferimento.

Sei, da Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, vede impegnati dieci attori e attrici (una enormità -vale ricordarlo ai non addetti ai lavori- per una produzione in tournée oggidì), in un allestimento scenicamente elementare che pone il lavoro teatrale (in primis l’artigianato attorale) come origine e legittimazione del fatto artistico.

 

Tadeusz Kantor, La Classe Morta

 

La ridda di misurate invenzioni, soprattutto rispetto ai proteiformi rapporti fra le Figure, è ascrivibile all’alveo della Tradizione, così come il sistema di significati messi in campo: là dove molte drammaturgie dell’oggi inglobano e traducono il reale in più o meno intelligibili forme di performatività, il nuovo spettacolo della Compagnia Scimone Sframeli dà nuovo corpo alla celebre intuizione pirandelliana del teatro nel teatro per farsi riflesso “dall’interno” di dinamiche e interrogativi dell’umano. Dal particolare all’universale: un microscopio che si fa telescopio.

A reggere la messa in scena stanno la sapienza teatrale di Spiro Scimone, anche autore di una ritmicamente efficace asciugatura del testo di riferimento, nonché l’altrettanto scandita regia di Francesco Sframeli, qui impegnato in una prova d’attore da manuale, con una gamma di colori e sfumature vocali, mimiche, posturali e relazionali (in una parola: espressive) porta al pubblico con una misura e un’eleganza davvero d’altri tempi.

Sei è uno spettacolo bellissimo, che dovrebbe essere mostrato in tutte le Scuole di recitazione sia per la solida maestria di cui è espressione che per la Storia che evoca (e che sempre più, ahinoi, si ignora): affiorano, come vivissimi fantasmi, le figure post-espressioniste de La Classe Morta di Kantor e l’urlante Madre Courage di Bertolt Brecht a comporre nello spazio un minimale, esattissimo geroglifico che ricorda certi storici allestimenti di Leo de Berardinis, con gli attori chiamati a funzionare come sistole e diastole di un organismo vivente, finanche pulsante.

 

Dimitris Kourtakis, Failing to levitate in my studio

 

In direzione parallela e opposta si muove Failing to levitate in my studio, presentato al Festival di ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione in prima nazionale. Qui un solo performer, Aris Servetalis, abita l’interno di un monumentale spazio tridimensionale: una casa tagliata a metà, esplicita citazione della celeberrima Splitting di Gordon Matta-Clark del 1974.

I riferimenti al mondo delle Avanguardie e soprattutto delle Neoavanguardie artistiche del Novecento sono in realtà molteplici. Qui il performer (a differenza dell’attore, che convenzionalmente rappresenta il proprio personaggio fingendo di non sapere di essere un attore di teatro) realizza una messa in scena del proprio io: senza psicologismi, finanche senza emozioni si potrebbe azzardare. Piuttosto organismo, biologia, carne: espressione singolare e non universale di un corpo fenomenico.

Un corpo-teatro di muscoli, tendini e ossa, giacché Aris Servetalis è impegnato senza posa in una serie di faticosi attraversamenti estetici, dunque (ri)conoscitivi, dello spazio, a produrre una serie di azioni che non hanno altro significato se non quello di esperire il qui e ora: «Nella Performance Art, e in particolare nella Body Art» si potrebbe riassumere con lo storico del teatro Marco De Marinis «si assiste spesso al tentativo, da parte dell’artista, di riscoprire il corpo come il suo proprio corpo, e cioè come Leib o chair. In altri termini, il bodyartista si sforza, con le sue azioni al limite, eccessive, violente, di riappropiarsi del suo corpo, della sua autenticità-verità, al di là di ogni alienazione-reificazione, al di là e contro ogni riduzione a un corpo oggetto di consumo, semplice merce».

Una esperienza che non può che coinvolgere ciascun guardante contemporaneo. Dal particolare all’universale, ancora: un microscopio che si fa telescopio.

 

Gordon Matta-Clark, Splitting

 

Failing to levitate in my studio assume una prospettiva pervicacemente anti-narrativa (non a caso il riferimento letterario della performance è Samuel Beckett, autore che forse più di ogni altro ha intercettato, nell’arte scenica del Novecento, l’impossibilità del dramma, finanche della significazione) che si traduce in un’oggettiva partitura fisica di azioni costantemente riprese in diretta da un cameraman e video proiettate, così da essere porte al pubblico mediante un diaframma ulteriormente distanziante.

Tanto Sei è caldo, in senso emotivo ed affettivo, quanto Failing to levitate in my studio è freddo, nell’accezione proposta da Marshall McLuhan secondo il quale freddi sono i medium a bassa definizione, che richiedono un’alta partecipazione dell’utente per riempire, completare le informazioni non trasmesse.

In entrambi i casi una profonda solitudine, una commovente mancanza, una smisurata nostalgia paiono intridere il vuoto affaccendarsi delle Figure che, come criceti in una ruota, attraversano la scena.

I buffi, malinconici dialoghi pirandelliani di Scimone e Sframeli, tesi a inseguire un possibile significato, se non un senso, paiono trasdotti, cineticamente, nell’irruento fare di Servetalis, nel suo porsi come puro significante, sineddoche del corpo auto-modellato di Bruce Nauman e di quello misurante di Cesare Pietroiusti, della funzione puramente estetica delle Macchine Celibi di Jean Tinguely e della performance come «luogo abitato» à la Joseph Beuys, del dinamismo di Arnulf Rainer e del corpo sepolto di Cattelan.

 

Cesare Pietroiusti, Il passo più lungo della gamba

 

A lungo si potrebbe continuare, tanto è intrisa di riferimenti alla Storia dell’Arte del Novecento et ultra questa monumentale installazione performativa così come quanto è figlio della grande Tradizione Teatrale del XX secolo il meraviglioso Sei, ma per ora è forse sufficiente quanto scritto, a restituire un accenno su due modi, opposti e complementari, di provare ad accerchiare un vuoto, dire l’indicibile, significare l’insignificabile.

Di offrire l’esperienza del mistero.

Che è poi ciò che l’arte dovrebbe sempre fare, forse.

 

MICHELE PASCARELLA

 

Sei e Failing to levitate in my studio , visti rispettivamente al Teatro Dadà di Castelfranco Emilia e al Teatro Storchi di Modena il 9 marzo 2019 – info: viefestival.com

 

Debutta a Bologna un nuovo “Barbiere di Siviglia” che andrà in tournée in Giappone

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E’ stata presentata questa mattina in conferenza stampa la nuova produzione de Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, in scena dal 17 al 28 marzo, alla presenza del Sovrintendente Fulvio Macciardi, del direttore d’orchestra Federico Santi, del regista Federico Grazzini e del Chief Human Capital Officer di Automobili Lamborghini Umberto Tossini.

La nuova produzione, del tutto italiana, de Il Barbiere di Siviglia debutta al Teatro Comunale di Bologna domenica 17 marzo alle ore 20.00 – in diretta su Radio3 Rai – con repliche fino al 28 marzo, per poi andare in tournée in Giappone in giugno, sempre con i complessi del TCBO.

Il nuovo allestimento, interamente prodotto dal Comunale, è firmato dal giovane regista italiano Federico Grazzini, alla sua prima collaborazione con il teatro felsineo. A dirigere l’orchestra è chiamato il direttore Federico Santi, già noto al pubblico bolognese per aver recentemente diretto I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini. Le scene sono di Manuela Gasperoni, i costumi di Stefania Scaraggi e le luci di Daniele Naldi. Il coro è preparato da Alberto Malazzi.complessi del TCBO.

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Il capolavoro buffo in due atti di Rossini su libretto di Cesare Sterbini, tratto dalla commedia omonima di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, sarà affidato a Bologna a una compagine di specialisti rossiniani, capitanata da Antonino Siragusa nelle vesti del Conte d’Almaviva (sostituito da Diego Godoy nelle recite del 24, del 26 e del 28 marzo). Insieme a lui in scena sono impegnati Roberto De Candia nella parte di Figaro (Vincenzo Nizzardo il 24, il 26 e il 28 marzo), Cecilia Molinari in quella di Rosina (Serena Malfi il 20 marzo), Marco Filippo Romano come Bartolo e Andrea Concetti come Basilio. Completano il cast Laura Cherici (Berta), Nicolò Ceriani (Fiorello), Sandro Pucci (Un Ufficiale) e Massimiliano Mastroeni (Ambrogio).

Il Barbiere di Siviglia_Figaro-Roberto De Candia_MG_1060_∏AndreaRanzi-StudioCasaluci_TCBO

Dal 17 marzo andrà in scena un nuovo Barbiere di Siviglia sia nell’esecuzione: “abbiamo trovato un punto di incontro tra i musicisti ed i protagonisti dell’opera – precisa Federico Santi – portando unità; che nella compagine: “la compagnia di canto è giovanissima, come lo è il tenore che debutta nel ruolo”.

Un Barbiere di Siviglia nuovo anche nella lettura storica e nella rappresentazione scenica. “Uno degli aspetti fondamentali della nostra lettura è quello metateatrale – dice il regista Federico Grazzini – basti pensare a quante volte l’opera è citata dai personaggi dentro l’opera stessa. Se si cercasse di rileggere la storia esclusivamente in chiave realistica, certi elementi apparirebbero drammaturgicamente incoerenti, mentre, rappresentare il Barbiere in chiave metateatrale significa innanzitutto mostrare al pubblico che il mondo in cui è ambientata la storia è finto”.

Il Barbiere di Siviglia_Rosina-Cecilia Molinari_Marco Filippo Romano-Bartolo_MG_1469_∏AndreaRanzi-StudioCasaluci_TCBO

Viene, anche, reinterpretato liberamene il periodo storico dell’opera che si muove su due binari: uno propriamente teatrale e l’altro storico ottocentesco (periodo in cui si è consolidata la borghesia) mediante immagini che donano vita nuova all’opera, come le scenografie e i costumi dei personaggi dai colori vivaci e sgargianti.

“Un altro elemento che attraversa e tematizza l’opera – prosegue il regista – è la follia, l’imprevedibile alternanza delle situazioni e la varietà del gioco teatrale che porta nel finale primo “il cervello poverello” dei personaggi e degli spettatori a “confondersi” e ad “impazzar”. Abbiamo deciso di sviluppare simbolicamente questo filo rosso per mezzo di un elemento: una palla da demolizione. La palla comparirà nei due finali come elemento di rottura che fa breccia nel reale: nel primo per far “rimbombare muri e volte con barbara armonia”, nel secondo per sancire festosamente la vittoria dell’amore come forza irrazionale sul mondo ordinato e dispotico di Bartolo”.

Il Barbiere di Siviglia_Marco Filippo Romano-Bartolo_MG_1275_∏AndreaRanzi-StudioCasaluci_TCBO

Lo spettacolo è realizzato grazie al contributo di Automobili Lamborghini, che sceglie di sostenere per la quarta stagione consecutiva il Teatro Comunale, dopo l’Attila inaugurale del 2016, la Lucia di Lammermoor del 2017 e La bohème che ha aperto il cartellone 2018.

Il barbiere di Siviglia è la produzione che il Teatro Comunale di Bologna ha scelto di portare in tournée in Giappone in giugno insieme al Rigoletto di Giuseppe Verdi firmato dal regista Alessio Pizzech, anch’esso proposto prima a Bologna dal 19 al 30 marzo.

La Prima di domenica 17 marzo ore 20.00 sarà preceduta, alle 19.15 in Rotonda Gluck, da un breve incontro sull’opera con il giornalista di «La Repubblica Bologna» e di «Classic Voice» Luca Baccolini – che ha curato le note al programma di sala dello spettacolo – e con il Sovrintendente del Teatro Comunale Fulvio Macciardi.

www.tcbo.it

Il debutto a Bologna il 17 marzo con diretta su Radio3 Rai.
Repliche il 20,24,26 e 28 marzo.
In scena in Giappone dal 16 al 26 giugno.

Rimini, un mese dedicato alla danza

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combattimento ph claudia pajewski

Sabato 16 marzo ha inizio a Rimini un lungo calendario dedicato alla danza che continuerà fino al 16 aprile portando sul palco di diversi teatri incontri e spettacoli insieme ai protagonisti della scena contemporanea.

Novità di questa stagione è il debutto della rassegna  E’ BAL – palcoscenici romagnoli per la danza contemporanea. Si tratta di un nuovo circuito dedicato alla coreografia che coinvolge alcune delle principali realtà del territorio che hanno unito le proprie forze e incrociato i propri calendari per portare sul palco artisti di diverse generazioni ed estetiche. E’ Bal arriva a Rimini con due incontri di approfondimento e quattro appuntamenti con la danza contemporanea al Teatro degli Atti.

Sabato 16 marzoalla Cineteca di Riminie sabato 30 marzo al Supercinema di Santarcangelo il [collettivo] c_a_p propone due incontri tematici sulla storia della danza in cui parole e immagini si alternano per esplorare il vasto mondo della coreografia. Gli incontri (ore 16) offrono la possibilità di “decodificare” la danza sia dal punto di vista storico sia dal punto di vista tecnico, nel tentativo di accendere il desiderio di confrontarsi con questa arte cosi antica ma ancora poco considerata. I due incontri, il primo dedicato al ‘Corpo e tempo’, il secondo incentrato sullo ‘spazio’ si avvalgono della proiezione di alcuni corti di danza selezionati dall’archivio del TTV di Riccione.

Il programma di E’ Bal entra nel vivo dal 31 marzo quando il Teatro degli Atti ospita quattro appuntamenti con alcuni dei protagonisti della scena contemporanea. Domenica 31 marzo alle ore 21  Igor & Moreno  presentano A room for all our tomorrows. Giovedì 4 aprile, sempre alla stessa ora, è la volta del Combattimento messo in scena da Muta Imago, compagnia che si muove tra Roma e Bruxelles guidata da Claudia Sorace, regista, e Riccardo Fazi, drammaturgo e sound designer. L’amore come guerra, la seduzione come conquista, il desiderio come mistero, perdita di sé: lo spettacolo ruota intorno ai corpi delle due performer e alla loro relazione, per condividere con il pubblico l’esperienza dell’uscire da se, trasformarsi e incontrare l’altra. Giovedì 11 aprile si terrà un doppio appuntamento tra la Sala Pamphili e il Teatro degli Atti: apre alle 21 Daniele Ninarellocon Kudoku, dove il coreografo incontra un compositore; ad accompagnare la danza sarà la musica dal vivo del sax tenore di Dan Kinzelman. A seguire  Manfredi Perego propone Primitiva, una ricerca incentrata sugli elementi primari che abitano la corporeità, un viaggio mnemonico all’interno della più antica percezione di sé, quella animalesca, impulsiva e fragile.

A concludere l’intero mese dedicato alla danza, martedì 16 aprile alle ore 19.30, sarà il mini-festival La durata, della Compagnia Il Tempo Favorevole. Si tratta di una maratona di circa 4 ore sul tema del tempo, inteso nel suo scorrimento ma anche nel suo essere attimo presente da vivere.  Lo spettacolo di teatrodanza diretto da Barbara Martinini e realizzato in collaborazione con il Mulino di Amleto è eseguito diverse volte consecutive, senza interruzione. Contemporaneamente negli spazi adiacenti Sala Pamphili si svolgeranno diverse performance sempre sul tema del tempo. Lo spettatore potrà muoversi tra gli spazi e decidere cosa seguire.

Dal 16 marzo al 16 aprile, Incontri con la danza, Rimini  – Info: 0541 793811, www.teatrogalli.it, fb.com/teatrogalli.

“L’eccesso”, la performance dei Fratelli Broche

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Domenica 17 marzo alle ore 15 presso il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna si terrà la performance “L’eccesso” dei Fratelli Broche, presentata da Adiacenze in occasione della mostra “No, #Oreste, No! Diari da un archivio impossibile” a cura di Serena Carbone.

La performance coinvolge lo spettatore in un’immagine visionaria sul rapporto tra l’uomo e i rifiuti della produzione umana. Se l’eccesso di rifiuti per lunghi anni ha portato all’accumulo del surplus consumistico, ora, nella trasposizione scenica, l’essere umano convive con l’eccesso di scarto dato dall’acquisto  compulsivo dei beni. Nonostante l’aumento del consumo, l’uomo ha mantenute intatte le stesse abitudini e lo stesso atteggiamento che l’hanno portato a formare e ad avere intorno a sé una geografia apocalittica e, invece di migliorare le proprie condizioni, perpetua lo stesso comportamento in un circolo continuo che lo porta comunque e sempre al punto di partenza, ovvero all’eccesso dell’accumulo.

Dopo la performance avrà luogo una presentazione sulla factory dei Fratelli Broche e un dibattito riguardante i temi suggeriti dai due artisti con la loro opera: l’utilizzo di materiali di scarto in ambito artistico e non solo.

Domenica 17 marzo, L’eccesso, Mambo Bologna, ore 15 – info: adiacenze.it

40 anni del Teatro Due Mondi: che la Fiesta abbia inizio

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foto di Stefano Tedioli

 

Sono cominciati questa sera i festeggiamenti dell’indomito gruppo faentino. Noi c’eravamo, e siamo rimasti a bocca aperta.

Scriviamo di getto, nottetempo, appena tornati da Faenza, dove nella Galleria Comunale d’Arte, in pieno centro storico, è iniziato il programma di attività pensato per raccontare i 40 anni di vita -e di lotta, è proprio il caso di dire- del Teatro Due Mondi.

Attraversando Piazza del Popolo, a vedere il manipolo di persone sorridenti fuori dalla Galleria vien da pensare a Rousseau, alla sua Lettera a d’Alembert sugli spettacoli del 1758: «Piantate nel mezzo d’una piazza un palo coronato di fiori, radunate la gente e avrete una festa». Qui la gente è di molte provenienze ed età, vivaddio, sineddoche di un’attitudine pervicacemente popolare, di un orizzonte che davvero, davvero comprende i molti.

Entriamo nella grande sala zeppa di persone, dove Marilena Benini, con la collaborazione di Stefano Tedioli e di un manipolo di altri volenterosi, ha allestito una mostra di manifesti e foto, a tracciare alcune tappe del quarantennale percorso del Teatro Due Mondi.

Al centro dello spazio vi è una installazione dei costumi di Fiesta, lo spettacolo di strada che da decenni il gruppo porta nelle strade e nelle piazze del mondo.

Sarà che negli anni abbiamo visto questa parata decine di volte, in molti paesi e città, sarà che abbiamo conosciuto quasi tutti gli interpreti che si sono avvicendati nei diversi ruoli inventati da Gabriel García Márquez e tradotti per la scena da Alberto Grilli e compagni, sarà l’età, sarà la vita… ma questi abiti barocchi e sognanti e queste maschere povere e terrigne, tolti dal loro abituale contesto d’uso e posti in un luogo altro ci hanno di colpo, inaspettatamente e grandemente, commosso.

Commuovere, nell’etimo, rimanda al muovere e muoversi insieme, si sa. Che è poi ciò che da quarant’anni il Teatro Due Mondi fa, ben distante da ogni moda, premio, da qualsivoglia élite.

 

foto di Stefano Tedioli

 

Molto si potrebbe scrivere sul potere evocativo di questi oggetti disincarnati, sul loro portare traccia di tutte le vite che li hanno attraversati e incontrati e, al contempo, sul loro essere segno di un vuoto, di una mancanza, di una impossibilità, finanche della morte.

Ma non è questo il momento, né l’ora, per analisi e teorie. Così, senza rileggere queste righe certo troppo sentimentali, desideriamo rendere onore e ringraziamento alla silente e al contempo fragorosa azione poetica e politica del Teatro Due Mondi.

Continueremo a festeggiarli nelle prossime settimane, ascoltando i sapienti che hanno deciso di invitare e partecipando alle Visite Guidate che presenteranno alla Casa del Teatro.

Ci vediamo a Faenza.

Lì si fa la rivoluzione.

MICHELE PASCARELLA

 

Fino al 20 aprile 2019 – Faenza, luoghi vari – info: teatroduemondi.it

 

Gasoline Alley. Il capolavoro di Frank King che ha anticipato il Grafic Novel

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ph, Gasoline Alley_Frank King

In mostra a Palazzo Fava Frank King. Un secolo di Gasoline Alley il fumetto considerato il precursore del moderno graphic novel. Un’opera monumentale, sopravvissuta al suo autore, che oggi ci appare come un unico grande romanzo realizzato in tempo reale.

La mostra – sostenuta dal Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e Genus Bononiae. Musei nella città, curata dall’associazione Hamelin insieme a Giovanni Nahmias, autore Tv e studioso di fumetto – apre al pubblico dal 15 marzo fino al 7 aprile 2019 e porta per la prima volta in Europa una selezione di quasi 50 tavole originali, organizzate in un percorso che immerge il visitatore nello straordinario mondo creato da Frank King nel corso dei decenni. Dal 24 novembre 1918, data di uscita del primo episodio sul Chicago Tribune, la striscia di Gasoline Alley ha attraversato cent’anni di storia, raccontando con poesia e umorismo la vita di persone comuni di fronte ai grandi eventi del XX secolo.

Skeezix_Gasoline Alley_Frank King_ph, Lara Congiu

Gasoline Alley, letteralmente “la strada della benzina” (dove si trovano le stazioni della benzina, nella campagna, appena fuori città, ndr), racconta le vicende quotidiane di Walt Wallet e dei suoi amici, tutti appassionati di automobili. Inizialmente, negli anni venti, è una strip umoristica pubblicata sulle pagine dei quotidiani americani. Il 14 febbraio 1921 Walt dà una svolta alla vita di Walt: qualcuno deposita sulla sua porta un neonato, Skeezix. E’ un momento fondamentale per l’evoluzione del personaggio e insieme per la storia del fumetto: rispondendo all’esigenza di allargare il pubblico dei lettori, introduce nel fumetto la progressione in tempo reale. I personaggi cresceranno e invecchieranno insieme ai lettori, giorno dopo giorno. Skeezix ha compiuto 98 anni il 14 febbraio.

Gasoline Alley_Frank King_Pagine Domenicali_ph, Lara Congiu

Gasoline Alley – spiega Giovanni Nahmias – è la storia di una vita, lunga una vita. Questo permette a King di incrociare la strip con fatti di attualità, rendendo Gasoline Alley uno specchio in continua evoluzione della società americana: con il passare degli anni Skeezix cresce e a vent’anni, nel 1942, parte per la guerra, esattamente come i figli dei lettori, enfatizzando così l’empatia e crescendo – prosegue Nahmias – nell’affetto del pubblico come uno di famiglia. Come i più fortunati, Skeezix, farà ritorno dalla guerra dopo quasi due anni. Si sposerà non Nina, diventerà bisnonno arrivando sino ai giorni nostri, a 98 anni, ancora testimone del presente”.

Gasoline Alley_Frank King_An April Morning_ph, Lara Congiu

Una mostra da gustarsi con tutta calma, senza perdersi alcun particolare perchè “è una mostra piccola ma preziosa” – come ha sottolineato Emilio Varrà, Presidente Associazione Culturale Hamelin.

King disegnò personalmente Gasoline Alley dal 1918 al 1956 abbracciando generazioni e ispirando film, serie radiofoniche e canzoni. Nonostante la scomparsa del suo creatore, Gasoline Alley non si è mai fermata, proseguendo con Jim Scancarelli e restando al passo coi tempi: la strip è invecchiata con i personaggi ma ha seguito l’evoluzione dell’editoria, così, dalla pubblicazione su carta è passata all’online su “GoComics“, a testimoniare come, nonostante il passaggio generazionale tra i media, sia rimasto il legame con i lettori e, se ci si pensa, il tutto è semplicemente meraviglioso.

La mostra proseguirà fino al 7 aprile 2019 in parallelo alla grande retrospettiva su Bonvi Sturmtruppen 50 anni, a sua volta ospitata negli spazi di Palazzo Fava. L’affiancamento delle due mostre, visitabili grazie a un biglietto cumulativo, mette a confronto due momenti importanti della storia del fumetto e due diverse interpretazioni del rapporto tra umorismo e racconto delle realtà.

www.genusbononiae.it/palazzi/palazzo-fava/
www.bilbolbul.net