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Marradi Campana Infesta 2016

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12742838_1089726524400474_3755586222111615220_nHa come tematica lo (s)-Confine questa terza edizione di “Marradi Campana Infesta”, il Festival di Arte Pubblica che l’artista Stefano Scheda organizza nella piccola cittadina al confine tra Toscana e Emilia Romagna. Marradi, famosa per aver dato i natali al poeta dei «Canti Orifici» Dino Campana, anche questo luglio tornerà ad ospitare gli interventi di Scheda e dei suoi alunni dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, realizzati in collaborazione con l’artista visiva Serena Piccinini, la performer MonaLisa Tina e il designer Francesco Benedetti. Cosa si intende esattamente per “(s)Confine”? Se ne parla questo venerdì sera, in un evento aperto a tutta la cittadinanza e non solo, ospitato dal Teatro degli Animosi di Marradi. In realtà lo (s)Confine, così come i temi affrontati nelle precedenti edizioni – la (s)Catastrofe (2014) e lo (s)Nodo (2015) – sono delle occasioni per poter promuovere un dialogo aperto e arricchente con chiunque ne voglia prendere parte, definendo una nuova forma di societing, di cui la cittadina toscana si fa così fucina di sperimentazione. Un festival di indubbio interesse, capace di inserire le arti visive e performative in un più ampio orizzonte culturale e interdisciplinare, come dimostrano gli interventi di ospiti prestigiosi quali sono stati nelle scorse edizioni Piergiorgio Odifreddi, matematico e saggista, Matteo De Simone, psicoanalista, Erasmo Silvio Storace, filosofo, Ubaldo Claudio Cortoni, teologo e Mili Romano artista e antropologa.

 

 LEONARDO REGANO

 

Presentazione Marradi Campana Infesta 2016 – Venerdì 26 febbraio ore 21.00, Teatro degli Animosi, Viale della Repubblica 1, Marradi (Fi).  

LA CAMERA. Sulla materialità della fotografia

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Attila Csörgő, Semi-Space, 2001. Plexiglas, b:w dome-photograph (Ø 34 cm) presented on light table, (Courtesy Gregor Podnar Gallery, Berlin)La fotografia come non l’avete mai vista prima. La mostra “La Camera. Sulla materialità della fotografia” nel centralissimo Palazzo de’ Toschi di Bologna, apre a nuove interpretazioni del mezzo, con una fotografia che si confronta con espressività alternative, al limite della dimensione scultorea. Presentata in occasione di ArtCity 2016, la mostra fa parte di progetto di studio più ampio a cura di Simone Menegoi, che esplora proprio il rapporto tra fotografia e scultura, in tutte le forme in cui esso può articolarsi nella libertà tecnica della nostra contemporaneità. I primi due capitoli del progetto – intitolato nel suo insieme The Camera’s Blind Spot – sono stati presentati nel 2013 al MAN – Museo d’Arte della Provincia di Nuoro e nel 2015 Extra City Kunsthal di Anversa. Una rassegna di eccentricità e sperimentazioni tecniche il cui obiettivo è superare il punto cieco – il blind spot citato nel titolo – della fotografia, identificato nella sua limitatezza al supporto bidimensionale, e meravigliare lo spettatore che davanti a sé trova opere di difficile identificazione e classificazione. In mostra lavori di autori come Franco Guerzoni, Paolo Gioli, Fabio Sandri, Dove Allouche, Paul Caffell, Attila Csörgő, Linda Fregni Nagler, Raphael Hefti, Marie Lund, Ives Maes, Justin Matherly, Lisa Oppenheim, Johan Österholm, Anna Lena Radlmeier, Evariste Richer, Simon Starling, Carlos Vela-Prado.

LEONARDO REGANO

 

Fino al 28 febbraio – Bologna, Palazzo De’ Toschi, piazza Minghetti 4/D, info: www.bancadibolognaeventi.it/mostra-arte-la-camera Orari: da martedì a domenica 10.00-13.00 / 16.00-19.00. Chiuso il lunedì – ingresso libero

M’illumino d’inverno

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Lom-a-merzL’associazione Il Lavoro dei Contadini celebra anche quest’anno la fine dell’inverno con i Lòm a Mêrz: dal 27 febbraio al 30 marzo, quaranta incontri in trentacinque luoghi diversi, fattorie, agriturismi, musei, botteghe e ristoranti della Romagna occidentale.

Oltre al fuoco rituale che brucerà nelle aie per propiziare i raccolti venturi, il tema comune di questa edizione sarà il pane, preparato e raccontato da contadini, fornai, docenti, poeti… e mangiato poi tutti insieme.

Naturalmente il cibo della tradizione romagnola sarà protagonista di pranzi, cene e degustazioni, ma anche gli interventi musicali sono ottimi e abbondanti: tra gli altri, Pneumatica Romagnola, Quinzan, Giovanni Nadiani e Chris Rundle, Fabrizio Tarroni e Marco Cavina, Senzadestino…, senza dimenticare danze e cante popolari, zirudèle e poesie, fruste e fisarmoniche.

La proposta culturale degli incontri comprende presentazioni di libri (Eraldo Baldini), laboratori gastronomici, “trekking dolce” (Sergio Diotti e Roberto Forlivesi) , visite agli animali in fattoria, commedia dialettale, dimostrazioni di antichi mestieri e artigianato artistico (Anna Tazzari, Carla Lega, Egidio Miserocchi, Giuseppe Neri), esposizioni fotografiche e performance d’arti contemporanee (Luigi Berardi). Vale la pena di consultare il programma completo, perché è impossibile nominare tutte le persone che contribuiscono… E vale la pena di partecipare, per scaldarsi al fuoco che ci trasporta verso la primavera e cogliere le connessioni tra il nostro vivere e la terra che ci nutre e ospita. Tra concretezza e spiritualità, spegnendo magari quel piccolo fuoco quadrato che abbiamo sempre più spesso in mano e davanti agli occhi.

Guccini e Dalla fanno il rap. Al Cisim

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Dallalicious - foto di Federica Francesca Vicari
Murubutu
Murubutu

 

Una serata imperdibile. 

Murubutu presenterà il suo ultimo disco Gli ammutinati del Bouncin’ ovvero mirabolanti avventure di uomini e mari.

Murubutu, al secolo Alessio Mariani, nato a Reggio Emilia, si avvicina all’hip hop all’inizio degli anni 90 fondando il suo gruppo hip hop, La Kattiveria. È insegnante di filosofia e psicologia nelle scuole superiori, dal 2000 inizia a lavorare con i propri soci ad un rap di diversa concezione rispetto a quello più diffuso nel mainstream o nell’underground. L’intento è di fare del rap un mezzo espressivo per trasmettere contenuti di ordine culturale senza perdere l’attenzione verso la cura stilistica. Il risultato diventa un nuovo sottogenere musicale: il rap didattico, concretizzato nel 2006 dall’uscita dell’album Dove vola l’avvoltoio. Nelle esibizioni dal vivo Murubutu, propone uno spettacolo che unisce rap, narrativa, poesia e didattica in una miscela unica.

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Dallalicious - foto di Federica Francesca Vicari
Dallalicious – foto di Federica Francesca Vicari

 

In apertura ci saranno Max Penombra e Dj Nersone aka Ciccio B che presenteranno il nuovo EP Dallalicious. Questo EP è dedicato a Lucio Dalla, reinventato con sonorità funk e hip hop, è nato grazie ai vinili, ai giradischi e al campionamento, come vuole la consuetudine della musica rap. Fa eco a Lucio Dalla, ma anche la musica dei cantautori, cantanti, musicisti, che fanno parte della storia del nostro paese, quelli che resistono nel tempo e non invecchiano mai. Insieme a loro ci saranno Henri Sharra del Commando Nuova Era, Sid, Lady Juls e Le Pigne, tutti ragazzi che hanno fatto e fanno tutt’ora parte del CISIMLab, il laboratorio di rap del CISIM.

Garantito da noi.

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27 febbraio, ore 22 – Lido Adriano (RA), Cisim, Viale Giuseppe Parini 48 – info: 389 6697082, ccisim.it

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Ciclismo a teatro. Al Rasi di Ravenna

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Finisce per A - foto di Achille Lepera
Finisce per A – foto di Achille Lepera

 

Nato dall’incontro tra la scrittura scenica di Eugenio Sideri e l’attorialità di Patrizia Bollini, Finisce per A è la storia di una passione per la bicicletta considerata, per una donna dell’epoca, “scandalosa”, una cosa da “diavolo in gonnella”.

Ma Alfonsina non si fece intimorire e continuò a pedalare tutta la vita.

“Alfonsina pedala, pedala veloce sulla sua bicicletta. Poco importa se i capelli non sono lunghi e vaporosi ma corti, “alla maschietto”… Poco importa se le gambe non sono lisce e snelle, ma tozze e muscolose… Poco importa se tutti la prendono per “matta”… Poco importa se viene vista come un fenomeno da baraccone… Lei corre, sulla sua bicicletta, e pedala pedala pedala. Facile a dirsi, oggi, di una donna che corre in bicicletta, ma meno facile 90 anni fa, precisamente nel 1924, quando Alfonsina Morini, maritata Strada, si iscrive e partecipa al Giro d’Italia. Prima ed unica donna  a farlo, in quel tempo. Uno scandalo, per quella “corriditrice” che tutti credevano volesse sfidare gli uomini, ‘i maschi’. Ma Alfonsina voleva solo volare sulle ruote, correre nel vento, arrampicarsi per le montagne. E “il diavolo in gonnella” lo fece. Per tutta la vita, perché per tutta la vita la sua grande passione per le due ruote continuò”.

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24 febbraio, ore 21 – Ravenna, Teatro Rasi, via di Roma 39 – info: 0544 36239, ravennateatro.com

Teatro in casa: non ci vorrà mica la guerra o la rivoluzione…

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Ti appresti a parlare di teatro in casa e ti viene in mente il celebre racconto di Peter Brook sulla ripresa tenace dell’attività teatrale nella Amburgo appena occupata dalle forze alleate e completamente rasa al suolo sul finire della Seconda Guerra Mondiale.

Un teatro che pur nella fame, nel freddo, nell’indigenza, nella disperazione, diventa bisogno primario, al pari del pane, riporta anche a quanto, un ventennio prima, era accaduto nella Mosca del dopo rivoluzione e che, nel pieno della guerra civile, nel 1919, tra carestia ed episodi di cannibalismo, tra mancanza di carbone e abitudine a dormire insaccati dentro ai tappeti di casa (che venivano legati al corpo perché passasse meno gelo possibile), si rivelava, secondo il racconto di Sklovskij, un brulicare di teatro diffuso che esplodeva da tutti i più piccoli luoghi di riunione, comprese le case private.

E Brook proprio questo raccontava: del miracolo di vedersi sgranare davanti agli occhi, per ben quattro ore, in quell’appartamento berlinese, una versione teatrale di Delitto e castigo con pochi attori, una sedia e una porta da cui entrano ed escono i personaggi. E con le ginocchia dell’attore seduto a recitare che quasi toccano quelle dello spettatore della prima fila…

Così come Brook, in quel ricordo, non nomina né gli attori né il proprietario della casa in cui vide quel memorabile Dostoevskij, io, imitando la sua discrezione, e godendo insieme del senso di mistero che ne promana, ugualmente non dirò nulla né sull’attore nè sul luogo in cui è capitato anche a me di veder accadere un piccolo miracolo scenico. Unica concessione alla segretezza della mappa, la città: invece che nella Berlino dell’immediato secondo dopoguerra qui siamo nella Milano post-Expo e pre-elezioni dei primi mesi del 2016.

Ma andiamo per ordine: siamo poco più di 30 persone, in questo appartamento, a sedere in una piccola sala. Stretti stretti si aspetta davanti a un tavolo e a una sedia bianchi (messi a disposizione dalla gentilezza della padrona di casa).

L’attore fa il suo ingresso alle nostre spalle, camminando semplicemente, ma è il “come” entra a dare già il tono generale di quello che vedremo. Non è l’entrata sorniona di certi attori che se non richiamano l’applauso fin da subito, però lo vorrebbero; non è l’entrata “funzionale” di quello che arriva, regola la lampadina sul leggìo e parte…; è un’entrata che si richiude sul proprio essere apparizione; neutra e sospesa, quasi danzata all’interno.

Due parole d’avvio e siamo già in piena Russia, giacchè questa volta è Čechov a cristallizzare dalla nebbia del tempo che ci separa da quel mondo tutto un repertorio di slitte, guanti foderati di pelliccia, cene con vodka e caviale del Don o di estati in Crimea, con abiti e cappelli bianchi. Il racconto La signora con il cagnolino vede un maturo e coniugato signore della ricca società moscovita in vacanza solitaria e birichina a Yalta, alle prese con il fascino irresistibile di una molto più giovane donna anch’ella infelicemente coniugata. Accade quel che deve accadere, come da copione, non fosse che lo scandaglio di Čechov si spinge molto più in là della pittura d’ambiente, o del gusto vagamente trasgressivo della trama, e ci porta a vedere in filigrana tutta la complessa e lievissima tramatura di spinte e controspinte erotico-emotive cui sono sottoposti i due personaggi.

Fino a giungere al centro ideale del racconto nel quale appare chiaro una sorta di nesso essenziale, di chiave di volta: la rivelazione di una doppiezza, che si annida proprio nei meandri di tutto quel mondo minuziosamente regolato nei suoi rituali sociali, per il quale è assolutamente normale vivere una doppia vita, falsa da entrambi i versanti finché, come in questo caso, non accade che, di colpo, cadendo, quella non ne rivela un’altra, questa sì invece vera, una, centrale, essenziale, la cui improvvisa esplosione denuda improvvisamente i due amanti, li spoglia di ogni difesa di fronte ai loro rispettivi mondi d’appartenenza.

E senza difesa i due si avvieranno a una conclusione sospesa nella quale sapremo solo che l’avventura d’amore, ma anche di conoscenza e forse di trasformazione di sé dei due amanti, non è che agli inizi: “ed erano convinti tutti e due che la fine era ancora lontana lontana e che il difficile, il più complicato, era appena cominciato”.

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Il racconto è denso di notazioni che ci mostrano la vita quotidiana del personaggio principale fin nelle sue più minute sfaccettature: moventi, emozioni, abitudini. Soprattutto, come sempre accade in Čechov, pur venendo intrappolati dalla sua sottile tela, si ha la sensazione che non accada nulla di speciale. Compito arduo dunque per un attore evitare di farsi prendere dalla fretta, o dalla tentazione di saltare qualche passaggio un po’ troppo descrittivo, o peggio ancora, allo scopo di movimentare un po’ il tessuto verbale dello spettacolo, di sovrapporci varie serie di prefabbricate – e per carità, personalissime! – sequenze intonative.  Niente di tutto questo. La chiave sembra essere una sovrana calma che permea ogni movimento e la dizione stessa del performer, ma una calma tesa, vibrante, che passa si può dire su ogni parola del testo e la dilava, la scarnifica, ne mette a nudo l’essenzialità, con il risultato che quasi ogni giro di frase, ogni periodo, è una freccia ben scoccata che arriva a destinazione.

Se ne ricava, da parte degli spettatori, un silenzio denso, carico d’attenzione, che dura per quasi 75 minuti. Un silenzio vero. Nessuno spettatore, in una simile situazione, in cui si potrebbe dire che è cavia, insieme all’attore, di un’esperimento sull’ascolto umano, potrebbe reggere a questa prossimità, in un luogo dove la luce colpisce lui come l’attore, dove non ci sono filtri tecnologici di alcun tipo; nessuno spettatore, dicevo, che non fosse perfettamente catturato dall’azione, potrebbe credo impedirsi di tossire, girarsi da una parte, agitarsi sulla sedia, guardare per aria, grattarsi il mento ecc…

E non è solo una questione di parole. Ma proprio di come l’attore lavora con il proprio corpo in relazione allo spettatore; nello spazio che lo separa, ma che lo unisce, anche, ad esso. E’ questione di come i suoi sguardi a volte vaghino nell’aria seguendo un’immagine, a volte valutino una questione della massima importanza, a volte ancora trafiggano improvvisamente uno degli spettatori come a farlo direttamente partecipe di quel particolare momento. E’ un’arte sottile dello sguardo – e del movimento. Ogni gesto è calibrato al punto da mostrare quasi lo “stigma” delle sue stratificazioni. Stratificazioni che non appartengono certo al lavoro su questo spettacolo, ma provengono da un bagaglio enorme di tecnica corporea imparata e disimparata, resa qui come trasparente, eterea.

Eppure non c’è niente, viene da dire.

Questo niente è il punto.

Perché il teatro in fondo è una scienza del niente, non appena comincia ad armarsi, a gonfiarsi di apparati, diventa una pomposa farsa, vale a dire il teatro di se stesso, cioè una macchietta, una caricatura, la deformazione barocca di un niente.

Però quando questo niente è pienamente manifesto ecco che la sua ricchezza si dispiega anche in una casa, con un attore, senza costume, senza luci, senza scene. Il teatro in casa non è un genere, in questo caso è proprio il grado zero del teatro. Un grado zero imprescindibile. Ci vuole per forza una guerra, una rivoluzione per toccare questo grado zero? Se in passato è andata così, oggi, pur senza che la vecchia Europa si trovi a scontare le devastazioni di una guerra guerreggiata sul proprio territorio, o di una rivoluzione sociale di vasta portata, il cataclisma, la trasformazione radicale, è sotto gli occhi di tutti.

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FRANCO ACQUAVIVA

 

Visto in una casa privata di Milano nel mese di febbraio 2016

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Lenz Fondazione al lavoro sul Macbeth con gli ospiti degli ex Ospedali Psichiatrici Giudiziari

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Macbeth, Lenz Fondazione - © Francesco Pititto

 

Macbeth, Lenz Fondazione - © Francesco Pititto
Macbeth, Lenz Fondazione – © Francesco Pititto

 

Dal 31 marzo 2015 la Regione Emilia-Romagna è impegnata in un’esperienza pilota a livello nazionale per il trasferimento in nuove strutture di accoglienza degli ospiti finora detenuti negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG). In particolare a Mezzani, in provincia di Parma, è diventata operativa una delle prime Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza Sanitaria (REMS).

È un tale stratificato contesto che accoglie la nuova fase di ricerca artistica di Lenz Fondazione: avviato nell’autunno 2015, il laboratorio Pratiche di Teatro Sociale rivolto agli ospiti della REMS di Mezzani, in collaborazione con il Dipartimento di Salute Mentale dell’AUSL di Parma, va a innestarsi sul progetto ultradecennale realizzato con lo straordinario ensemble degli attori ex lungodegenti psichici.

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Macbeth, Lenz Fondazione - © Francesco Pititto
Macbeth, Lenz Fondazione – © Francesco Pititto

 

Con il nuovo nucleo di attori sensibili ospiti della Rems, nel 2016 Lenz indaga il Macbeth shakespeariano, in una rilettura contemporanea del potente materiale drammatico: «I loro volti e le loro voci diventano il transfert visivo ed emozionale della figura tragica di Macbeth e la questione della follia e delle visioni di Lady Macbeth materia vivente, atto violento rimembrato e rielaborato, allucinazione rimessa a fuoco», suggeriscono i direttori artistici di Lenz Fondazione Maria Federica Maestri e Francesco Pititto, che aggiungono: «Stiamo ricercando le linee interpretative, linguistiche e musicali di questa nuova opera di Lenz attraverso gli indispensabili impulsi di chi, rinchiuso per decenni in carcere ci ricorda senza finzione che la vita è davvero un’ombra che cammina e l’attore un povero idiota che fatica a raccontarci il niente».

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Macbeth, Lenz Fondazione - © Francesco Pititto
Macbeth, Lenz Fondazione – © Francesco Pititto

 

Il Macbeth di Lenz Fondazione, che nella sua forma spettacolare vedrà in scena Sandra Soncini insieme ad alcuni attori sensibili della Rems all’interno dell’ambiente sonoro di Andrea Azzali, debutterà a metà giugno nell’ambito del festival di performing arts Natura Dèi Teatri.

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Info: 0521 270141, 335 6096220, lenzfondazione.it

 

Il Club: il silenzio di Dio, l’omertà degli uomini

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Il Club (1)Insignito, lo scorso febbraio, del Gran Premio della Giuria al 65esimo Film Festival di Berlino (in un’edizione vinta da Taxi Teheran [Taxi, 2015] di Jafar Panahi, ottimo sebbene inferiore), Il Club (El Club), forse il più riuscito tra i film sin qui diretti da Pablo Larraín, conferma l’autore cileno tra i più importanti registi al mondo, fautore di un cinema militante, ossia partecipe di una radiografia critica della storia passata e recente della propria nazione, dove i princìpi estetici affermano, promuovono e riformulano, di volta in volta, la soggettività civile e politica dell’artista stesso anziché annullarla nella pura eleganza scenografica. Dopo il rabbioso e grottesco disoccupato di Tony Manero (2008), dopo l’anonimo trascrittore dei risultati delle autopsie di Post Mortem (2010) e dopo il referendum cileno del 1988 – passaggio dal regime militare alla dittatura delle immagini – ritratto nello splendido No (2012), Larraín si allontana, almeno in parte, dagli anni bui del generale Augusto Pinochet per sprofondare nell’opaca oscurità contemporanea di una modesta villetta, appunto «il club», piazzata lungo le acque del Río Rapel e dell’oceano Pacifico, in un paesino – La Boca – piuttosto distante dalla capitale Santiago: lì vivono quattro ex-sacerdoti cattolici, dimessi dallo stato clericale in ragione dei loro abusi e poi confinati nella piccola casa, assieme a una suora spogliata dei propri voti.

Il Club (2)La monotonia del loro quotidiano, ravvivata soltanto dalla cura di un galgo español («levriero spagnolo») la domenica portato a gareggiare con altri cani della cittadina, viene spezzata prima dal suicidio di un nuovo ospite, appena arrivato, e in seguito dalla presenza di un prete gesuita (come l’attuale papa, anche lui rappresentante di una supposta nueva iglesia, «nuova chiesa») mandato dal Vaticano per ottenere aperte confessioni e smantellare la struttura. A rendere ancor più precario l’equilibrio relazionale tra i soggetti, ognuno con un passato da nascondere (dalle molestie sui bambini al commercio di lattanti indesiderati, dal fiancheggiamento dei sanguinari gerarchi dell’esercito alle percosse inflitte a minori adottati), contribuisce l’apparizione di un giovane vagabondo, uscito di senno a causa delle violenze subite, in gioventù, per mano di un prete, e da allora convinto che «inghiottire il seme» di un religioso significhi illuminarsi «della gloria di Nostro Signore Gesù Cristo». Riprendendo la sensazione di implacabile staticità delle opere precedenti, specchi di un cambiamento impossibile perché ostacolato dalla repressione subdola e ramificata ovunque del potere, Larraín torna ancora una volta a parlare del suo Cile metaforizzandone i fantasmi nel racconto di un ordine sacerdotale fallibile, umano e sfinito, fradicio di peccati e dolori come il gregge dei fedeli al quale vorrebbe imporre un orientamento.

Il Club (4)Nella sceneggiatura del Club, la presunzione di distinguere tra vittime e carnefici si rivela un miraggio, fino a sgretolarsi nella miseria di atti di fede vissuti come altrettante perorazioni di una tranquillità borghese d’improvviso minacciata non dall’irruzione di un messaggero della giustizia terrena (padre Garcia, raggiunta la casa nei panni del moderno inquisitore, rivela la stessa fragilità e lo stesso disorientamento dei suoi fratelli), ma dall’alienazione di un vero martire – Sandokan, errante e violentato, desideroso di farsi penetrare analmente anche dalle donne – destinato, in una sorta di contrappasso della Mouchette (1967) di Robert Bresson (da un romanzo di Georges Bernanos), a diventare il simbolo della grazia divina per gli stessi uomini e donne che, dopo averne in gioventù violato il corpo, cercheranno durante il film di farlo uccidere. Al regista non interessano il trascendente o la catarsi che sfugga alla realtà da essa riprodotta: gli elementi scenici del Club – gli abiti dimessi dei sacerdoti, il decoro conformista della loro abitazione, il pragmatismo irritante della sua custode, le strade asfittiche del paese, la dolente melanconia della costa marittima – spingono lo spettatore a coglierne lo stato primario, l’essenza basilare, la paura serpeggiante in un microcosmo in cui l’unica certezza è quella degli orari immutabili, dei riti di tutti i giorni e, con loro, dell’approssimarsi della morte. Di nuovo avvalendosi del supporto dello straordinario direttore della fotografia Sergio Armstrong, col quale ha dato vita, negli ultimi dieci anni, a un sodalizio di rara efficacia e riconoscibilità, Larraín annega le sue riprese, tutte eseguite all’alba, nel blu glaciale di una rappresentazione del vuoto che, al contrario di quelle di Yves Klein o Derek Jarman, stabilisce l’impossibilità di liberarsi dalla fallacia delle personalità individuali, ciascuna sommersa nelle proprie sofferenze, nelle proprie ossessioni, nel proprio calvario minimo o monumentale.

Il Club (3)Le inquadrature di Armstrong si susseguono sfuggenti e sfocate, quasi volessero contraddire il dilagante conformismo del digitale, dove ogni immagine o fotografia sembra generata dalle stesse sorgenti, per inoltrarsi nella tenebra fredda e perpetua di una tormentata figurazione analogica, ottenuta ricorrendo a obiettivi asferici i cui scatti indicano un parallelo evidente con i profili elusivi, i paesaggi enigmatici e le sequenze di tempo catturate dalle polaroid di Andrej Tarkovskij. Il rigoroso percorso di Pablo Larraín attraverso il malessere esistenziale e sociale del suo paese insiste nell’utilizzo di una drammaturgia fondata su ritmi statici e reiterati (ma il montaggio alternato del prefinale, sulle note ieratiche e stavolta quasi beffarde di Arvo Pärt, è un febbrile pezzo di bravura), senza però acconsentire a un congelamento della componente emotiva, ma anzi, consumando i fotogrammi nel dolore sordo e inascoltato di gesti laconici, disperati, occasionalmente carichi d’odio e brucianti d’amore. Nel cinema di Larraín, come sempre, le azioni più semplici – la carezza rivolta a un cane, un dialogo con la mano sul cuore, la sistemazione di una camera – sono anche le più lancinanti: nel restituire il cedimento interiore dei suoi personaggi, il regista agisce in perfetta sintonia con un gruppo di attori magnifici, il cui magistero, nella recita dell’Agnus Dei prima dei titoli di coda, si sublima nella perfezione della tragedia e nella debolezza delle creature umane.

Gianfranco Callieri

IL CLUB

Pablo Larraín

Rch – 2015 – 97’

voto: *****

La chitarra di Al Di Meola al Teatro Bonci di Cesena

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Al Di Meola - foto di Jean Louis Neveu
Al Di Meola - foto di Jean Louis Neveu
Al Di Meola – foto di Jean Louis Neveu

 

Il concerto è un viaggio a ritroso attraverso il suo repertorio: i suoi classici, i brani di Lennon e McCartney, il Tango di Piazzolla e composizioni nuove di zecca. Il titolo, Elysium & more, allude al “luogo della felicità perfetta” e riflette lo stato d’animo che il virtuoso musicista del New Jersey sta vivendo.

Chiamato a 19 anni da Chick Corea per la registrazione dell’album Return to Forever, che lo ha affermato come astro nascente grazie a una strabiliante tecnica unita a uno stile inconfondibile, AL DI MEOLA ottiene il successo come solista con il pioneristico Elegant Gypsy; nel 1980 il suo travolgente Super Guitar Trio, con Paco De Lucia e John McLaughlin, trionfa sui palchi internazionali. A meno di un anno di distanza, l’album Friday Night in San Francisco diviene una pietra miliare e supera i due milioni di copie vendute. Sono degli anni ‘90 le variazioni sul Tango dell’ultimo grande Astor Piazzolla, che ha avuto su Al Di Meola un’influenza enorme negli ultimi vent’anni. Tantissime le sue collaborazioni con musicisti del calibro di Luciano Pavarotti, Paul Simon, Phil Collins, Santana, Larrv Coryell, Steve Winwood, Wayne Shorter, Herbie Hancock, Gonzalo Rubalcaba, Jaco Pastorius, Les Paul, Jean-Luc Ponty, Steve Vai, Frank Zappa, Milton Naciemento, Egberto Gismonti, Jimmy Page, Tony Williams, Stanley Clarke, Stevie Wonder, Irakere. Dopo aver registrato 21 album, vinto 3 dischi d’oro e venduto 6 milioni di copie, Di Meola continua a mettere alla prova se stesso e la sua musica.

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24 febbraio, ore 21 – Cesena, Teatro Bonci, piazza Guidazzi – prezzi: intero € 30, ridotto € 24, speciale giovani e loggione € 20, prevendita €1 – info: 0547 355959, teatrobonci.it

Buchettino: parole, disegni e voce per vedere senza guardare

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Buchettino (©disegno di Simone Massi)
Buchettino (©disegno di Simone Massi)
Buchettino (©disegno di Simone Massi)

 

È stato pubblicato da Orecchio Acerbo il libro di Buchettino, lo storico spettacolo della Socìetas Raffaello Sanzio, che traspone sulla carta quella singolare esperienza ricreandone il processo di ascolto e immaginazione.

Nato nel 1995 (e diventato un classico del teatro per l’infanzia, con allestimenti in tutto il mondo) Buchettino è uno spettacolo che crea le condizioni per l’ascolto della fiaba: accoglie i bambini nella semioscurità di una grande camera da letto in legno dove ognuno si sdraia nel suo lettino di legno con lenzuola e coperte, mentre la Narratrice, seduta al centro della camera sotto l’unica lampadina, racconta tutte le peripezie del piccolo e coraggioso bambino che salva sé e i propri fratelli da un destino di abbandono.

Nel momento stesso in cui vengono evocati i protagonisti e i luoghi della storia se ne ode la traccia acustica: una tempesta di suoni e rumori avvolge la grande camera da letto e, nel buio, ognuno concentra i propri sensi creandosi da sé le immagini del racconto. «Spesso le fiabe si raccontano prima di dormire e accompagnano quel momento – il sonno – in cui ognuno allenta la presa sulla propria vita – scrive Chiara Guidi. A letto “si ritorna alla base della propria presenza”, e si “sospende” l’esistenza: tutto ciò che vive oltre se stessa. Il letto determina quella posizione del corpo che è quello stare in sé, con sé, per sé».

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Chiara Guidi
Chiara Guidi

 

Tramite l’immaginazione, i bambini diventano protagonisti della storia, attraversano la paura della notte e dello smarrimento, quella dell’abbandono, ciascuno nel proprio lettino, ma ciascuno vicino agli altri. Insieme, complici e solidali, contro il nero che li avvolge. «Come rendere in un libro, anche solo in parte, quest’esperienza straordinaria? L’unica strada ci è sembrata quella di non far incontrare mai parole e immagini – spiega Fausta Orecchio, ideatrice ed editrice del volume –. A Simone Massi abbiamo chiesto qualcosa che sembrava impossibile: illustrare la fiaba senza mostrare quasi nulla, né Buchettino né i suoi fratelli, né i genitori né, tantomeno, le fattezze del terribile orco. Di lavorare solo sul buio, sulla foresta, sulle suggestioni. Di lavorare, in sintesi, solo sulla paura nell’immaginazione. Attraverso la grafica abbiamo invece provato a riportare l’eco di quei suoni che avvolgono i bambini nella rappresentazione teatrale, le invocazioni dei fratellini – la mamma, il pane – la risata dell’orco, l’urlo agghiacciante della moglie dell’orco quando scopre l’assassinio delle sue sette figlie».

Per chi vorrà ricostruire dal vivo quei suoni con pochi materiali e semplici movimenti, alla fine del libro c’è una pagina con le indicazioni per farlo. E, per tutti, un link per effettuare il download della fiaba narrata dalla viva voce di Monica Demuru, con gli effetti sonori tratti dall’indimenticabile spettacolo della Socìetas Raffaello Sanzio.

Completa il volume uno scritto di Goffredo Fofi: «È questa la grandezza della fiaba, di essere all’origine del mondo, della lettura del mondo. E aver saputo scavare in questo pozzo – non della Storia (…) ma del Mito (…) – è uno dei meriti, non il solo ma forse il più periglioso, di Chiara Guidi e della Raffaello Sanzio. Insomma: scoprire il modo in cui riportarci all’origine, farci tornare bambini senza nessuno dei mille bamboleggiamenti che affliggono l’immaginario infantile».

Qui e ora, Petrella

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Balletto Civile

 

Santarcangiolese di nascita, da molti anni vivi a Bologna. Perché questo ritorno in Romagna?

Pur abitando a Bologna, dove ha sede la mia società fondata 13 anni fa con Giuseppe Mariani, ho sempre mantenuto un costante legame affettivo e professionale con la Romagna. Dal 1997 al 2007 ho fatto parte del Cda del Festival di Santarcangelo, come Cronopios abbiamo curato e organizzato per dieci anni le Stagioni del Teatro Moderno di Savignano e da tempo collaboriamo con Motus e Teatro Valdoca. L’occasione di gestire il Teatro Petrella ha consolidato questo rapporto, mai interrotto, con il mio luogo d’origine.

In arrivo il 3 marzo I vicini di Fausto Paravidino, produzione del Teatro Stabile di Bolzano: il Petrella ospiterà il riallestimento in una residenza creativa. Per chi non se ne intende: come funziona questa modalità?

Grazie al lavoro pionieristico di Sandro Pascucci, iniziato a metà degli anni ’80, il Petrella è un teatro ben presente nella mente di gran parte degli artisti, degli operatori culturali e del pubblico come luogo di residenza creativa. È nostra intenzione mantenere viva questa vocazione originaria: una buona parte del programma è composto da compagnie che hanno scelto Longiano per allestire e presentare le proprie produzioni. Offriamo la disponibilità del teatro, l’assistenza e le attrezzature tecniche, l’utilizzo di una foresteria e convenzioni con gli esercizi commerciali e ristorativi del paese.

Esito di una residenza sarà anche il nuovissimo spettacolo di teatro-danza di Balletto Civile, al Petrella in anteprima nazionale. Ci presenti questo singolare ensemble? 

Balletto Civile è un’interessantissima e affermata compagnia guidata dalla coreografa e danzatrice Michela Lucenti. Si caratterizza per un linguaggio scenico “totale”, generato dall’interazione fra teatro, danza e canto. È un gruppo nomade che, al Petrella, svilupperà in 12 giorni di prove, con debutto il 24 marzo, il nuovo lavoro Before break //2. 

A proposito di danza: in collaborazione con L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino avete elaborato un progetto di accoglienza e residenza che, attraverso una Chiamata pubblica, porterà alla selezione di due progetti di produzione di danza d’autore contemporanea. 

Il titolo del progetto è Vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi e alla Chiamata pubblica hanno risposto più di 70 compagnie: un risultato eccezionale, al di là di ogni aspettativa. Le due che verranno selezionate saranno ospitate a Longiano nei mesi di aprile e maggio. La collaborazione con L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, il primo centro in Italia che ha pensato e progettato le residenze creative come luoghi di studio, ricerca e sperimentazione, è di fondamentale importanza per rilanciare a livello nazionale il ruolo del Petrella.

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MICHELE PASCARELLA

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Teatro Petrella, Longiano (FC), Piazza San Girolamo 3 – info: 0547 666008, ilteatropetrella.it 

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Grandi nomi, al Cinema Teatro Moderno di Savignano

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Flavio Insinna

 

Flavio Insinna
Flavio Insinna

 

Dopo i successi dello scorso anno, è ripartita la programmazione del Cinema Teatro Moderno di Savignano sul Rubicone. Almeno due segnalazioni.

Flavio Insinna, attore versatile e popolare presentatore di Rai Uno, a partire dal suo romanzo La macchina della felicità sabato 20 febbraio propone una performance di musica e parole in cui il pubblico interagisce liberamente: «È una festa collettiva, un viaggio pieno di sorprese. Il patto fra me, i musicisti e i passeggeri è chiaro: far saltare tutti gli schemi, abbandonarsi al piacere del viaggio e scatenarsi, come da bambini durante la ricreazione».

In Bello Mondo Mariangela Gualtieri cuce versi tratti da tutte le sue raccolte, a partire da Le giovani parole, fresco di stampa, a ritroso fino a Fuoco Centrale. «Amo chiamare questo dare voce al verso, rito sonoro» spiega la fondatrice del Teatro Valdoca, «perché mi pare che la poesia attui la propria energia massima in questa formula, lì dove una voce la modula ed una comunità provvisoria la accoglie in un ascolto teso: allora i simboli parole vengono ricaricati, rinnovati, tirati via dal logorio che li depotenzia, e tornano a noi col loro sollievo. Ed è rito sonoro perché anche il silenzio ha una sua parte fondamentale, il silenzio fra le parole, il respiro di chi ascolta, l’ispirazione del dire che tenta di riscrivere al presente, l’ispirazione dell’ascoltare. Mi sono preparata alla consegna orale dei versi, nella certezza che essa sia un’antica, attuale via alla comprensione e compassione del mondo».

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MICHELE PASCARELLA

 

Cinema Teatro Moderno, Corso Giulio Perticari 5, Savignano sul Rubicone (FC) – info: 389 0171314, cinemateatromoderno.it

 

A Poggio Torriana va in scena l’incredibile normalità della giornata di un postino

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Compagnia Astorri-Tintinelli, Con tanto amore, Mario - foto di Emiliano Boga

 

Compagnia Astorri-Tintinelli, Con tanto amore, Mario - foto di Emiliano Boga
Compagnia Astorri-Tintinelli, Con tanto amore, Mario – foto di Emiliano Boga

 

«Mario è un personaggio che mi accompagna da molti anni. Mario è un nome comune per un uomo comune: è un ex postino senza età che vive il momento finale della vita, o forse dà fine ad una “vita” per ricominciarne un’altra nuova. È uno spettacolo muto e in bianco e nero. Il titolo richiama una canzone di Mario Abbate, utilizzata nello spettacolo insieme alla canzone Mario di Enzo Jannacci (di cui  amo la poesia) e una radio che trasmette  previsioni del tempo. In fondo non lo definirei spettacolo, è come un block notes, sono annotazioni di problemi brucianti, di idee, scoperte, invenzioni, progetti, concezioni, partiture, materiali»: Paola Tintinelli, fondatrice e anima della Compagnia milanese Astorri-Tintinelli, introduce Con tanto amore, Mario, spettacolo che sarà presentato nell’ambito della rassegna Mentre Vivevo, a cura di quotidiana.com e La Mulnela.

È un assolo per corpo, gesti, sguardi  e oggetti. La drammaturgia è negli occhi di Paola Tintinelli, nelle espressioni del viso, nell’impianto scenico che si prospetta come un’allegoria della vita: «Emerge un universo fantastico e immaginario, espressione del mondo interiore del protagonista. È il racconto della storia di uno qualunque, Mario: i suoi sacrifici, il suo lavoro, i suoi desideri, il suo funerale. Un non-luogo anima la scena: potrebbe essere una strada, una casa, un ufficio. La vita di Mario scorre in un’agghiacciante monotonia. In lui c’è  la semplicità dei vinti».

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Compagnia Astorri-Tintinelli, Con tanto amore, Mario
Compagnia Astorri-Tintinelli, Con tanto amore, Mario

 

Con tanto amore, Mario, dopo essere stato proposto «in piccoli teatri tra Toscana, Emilia e Campania, all’università occupata di Bologna, in un garage a Sesto, in una osteria di Roma, in una cascina a Stradella, in un cortile a Framura, in un laboratorio a Laspezia, in tre locali a Milano e per strada», arriva al Centro Sociale di Poggio Torriana (RN).

Al termine dello spettacolo in programma un incontro fra artista e pubblico, allo scopo di svelare alcuni retroscena e meccanismi del lavoro.

A seguire sarà offerto un aperitivo.

Nutriamo non solo la mente: per non dimenticare che la crisi non è affatto alle nostre spalle, i curatori della rassegna hanno deciso di fare un dono agli spettatori. Domenica 24 aprile uno dei biglietti emessi nei vari appuntamenti, estratto a sorte, si aggiudicherà un buono spesa del valore di trecento euro da spendere presso un supermercato Coop.

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21 febbraio, ore 17 – Poggio Torriana (RN), Centro Sociale, Via Costa del  Macello 10 (traversa di Via Santarcangiolese all’altezza del civico 4603) – ingresso unico 7 €. Info: 347 9353371, quotidiana@alice.it

 

Al Cisim di Lido Adriano arriva ‘Piccola Patria’ di Alessandro Rossetto

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Una foto di scena del film 'Piccola Patria'. ANSA/++HO - NO SALES EDITORIAL USE ONLY - NO ARCHIVE++

Una foto di scena del film 'Piccola Patria'. ANSA/++HO - NO SALES EDITORIAL USE ONLY - NO ARCHIVE++

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Italia, Nordest. Lucia e Renata sono due ragazze che vivono in un paesino di provincia e che hanno come principale desiderio quello di acquisire denaro per poter partire. Lavorano sottopagate come cameriere in un grande albergo. Luisa ha un ragazzo, l’albanese Bilal, che utilizza a sua insaputa per rapporti erotici cui assiste pagando un uomo con cui Renata ha intrecciato una relazione fatta di sesso e soldi. I rapporti tra i locali e gli immigrati sono tesi e Lucia e Bilal ne sono consapevoli.

Presentato alla 70ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti e in prima internazionale al Festival di Rotterdam 2014 (nella sezione Spectrum dedicata a “film e registi che offrono un contributo essenziale alla cultura cinematografica internazionale”).

A seguire incontro con il regista Alessandro Rossetto.

 

19 febbraio, ore 21 – Lido Adriano (RA), Cisim, viale Giuseppe Parini 48 – ingresso libero con tessera dell’Associazione Culturale Il lato oscuro della costa – info: 389 6697082, ccisim.it

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Quadri di un’esposizione con musiche di Musorgskij. A Baby Bofe’

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Musorgskji
Musorgskji
Musorgskji

 

Secondo appuntamento della rassegna Baby Bofe’, lo spettacolo musicale realizzato dalla Compagnia Teatrale Corona racconta della nascita di questo celebre brano pianistico di Musorgskij e della tormentata creatività del compositore russo. Tra una Promenade e l’altra, sulle note di Gnomus, della Grande porta di Kiev o della Capanna sulle zampe di gallina (Baba-Yaga) – per citare solo alcuni dei titoli più noti di questa raccolta pianistica – ci troveremo totalmente immersi nell’esistenza di un grande compositore.

Di ritorno dall’esposizione di quadri di un amico, Musorgskji lancia al mondo una promessa: scriverà una nuova opera e non uscirà di casa finché non l’avrà terminata! Solo, tra carte, candela e una bottiglia di vodka, il compositore comincia un viaggio all’interno del suo mondo immaginario, fatto di musica, colori e sentimenti che si amalgamano continuamente. Il suono sgorga dal pianoforte, le immagini prendono forma su una tela ancora intonsa, la sua anima scalpita in cerca della bellezza e della purezza. Tra improvvisi sbalzi di umore, gioie e tormenti, il nostro Modest crea la sua opera, immaginando di dialogare con il pubblico.

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20 febbraio ore 21, 21 febbraio ore 16.30 – Bologna, Teatro Testoni Ragazzi – info: 051 6493397, 051 4153800, bolognafestival.it

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Jack London e il grande Nord nella ‘Ballata di uomini e cani’ di Marco Paolini

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foto Calimero web
foto Calimero web
foto Calimero web

 

Come un folksinger contemporaneo, Marco Paolini ci guida stavolta nella selvaggia Alaska di London, un mondo che ha il sapore avventuroso dell’infanzia e, allo stesso tempo, della dura legge per la sopravvivenza.

50 gradi sotto lo zero, boschi e cieli candidi, slitte e distese ghiacciate, storie di un sodalizio antico fra spietati avventurieri e mezzi lupi: nell’immaginario collettivo è questo il grande Nord. Una cosmografia in cui l’uomo è al centro di una natura magnifica ed estrema.

Brani di tre racconti celebri, Macchia, Bastardo e Preparare un fuoco, in cui uomini e cani sono coprotagonisti, si intrecciano alla biografia dello scrittore statunitense, che nella sua breve vita fu anche vagabondo, lavandaio, pugile e cercatore d’oro.

Con le ballate musicate e cantate da Lorenzo Monguzzi, voce de “I Mercanti di Liquore”, insieme ad altri due musicisti, Paolini dà vita a un canzoniere teatrale che rapisce il pubblico e lo conduce dentro un universo lontano e selvatico.

 

20 e 21 febbraio, ore 21 – Cesena, Teatro Bonci, piazza Guidazzi – ingresso: intero € 25, ridotto € 18, speciale Giovani e loggione € 15, prevendita € 1 – info: 0547 355959, teatrobonci.it

La libera circolazione dello sguardo. Intervista a Roberta Bertozzi

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Erich Turroni, Senza titolo, opera site specific, 2016
Erich Turroni, Senza titolo, opera site specific, 2016
Erich Turroni, Senza titolo, opera site specific, 2016

 

Per chi non se ne intende: di cosa tratta questa mostra?

Carsico, la personale di Erich Turroni, giunge a completare la prima tranche di eventi e proposte espositive di Cristallino. La mostra rientra nell’ambito dei Cantieri, ossia di quei progetti artistici che occupano per via estemporanea le sale del Musas, il Museo Storico Archeologico di Santarcangelo di Romagna, con l’obiettivo di aprire ulteriori varchi rispetto alla programmazione del Festival.

Sia Erich Turroni che Claudio Ballestracci, protagonisti di questa sezione, si scostano dal tema della collettiva Il pensiero è un abisso, centrata sul mondo oggettivo, sullo stato delle cose, per proporci una ricognizione della condizione umana, passando attraverso le esperienze traumatiche dei conflitti dell’ultimo secolo e la progressiva reificazione sociale e culturale che ha contraddistinto la modernità. In Turroni questa riflessione si precisa nell’ipotesi di un’era post-human, dove la nostra identità tende a farsi liquida e transeunte. Ciò che si palesa nelle sue opere è un intenso appello a quel nucleo di umanità che ancora ci appartiene e che ancora rende possibile la nostra esistenza.

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Erich Turroni, Senza titolo, tecnica mista su carta, 2015
Erich Turroni, Senza titolo, tecnica mista su carta, 2015

 

In che cosa Carsico consolida, e in che cosa eventualmente rinnova, il percorso poetico e produttivo di Erich Turroni?

Già in precedenza, in un mio testo critico, avevo connesso la ricerca di questo artista a una categoria che poco ha a che vedere con l’arte quanto invece con la poesia. Perché sono fermamente convinta che la sua indagine scultorea e pittorica tenda nel complesso a configurarsi come una possente, implacabile elegia dell’umano. Elegiaca è la traiettoria del suo stile, calibrata sulla ritrazione piuttosto che sull’azione, nella quale domina un riserbo, un pudore espressivo talmente rigoroso da escludere qualsiasi residuo d’intenzionalità soggettiva; ma elegiaca è soprattutto la prospettiva dalla quale egli osserva l’oggetto, la modalità attraverso cui lo rende manifesto, quasi si trattasse di una materia obsoleta, perduta, e l’artista fosse lì per circoscriverne l’estremo barlume. Nei lavori che Turroni presenterà al Musas questa dinamica mi sembra attestarsi in modo ancora più marcato e insieme rivelare delle inattese aperture, in direzione di una sintassi compositiva che ammicca esplicitamente anche ad alcuni grandi esponenti dell’arte moderna, Giacometti in primis.

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Erich Turroni, Uomo, tecnica mista e poliestere su tavola, 2015
Erich Turroni, Uomo, tecnica mista e poliestere su tavola, 2015

 

Calligraphie pubblicherà un catalogo dei lavori più recenti di Turroni, all’interno della collana di arte contemporanea IN-PLANO. Ce li presenti?

Il catalogo che uscirà per le nostre edizioni ha in realtà una struttura un po’ anomala. Diciamo che assomiglia più a un taccuino che non a un catalogo vero e proprio, vuoi per la logica con cui sono stati selezionati i lavori, centrata prevalentemente sulla pratica, con molti studi preparatori, abbozzi, esercizi intermedi; vuoi perché conterrà delle carte e dei disegni realizzati a mano dallo stesso Turroni, dunque diversi esemplari di questa serie limitata costituiranno un unicum. Com’è ormai tipico della nostra filosofia editoriale, ciò che ci preme nella costruzione di un libro è di mantenerne intatta la fondamentale polisemia, la sua possibilità di implicare altre forme, di presentarsi come un oggetto passibile di innumerevoli variazioni… Per citare Henri Michaux, un libro dovrebbe essere come un quadro, deve permettere la libera circolazione dello sguardo e dei sensi anziché proporre una via bell’e tracciata, univoca.

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Erich Turroni, Vanitas, tecnica mista e poliestere su tavola, 2015
Erich Turroni, Vanitas, tecnica mista e poliestere su tavola, 2015

 

Puoi darci qualche anticipazione di ciò che proporrà Cristallino fra aprile e luglio?

Cristallino riaprirà simbolicamente, e di fatto, i suoi battenti sabato 16 aprile con l’inaugurazione della mostra collettiva SOUVENIR D’AMéRIQUE, un progetto che si innesta alla prossima edizione della Biennale del Disegno di Rimini. La mostra avrà un assetto un po’ particolare, perché durante l’allestimento cercheremo di agire su quella che è l’ottica dell’osservatore, tentando di disarticolare il suo punto di vista. Il focus verterà in prevalenza sulla fotografia, il disegno e l’incisione. Tra gli appuntamenti di questo secondo atto del Festival mi preme segnalare un incontro: domenica 1 maggio avremo infatti come ospite Roberto Paci Dalò, in una serata che vede la presentazione del suo progetto multimediale 1915 The Armenian files  e del libro FILM NERO, tutt’ora in corso di pubblicazione per i tipi de Il filo di Partenope di Napoli.

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MICHELE PASCARELLA

 

  

20 febbraio, ore 17.30 – Santarcangelo di Romagna (RN), MUSAS – Museo Storico Archeologico, Via della Costa 26 – info: calligraphie.it, cristallino.org

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Gio Ponti e l’esperienza ceramica, se ne parla al MIC di Faenza

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Gio Ponti

 

Gio Ponti
Gio Ponti

Ultima conferenza per il ciclo “Parole e Musica” al Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza. Sabato 20 febbraio, alle 16.30 si analizza la figura di Gio Ponti e la sua esperienza ceramica insieme a Valerio Terraroli, Oliva Rucellai e Maria Teresa Giovannini.

I tre esperti presentano il volume “Gio Ponti. la collezione del Museo Richard-Ginori della Manifattura di Doccia”, realizzato con immagini di Arrigo Coppitz e con la grafica di Dallas (Francesco Valtolina e Kevin Pedron).

Nella stessa occasione verrà presentata in anteprima la mostra “Italian Style. Gio Ponti e gli artisti dalle arti decorative al design 1922-1960” che sarà allestita al Museo Correr di Venezia nel prossimo autunno.

Architetto, designer e artista, Gio Ponti (Milano 1891-1979) si laurea a Milano nel 1921 e si associa inizialmente con Emilio Lancia e Mino Fiocchi dal 1927 al 1933. Nel 1927 fonda il Labirinto, con Lancia, Buzzi, Marelli, Venini e Chiesa, per proporre arredi e oggetti di alto livello. Dal 1923 al 1930 è direttore artistico di Richard Ginori. Con la fondazione della rivista Domus nel 1928 (che, salvo brevi interruzioni, dirigerà fino alla morte), Ponti contribuisce intensamente al rinnovamento della produzione italiana del settore, cui dà nuovi impulsi. Partecipa da protagonista e sostiene le Biennali di Monza, poi Triennali di Milano, il premio Compasso d’oro e l’ADI (Associazione per il Disegno Industriale). Al Ponti architetto si deve il simbolo della Milano moderna, il grattacielo Pirelli, progettato nel 1956 con Fornaroli, Rosselli e Nervi. Nel 1951 realizza il secondo Palazzo Montecatini (il suo primo palazzo per uffici risale al 1938-39). Nel 1957 progetta la celeberrima Superleggera per Cassina, a coronamento di un rapporto di collaborazione lungo e fecondo. All’attività progettuale ha affiancato anche quella didattica, insegnando alla Facoltà di Architettura di Milano dal 1936 al 1961.

20 febbraio, Faenza, Museo Internazionale delle Ceramiche, viale Baccarini 19, ore 16.30. Ingresso gratuito. Info: 0546 697311, micfaenza.org

Storie di droga e di Sacra Corona Unita. Oscar De Summa arriva a VocAzioni

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Oscar De Summa, Stasera sono in vena - foto di Manuela Giusto
Oscar De Summa, Stasera sono in vena - foto di Manuela Giusto
Oscar De Summa, Stasera sono in vena – foto di Manuela Giusto

 

«Io sono qui! Sono vivo! Dopo aver passato una stagione all’inferno, dopo aver attraversato la bruttura che cambia le linee del volto, le rende dure e sinonimo di dolore. È là che fa breccia l’idea di una panacea per tutti i mali, una medicina che tolga dall’imbarazzo di vivere: la droga». Oscar De Summa introduce Stasera sono in vena, spettacolo vincitore del Premio Cassino Off, finalista del Premio Rete Critica e finalista del Premio Ubu come migliore novità 2015 che andrà in scena al Teatro Comunale Alice Zeppilli di Pieve di Cento (BO) nell’ambito di VocAzioni, la raffinata rassegna di spettacoli diretta da Matteo Belli e Maurizio Sangirardi dell’Associazione Ca’ Rossa – Centro Teatrale per l’oralità.

Aggiunge l’autore-attore: «Stasera sono in vena è uno spettacolo ironico e amaro. Parte della mia adolescenza in Puglia, negli anni Ottanta, quando si è formata la Sacra Corona Unita. È un racconto semplice, sul piano-sequenza di una terra che decide di cambiare direzione, di appropriarsi del proprio male. Si sorride delle vicende del protagonista dall’inizio alla fine, tranne che in alcune fratture che interrompono la narrazione, ricordandoci che quello di cui stiamo parlando è vero, è successo».

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Oscar De Summa, Stasera sono in vena - foto di Manuela Giusto
Oscar De Summa, Stasera sono in vena – foto di Manuela Giusto

 

Per godere con maggior consapevolezza di questa intensa creazione, lo stesso giorno è in programma un incontro fra Oscar De Summa e il pubblico. La conversazione, dal titolo Scrivere una storia, si focalizzerà sulle modalità di costruzione drammaturgica nel lavoro dell’artista pugliese. Si svolgerà nel Foyer del Teatro Comunale Alice Zeppilli di Pieve di Cento (BO). L’ingresso è libero. A seguire verrà offerto un aperitivo.

Iniziata nel mese di novembre con lo spettacolo Genti, intendete questo sermone interpretato da Matteo Belli, la rassegna VocAzioni proseguirà fino ad aprile 2016 con diversi protagonisti della scena italiana. State in ascolto!

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20 febbraio, ore 17.30 incontro con il pubblico, ore 21 spettacolo – Pieve di Cento (BO), Teatro Comunale Alice Zeppilli, Piazza Andrea Costa 17 – info: 333.8839450, info@associazioneflux.it

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