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I bronzi ellenistici arrivano a Firenze

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I capolavori del mondo antico provengono dai più importanti musei italiani ed internazionali come quello Archeologico di Firenze, il Prado di Madrid, il British Museum di Londra, il Metropolitan di New York, la Galleria degli Uffizi, il Louvre di Parigi, e i Musei Vaticani.

Potere e pathos narra l’età ellenistica dal IV al I secolo a.C., periodo in cui, in tutto il bacino del Mediterraneo e oltre, si affermano nuove forme espressive che insieme allo sviluppo delle tecniche, rappresentano la prima forma di globalizzazione dei linguaggi artistici allora conosciuti.

Una mappa dei luoghi dei ritrovamenti dei bronzi, ci permette di percepire la vastità del mondo greco che si estendeva dal bacino dell’Egeo fino all’India e comprendeva la Mesopotamia, la Persia e l’Egitto.

Il racconto delle storie delle scoperte delle opere, la maggior parte delle quali avvenute nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero; pone i reperti in relazione agli antichi contesti e li rende affascinanti per lo spettatore.

La particolarità della mostra di Palazzo Strozzi è proprio quella di contestualizzare le opere investigando ed esplorando anche il processo di produzione, di fusione e le tecniche di finitura.

Gli scultori ellenistici mirano ai dettagli, e proprio il bronzo, grazie all’aggiunta di leghe, consente loro anche effetti superficiali, in grado di rappresentare il contrasto di occhi, labbra e denti.

Divinità, atleti ed eroi sono affiancati allo sviluppo di nuovi soggetti e generi tratti dalla vita quotidiana. Ne sono un esempio la Statuetta di un artigiano o l’Eros dormiente, entrambi del Metropolitan Museum of Art di New York.

Abbandonati l’equilibrio e la serenità del periodo classico si scoprono posizioni nuove, le figure si muovono più libere nello spazio. La freschezza giovanile, la calma stoica o il peso delle preoccupazioni con le fronti aggrottate e le rughe intorno agli occhi, danno l’avvio alla rappresentazione fisica del “pathos”.

Proprio nella terza sezione della mostra intitolata Corpi ideali, corpi estremi si esplorano le innovazioni stilistiche del linguaggio artistico insieme alla capacità di cogliere il dinamismo del corpo nella diversità dei suoi movimenti e delle sue posizioni.

L’Apoxyomenos, rappresenta l’atleta che si asciuga il sudore alla fine di una gara, L’artista non si concentra più,

sull’atteggiamento ideale, ma cerca di cogliere la vita nel suo divenire, in un momento qualsiasi, spesso quello meno atteso.

È unica e irripetibile, questa mostra, anche perché offre la possibilità di vedere affiancati proprio l’Apoxyomenos di Vienna in bronzo e la versione in marmo degli Uffizi utilizzata per il suo restauro; i due Apollo-Kouroi, conservati al Louvre e a Pompei. Nessuna delle coppie fino ad oggi, era mai stata esposta fianco a fianco.

“Della Grecia si parla tanto per i suoi debiti, ma non dimentichiamo che noi abbiamo tanti debiti nei confronti di quel Paese” non possiamo che condividere il pensiero della professoressa Cristina Acidini.

Curata da Jens Daehner e Kenneth Lapatin, la mostra è promossa e organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi, il J. Paul Getty Museum di Los Angeles e la National Gallery of Art di Washington. In queste due città arriveranno i bronzi dopo il debutto fiorentino.

 

VALENTINA SANGIORGI

Firenze, Palazzo Strozzi, 14 marzo-21 giugno 2015

Stefano Disegni, la matita “ammazzafilm”

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StefanoDisegniIl suo ultimo libro, L’ammazzafilm, è andato esaurito in pochissimo tempo, la raccolta delle vignette con cui demolisce le peggiori pellicole che escono sul grande schermo sono ormai oggetto di culto. Lui le pubblica da anni sul mensile Ciak, e più che recensioni sono vere stroncature, però divertentissime, fatte senza guardare in faccia a nessuno, siano americanate più pompate o film intellettuali italiani.

Ma Stefano Disegni, pilastro della satira nostrana, ha tanti interessi di cui parlare.

Sei più contento del successo de L’ammazzafilm o di come va la Lazio in campionato?

«Ma che, stai a scherzà? Lazio! Neanche a chiederlo. I libri possono aspettare, la Lazio mai. Comunque il libro è andato benissimo, siamo già in ristampa dopo un mese. Anzi, mi ricordi che devo andare a prendere le copie! Non ne ho più neanche una. È nato dalle richieste via mail dei lettori di Ciak, la lettera più gettonata era: ‘ho fatto un trasloco e ho perso la mia collezione dei numeri con le vignette dei film’. Non potevo restare insensibile a questo grido di dolore e quindi ho raccolto le mie migliori strisce che vanno dal 2000 fino all’ultima stagione».

Sei ormai il giustiziere della settima arte, riesci ancora a vedere un film tranquillamente o pensi a come massacrarlo?

«Non sono un masochista, scelgo un film, non me la prendo con tutti, di film belli che non ho preso in giro ce ne sono tanti: Boyhood è bellissimo, come Corri ragazzo corri, anche L’Amore Bugiardo non è male. Poi chiaramente c’è tanta robaccia, come l’ultimo di Russell Crowe, te lo raccomando… ne vedo cinque o sei al mese, faccio una rosa di papabili e assieme alla redazione decido a quale tocca. Andare al cinema a vedere schifezze è una tortura, ma è quello che cerco io e se il film è bello in teoria dovrei andarmene».

Alcuni personaggi del mondo del cinema si sono lamentati?

«A dire il vero ultimamente pare che questa cosa di venir disegnati sia diventata quasi un onore. C’è gente che mi chiede ‘Aoh, a me quando mi prendi per il culo?’ Però c’è ancora chi si offende, e spesso tanti di sinistra, della mia a parte politica, e questo mi intristisce. Sai com’è… noi ci sentiamo i buoni, quelli della parte giusta, non dobbiamo essere presi in giro, invece anche i buoni fanno tante cazzate».

E la tanto bistrattata Monica Bellucci che disegni col muso da cagna, forse per le sue capacità recitative, come l’ha presa?

«Io la Bellucci l’ho rivalutata completamente. Primo perché ho visto recitare Asia Argento, quindi Monica merita come minimo l’Oscar, e secondo perché quando l’ho incontrata ad una cena di quel mondo lì, invece di darmi un cazzotto in faccia, mi ha abbracciato, stampato un grosso bacio su una guancia e mi ha detto che la faccio ridere tanto. Il bacio della Bellucci valeva molto. Non ho lavato la faccia per un mese. Adesso poi è diventata Bond Girl, che a cinquant’anni è un po’ così, ma va bene…».

Invece chi proprio non ha il senso dell’autoironia sembra che siano gli estremisti islamici. Cosa ne pensi di tutta la faccenda di Charlie Hebdo?

«Nell’immediato dei fatti di Parigi mi hanno cercato tutti, chi faceva satira andava improvvisamente di moda, eravamo una specie da esporre in tv, ormai mi volevano anche a La prova del cuoco con le ricette del vignettista. In quei giorni ho evitato, ho preferito aspettare prima di parlare, prima volevo cercare di ragionare. Quindi, posto che non si può tappare a nessuno la bocca con il fucile e la libertà di parola non si discute, per me si poteva avere più attenzione. Se non ti piace quello che c’è scritto non ti compri il giornale o lo critichi senza sparare, quindi JesuisCharlie pienamente. Però, se io devo satireggiare cerco di farlo sugli uomini, non sui simboli religiosi. La ricerca spirituale, qualunque essa sia, non riesco a pigliarla per il culo. Sono un po’ critico su questo punto. Su quello che fanno gli uomini vado giù pesantissimo, su cardinali miliardari, IOR e preti pedofili sono andato giù senza alcun ritegno ma non ho mai disegnato Gesù Cristo in posizioni oscene, lo trovo inutile».

Tu sei stato anche direttore di un giornale, conosci le responsabilità che comporta il ruolo?

«Ho fatto anche il mestiere ingrato del direttore, un anno a Cuore: è devastante, intanto non fai più l’autore ma devi seguire altre rogne, poi hai decisioni da prendere che scontentano comunque qualcuno, a cominciare dagli autori che, se gli tagli una virgola, apriti cielo. Però ripeto, a pubblicare quelle vignette ci avrei pensato cinque minuti di più. Quando già il fuoco brucia, buttarci benzina sopra non mi pare il caso. Attaccare i simboli è sbagliato».

Questa storia ha messo in primo piano i vignettisti, ci sarà un seguito?

«Andiamo di moda perché è successo questo fatto ma tra un po’ tornerà tutto come prima. In Italia la satira stampata vive solo su quei pochi quotidiani che la ospitano. Da noi non c’è, ne ci sarà, un giornale come il Charlie, come invece succede nel resto d’Europa e questo è un po’ triste».

Da autore hai avuto problemi di censura?

«Non ho mai avuti imposizioni, mi autocensuro da solo. Quando pubblico sul Corriere della Sera – un giornale a grande tiratura – so che non devo scrivere cazzo e figa, ma si sopravvive lo stesso, quello che devi dire lo dici ugualmente».

Il tuo ex collega Massimo Caviglia è di religione ebraica. Lo hai sentito?

«Si, Caviglia è da sempre osservante convinto, ma su questa cosa non ci siamo confrontati. Non ci vediamo più tanto spesso, anche se siamo in buoni rapporti».

Hai avuto la fortuna di conoscere Wolinsky, storico fumettista famoso per il suo stile a sfondo erotico e, purtroppo, uno dei primi a morire in quella redazione. Un ricordo?

«La mia conoscenza con questo poetico pacioccone francese sarà durata tre ore, l’ho conosciuto quando c’erano ancora i soldi e si facevano manifestazioni fumettare. Ci siamo trovati prima a parlare insieme e poi, tra una cazzata e l’altra in un misto penoso di italiano e francese, a disegnare e a scambiarci vignette sporche e disegni zozzi in un clima di scollacciata allegria. Se vale la conoscenza a pelle, era un uomo allegro, molto vitale e carnale, non era né noioso né politico ma gioioso, lontano anni luce dalle cupezze che ce lo hanno portato via».

Quando ho saputo che era morto così, ho cercato di sorridere pensando che sì, ai martiri jihadisti morti toccano 70 vergini, ma lui, invece, di donne disinibite ne aveva conosciute di più. E da vivo.

«Wolinsky aveva l’aria di uno che s’era dato molto da fare, e avrebbe avuto il piacere di darsi ancora da fare, anche se l’età avanzava e non era un giovanotto, ma sai, si spera sempre».

Anche tu te la godi, suoni e canti con il gruppo rock La Ruggine e scorrazzi in moto, come hai raccontato nel mitico Due ruote e una Sella, hai ancora la mitica Honda 750 Custom?

«Hai aperto una ferita dolorosissima, dopo 24 anni me l’hanno rubata sotto casa. Non avevo messo la catena. Ora ho due moto, una la stimo e una la amo, quella che stimo è una BMW 800 che è la moto perfetta, con cui ho viaggiato nelle isole greche, ottima; quella che amo, con la quale mi fermo, la guardo, ci giro attorno poi la guardo ancora è una Harley-Davidson V-Rod. Ho questa passionaccia, del resto non bevo, non fumo, non mi drogo, non pago le donne… qualche soldo dovrò pure spenderlo da qualche parte…».

Tutti quelli che in intervistano alla fine ti chiedono dove sta lo Scrondo, il maleducato, sporco, cattivo ma geniale mostriciattolo che resta un evergreen (green in quanto per essere verde, è verde) della comicità?

«Sì, ho una risposta standard ma non la voglio dare a te…». E quale sarebbe? «Dove sta? Con tu’ sorella! Ma non è bello dirlo, comunque lo Scrondo sta sempre con le sorelle dei giornalisti che fanno questa domanda».

Infatti io non voglio fare quella domanda, vorrei sapere almeno chi c’era dentro? Chi è il ripieno dello Scrondo?

«Certo, un attore il bravissimo Ivano Spano (uno Yuri Chechi in miniatura, nda), ultimamente abbiamo fatto un corto, Il ritorno dello Scrondo con Luca Argentero come special guest. Su Youtube lo trovi. Lo Scrondo è vivo e lotta ancora insieme a noi».

MI VERGOGNO TROPPO!

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Gentile dottoressa,

il mio problema è la vergogna. Sono sempre stata una persona timida, chiusa, riservata. E per questo spesso evitavo situazioni che mi potessero imbarazzare. Ma il tutto è andato peggiorando. Ora, a 35 anni, faccio fatica a fare tutto, arrossisco in continuazione anche solo per chiedere la carne in macelleria e non ce la faccio più a vivere così. Esistono delle terapie?

S., Ravenna

 

VergognaCara S.,

la vergogna è un’emozione intensa e estremamente complessa che genera difficoltà nello stare con gli altri, a volte anche molto profonde. Solitamente ci vergogniamo dopo aver fatto una brutta figura, o perlomeno quando percepiamo di averla fatta e di conseguenza ci sentiamo in difetto rispetto agli altri, inadeguati o inferiori.

Spesso gli unici pensieri che contraddistinguono quei momenti sono la voglia di sparire e il pentimento per esserci esposti a quella situazione. Ci sembra che gli altri abbiano gli occhi puntati su di noi e spesso la comunicazione viene bruscamente interrotta, pur di allontanarsi da quel momento avvertito come mortificante.

Alla vergogna si reagisce in vari modi, dalla depressione all’isolamento sociale. Ciò può dipendere dalle caratteristiche personali, dall’educazione ricevuta ma anche dai supporti che si hanno a disposizione.

E’ chiaro che l’aumento o diminuzione della vergogna provata è rinforzata o tende ad estinguersi anche sulla base della reazione degli altri di fronte alla vergogna. Se genera imbarazzo può portare ad evitare di esporsi a situazioni analoghe, che potrebbero sortire lo stesso effetto, se invece l’imbarazzo viene ignorato, il disagio provato nelle situazioni sociali può ridursi fino addirittura a scomparire.

Superare il senso di vergogna, quando esso si è consolidato nel nostro quotidiano non è facile, ma non è una missione impossibile.

Innanzitutto dobbiamo trovare il modo di far arrivare al nostro cervello il segnale che quella determinata situazione non è pericolosa (e quindi non necessita di tutti quei segnali corporei che conseguentemente si innescano) bensì innocua. All’inizio sarà uno sforzo cognitivo notevole, ma presto tornerà ad essere un automatismo. Non pensare che servano anni. Il nostro cervello è molto plastico e riesce a rimodularsi velocemente.

Alla fase cognitiva però, deve necessariamente seguire quella comportamentale. Se non ci esponiamo alle situazione possiamo rimanere dei bravi teorici, o molto più facilmente ci sentiremo incapaci di affrontare le situazioni. Sarà quindi necessario iniziare a risperimentare tutte le situazioni sociali evitate, con estrema gradualità, a partire dai luoghi più lontani dall’abituale luogo di residenza (ciò al fine di alleggerire le pressioni e quindi evitare di ottenere l’effetto contrario) e man mano riavvicinarsi al proprio ambiente.

Ovviamente nel senso di vergogna gioca un ruolo fondamentale anche l’autostima, tendenzialmente inversamente proporzionale al senso di vergogna. La sfida sarà dunque quella di rialzare la sensazione di sentirsi efficaci e parallelamente contenere il senso di vergogna entro limiti accettabili.

 

La Carolyn Carlson Company arriva a Ravenna

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Now - foto di Patrick Berger
Now - foto di Patrick Berger
Now – foto di Patrick Berger

 

Con questa nuova creazione, Carolyn Carlson, una delle figure più rappresentative della danza contemporanea, torna a Parigi per inaugurare un periodo di due anni in residenza al Théâtre National de Chaillot. Californiana d’origine e attiva in Francia fin dal 1971, affronta questa nuova tappa del suo percorso creativo e di vita dopo aver diretto per nove anni una “grande maison choréographique” quale il Centro Coreografico Nazionale di Roubaix, per dedicarsi ad una compagnia indipendente con la quale presentare almeno due progetti importanti all’anno.

In questa sua nuova pièce, la accompagnano sette danzatori, interpreti fedeli della sua poetica e della sua gestualità, che ben conoscono la sua concezione della dinamica e il suo universo di riferimento stilistico, una forma d’arte che Carolyn Carlson ama definire “poesia visiva”, dove ogni movimento-percezione è connesso all’universo. Ad affiancarla in questo nuovo corso il compositore René Aubry, da anni suo stretto collaboratore.

15 marzo, ore 15.30 – 16 marzo, ore 20.30 – Ravenna, Teatro Alighieri – info: teatroalighieri.org

Wu Ming a Faenza con gli ultimi due, diversissimi, libri

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Pro-memoria: Wu Ming è un collettivo di quattro scrittori bolognesi, autori, tra le altre cose, dei romanzi Q (firmato come Luther Blisset), 54, Manituana, Altai, e di altri lavori “solisti”. Gli ultimi scritti “a più mani” di Wu Ming sono L’Armata dei Sonnambuli, romanzo storico dedicato al periodo del Terrore e alla Rivoluzione Francese e Cantalamappa, libro di viaggi e fiabe. Entrambe le opere saranno presentate sabato al circolo ARCI Prometeo di Faenza.

Negli stessi spazi, alla sera, sarà possibile assistere allo spettacolo del cantautore californiano Glen Phillips, attivo già dagli anni ’80 con la sua band Toad the Wet Sprocket. Glen da anni alterna la carriera solista all’impegno con la band. Faenza e Roma sono le uniche date italiane del suo tour 2015. Una anteprima del concerto avrà luogo alla Casa del Disco di Faenza alle 18.30.

14 marzo – ore 18.30 incontro con Wu Ming; ore 22 concerto di Glen Phillips – Faenza (RA), circolo ARCI Prometeo, Vicolo Pasolini 6 – info: prometeofaenza.it

La Turnàta con Mario Perrotta al Teatro Calcara

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Mario Perrotta, La turnàta - foto di Gabriele Ruggeri
Mario Perrotta, La turnàta – foto di Gabriele Ruggeri

 

Dopo il consenso ottenuto con la prima parte del progetto, dedicato ai minatori del Belgio, va in scena il secondo capitolo incentrato sull’emigrazione in Svizzera, fenomeno che giunse al suo massimo incremento durante gli anni ’60: la legislazione, tuttora vigente, in materia di emigrazione e l’ostilità diffusa della popolazione locale ne hanno fatto un altro capitolo efferato della nostra storia recente.

Suggerisce l’importante critico teatrale Massimo Marino: «Perrotta è bravissimo a catturare lo spettatore, a creare piccoli mondi da dettagli, ad aprire pensieri brucianti, a contestualizzare la materia sentimentale con dati, a insinuare collegamenti con altre clandestinità contemporanee. Non predica mai; ci porta per mano nella pena della vita con i balsami dell’infanzia e del racconto».

13 marzo, ore 21 – Valsamoggia (BO),  Teatro Calcara, Via Garibaldi 56 (loc. Calcara di Crespellano) – info: 348 8738818, teatrodelletemperie.com

La rabbia di Delbono per Pasolini

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La rabbia - foto di Pietro Scarcello
La rabbia - foto di Pietro Scarcello
La rabbia – foto di Pietro Scarcello

 

Pippo Delbono è un grande conoscitore dell’opera di Pier Paolo Pasolini. Da alcuni dei suoi scritti più coraggiosi ha tratto la recente antologia Urlare la verità (Edizioni Clichy), ma è anche autore, regista e interprete di uno storico omaggio, La rabbia. Uno spettacolo dedicato a Pier Paolo Pasolini. Portato in scena per la prima volta nel 1995 e accolto con entusiasmo dalla critica italiana ed europea, La rabbia è uno dei lavori-simbolo di Delbono, che in questo riallestimento è affiancato dai volti più noti della sua compagnia: Pepe Robledo, Bobò, Piero Corso, Ilaria Distante, Simone Goggiano, Mario Intruglio. Insieme a loro la presenza inedita di Vladimir Luxuria.

La rabbia - foto di Pietro Scarcello
La rabbia – foto di Pietro Scarcello

 

«Credo che non ci sia modo peggiore di ricordare Pasolini che facendo di lui un santino» ha detto l’attore e regista genovese. Proprio per questo La rabbia non è una commemorazione ma una dedica, un omaggio che nasce da un’intima corrispondenza con l’uomo e l’artista e da quella vitale necessità che da sempre è l’ispirazione prima dei lavori di Delbono e Robledo. Se ne accorse subito Franco Quadri, che sulle colonne di Repubblica scrisse: «Lo spettacolo, che distilla con grazie e leggerezza una protesta esistenziale, procedendo sul filo delle associazioni, rispetta le regole di un cabaret e lo spirito di una ricerca che non si fanno più, ma senza aliti commemorativi a contaminare la bellezza». A suggerire il titolo è un docufilm del 1963 in cui Pasolini analizza con occhio critico i fenomeni sociali del mondo contemporaneo. Ai suoi tempi «ero molto piccolo» scrive Delbono, «erano gli anni Sessanta, il boom economico degli anni Sessanta, quando tutti si compravano le prime lavatrici, i primi televisori, le Fiat». La rabbia nasce da questo ricordo ma va molto più in là, traendo spunto dalla frase con cui inizia Il fiore delle mille e una notte: «La verità non sta in un sogno, ma in molti sogni». Ed ecco mescolarsi a testi come questo i sogni più vari, ma anche le parole di Rimbaud e dei Vangeli, il cinema di Chaplin e la musica pop, in un lavoro che coniuga teatro, danza, poesia e realtà vissuta, portando all’estremo l’idea dell’attore che non interpreta ma si avvicina alla vita e al mondo dell’autore.

 

13 marzo, ore 21.15 – Riccione, Teatro del Mare, via Don Minzoni 1 (angolo viale Maria Ceccarini 163)– info: 320 0168171, riccioneteatro.it, labellastagione.it

Giocare con l’arte, al MAR di Ravenna

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Gioacchino Toma, Le educande al coro, 1878
Gioacchino Toma, Le educande al coro, 1878

 

Senza nessuna pretesa né competenza specifica (ad esser sincero, sono più a mio agio con un taglio di Fontana che con un paesaggio di Vighi, conosco l’arte delle Avanguardie molto meglio di quella del Risorgimento), ho -semplicemente- scelto per ognuna delle opere che mi hanno colpito di più, fra quelle incontrate nelle belle sale del MAR di Ravenna, un aggettivo.

Che ricopio qui sotto.

L’invito: fate altrettanto.

Mandateci le vostre parole a proposte@gagarin-magazine.it.

E vi pubblicheremo.

Giacomo Balla, Paesaggio + Velo di vedova, 1916
Giacomo Balla, Paesaggio + Velo di vedova, 1916

 

Filippo Carcano, Prealpi bergamasche, 1895 – arioso 

Filippo Palizzi, Fanciulla sulla roccia a Sorrento, 1871 – lungimirante 

Filippo Giulianotti, Di sott’acqua, bronzo – esatto

Federico Maragliano, Pianura bresciana, Volo di ricognizione, 1905 – siderale

Walter Crane, Veduta del Pincio, 1871 – elegante

Walter Crane, Campanile di Santa Francesca Romana, 1872 – malinconico

Walter Crane, Veduta con alberi in fiorezen 

Attilio Pratella, Sette piccole vedute di Napoli, 1885 – prezioso

Peter Henry, Eruzione notturna del Vesuvioapocalittico

Giuseppe Vizzotto Alberti, Cardo selvatico, 1895 – anatomico

Ettore Tito, La mia rossa, 1888 – folcloristico

Gioacchino Toma, Le educande al coro, 1878 – perfetto

Angelo Morbelli, Le parche, 1904 – caravaggesco 

Tranquillo Cremona, Povero ma superbo, 1878 – magistrale 

Umberto Orlandini, Senza titolo (scena familiare), 1906 – vivo

Umberto Orlandini, Giornata piovigginosa, 1905 – fantasmatico

Giovanni Carnovali detto Il Piccio, Ritratto di giovane donnacommovente 

Domenico Baccarini, Ritratto di donna seduta, 1906 – concettuale 

Francesco Hayez, Orante, 1869 – austero 

Niccolò Cannicci, Le gramignaie al fiume, 1896 – antico

Carlo Carrà, Acrobata, 1914
Carlo Carrà, Acrobata, 1914

 

Giuseppe Pelizza da Volpedo, La vecchia nella stalla, 1904-05 – incubotico

Luigi Russolo, Dinamismo di un treno in corsa nella notte, 1911 – rumoroso 

Mario Sironi, Composizione futuristaletterale

Giacomo Balla, Paesaggio + Velo di vedova, 1916 – astuto

Fortunato Depero, Depero Astrattista – Guerra, Guerra!, 1915 – (auto)citazionista 

Giorgio de Chirico, Enigma della partenza, 1914 – misterioso

Felice Casorati, Cesare Lionello, 1911 – nostalgico 

Carlo Carrà, Acrobata, 1914 – post-umano

Ora tocca a voi!

 

MICHELE PASCARELLA

 

Fino al 14 giugno, Ravenna, MAR, via di Roma 13 – info: 0544 482477, mar.ra.it

 

«Bruciate il Pascoli ateo»

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Pascoli ateo - lirica alessandro morri

 

«Brusèla, brusèla! La è contra Crest!»: queste le parole della riminese Giovannina Grilli, interpellata da una sospettosa Luisa Vincenzi, zia del Poeta, sulla poesia scritta dal giovane Pascoli in morte dello zio Alessandro Morri. Un giudizio inappellabile, quello della Grilli: tutte le copie dovevano essere bruciate perché contro Cristo. Sembrava che solo a Castelvecchio di Barga fosse custodita la lirica In morte di Alessandro Morri risalente al 1875, rarissimo esemplare scampato al rogo. Ma è invece da Rimini, patria giovanile del Poeta, che emerge un altro rarissimo esemplare di quella poesia tanto discussa, conservata fino ad oggi dai coniugi Tiziana Morri e Luigi Tonini. Ed ora donata dalla famiglia al Comune di San Mauro Pascoli ed esposta nella casa natale del Poeta, il Museo Casa Pascoli, arricchendo così la documentazione sul periodo giovanile, così profondamente legato a San Mauro e alla Romagna.

Una lirica in doppie quartine pubblicata nel dicembre del 1875 presso la tipografia Albertini, scritta nel periodo giovanile di Giovanni Pascoli, trascorso a Rimini, dove dal 1871 frequenta la seconda liceo. Qui Zvanì conobbe Domenico Francolini, qui compii il suo apprendistato politico che lo portò poi a diventare una delle figure influenti dell’Internazionale socialista. In quel periodo riminese Pascoli frequentò «certi giovanotti che portavano spavaldamente la cappellina nera calata di sghimbescio sull’occhio e avevano, tra la ‘gente per bene’, la fama dei ribaldi e dei tagliacantoni perché disertavano le chiese e parlavano ad alta voce di giustizia sociale e di progresso». È in questo contesto che si colloca la lirica allo zio Morri, dove emergono con forza i dubbi del giovane Pascoli sulla fede, già manifestati apertamente al professor Tonini: «Io, signor professore, la penso come Giacomo Leopardi».

Info: Museo Casa Pascoli, 0541 810100, casapascoli.it

L’Habitat Pubblico di Lenz Fondazione

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Habitat pubblico 2015 - Lenz Fondazione - © Francesco Pititto

 

Habitat pubblico 2015 - Lenz Fondazione - © Francesco Pititto
Habitat pubblico 2015 – Lenz Fondazione – © Francesco Pititto

 

 

C’è tempo prima delle stelle.
Dopo la curva dei gelsi
mi siedo e le aspetto.
Pier Luigi Bacchini, Sentiero
 

 

 

Ascolta la conversazione con Maria Federica Maestri cliccando qui.

 

 

MICHELE PASCARELLA

 

Info: lenzfondazione.it

Minimal Blonde Redhead

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EXTRA MUSICA BlondeRedhead2

Ha da poco compiuto vent’anni la nostra bionda-dai-capelli-rossi preferita. Era il 1994 infatti quando, sotto le «ostetriche» mani di Steve Shelley dei Sonic Youth, vedeva la luce il progetto generato dal ménage à trois di Kazu Makino, Amedeo Pace e Simone Pace e battezzato appunto Blonde Redhead in ossequio ad Arto Lindsay e alla no-wave tutta. In questo lasso di tempo a dorso di due epoche, scontando i limiti dell’apolidia, scansando i cambiamenti di costume e rialzandosi da cadute equine, la band italo-nipponica è riuscita a dare alle stampe almeno un paio di pilastri musicali: Melody of Certain Damaged Lemons (2000) e Misery is a Butterfly (2004), sufficienti a far splendere di luce propria il progetto e garantendogli il perenne stato divino persino quando il passo falso viene colto anche dalle orecchie meno critiche (Penny Sparkle, l’album del 2010, quasi ripudiato dalla stessa band). Visto che a vent’anni è obbligatorio festeggiare, la band celebra l’occasione nel modo che conosce meglio: partorendo il nono figlio sonoro e battezzandolo Barragán, come l’architetto messicano visionario che guardava all’Arabia e repelleva il vetro. Uscito il 2 settembre scorso, Barragán elabora il lutto del non troppo esaltante connubio con la 4AD e disconosce i suoni elettronici e nearly-pop dell’album precedente. Lo fa sperimentando atmosfere più minimali, quasi cupe, essenziali, forse definitivamente dream-pop. Insomma Kazu e i gemelli siciliani hanno lavorato per sottrazione (quando un tempo stratificavano anche la Madonna!) nell’evidente affanno di ribaltare il concept fallimentare di Penny Sparkle. Concepito in Piemonte, registrato durante lunghe e desertiche session nel Michigan e poi affidato alle cure del produttore Drew Brown (anche i Radiohead nel suo curriculum), è lampante all’ascolto che Barragán non sia frutto dell’urgenza creativa, che non contenga brani immortali come In Particular, che non prenderà in definitiva il posto di Melody of Certain Damaged Lemons nel cuore dei fan. Stroncato anche dallo spasimante della prima ora Pitchfork, ha però l’enorme merito di riportare in tour la nostra bionda-dai-capelli-rossi preferita. Che vista lì, sul palco, diventa invece ogni anno più bella. (gianmarco pari)

13 marzo, Ravenna, Blonde Redhead, Madonna dell’Albero, via cella 50, ore 21.30, info: bronsonproduzioni.com

 

 

 

Ri-soffia il vintage su Forlì

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vintageSul vintage – che da qualche anno ha contagiato dal cinema alla letteratura, dalla moda al cibo – sembra sia già stato scritto tutto, ma le crescenti richieste di un pubblico sempre più attento e selezionato inducono a pensare che il ritorno al passato sia qualcosa di più di un semplice trend momentaneo.

La dimostrazione è, per il 17° anno, l’attenzione che ruota attorno alla manifestazione forlivese VINTAGE, la moda che vive due volte!, evento legato al settore primo in Italia per numero di visitatori e terzo per anzianità, con una media di 15mila ingressi per edizione.

Largo dunque al periodo compreso tra gli anni ’20 e ’80 tra moda, modernariato, articoli da collezionismo, profumi, capi sartoriali dell’epoca e pezzi di design anche analizzando lo stile di vita, la moda e il costume dell’epoca.

Quattro saranno le superfici dedicate all’interno del quartiere fieristico di via Punta di Ferro a Forlì. L’area regina è quella vintage, dedicata ad abbigliamento e accessori, mentre un’alta zona darà spazio al remake, dove sartorie creative, piccole aziende artigiane e designer espongono le creazioni frutto di rielaborazione di materiali datati o dismessi. Non poteva mancare però, l’area riservata al collezionismo, dove a farla da padrone sono vinili, giocattoli antichi, profumi da collezione e vecchie radio. E infine uno spazio dedicato a modernariato & design.

Non mancherà anche quest’anno un ricco calendario di eventi collaterali: dalla mostra “London Calling Vintage” che racconta a partire dalla seconda metà del Novecento a Londra moda e musica siano andati a braccetto, uno show di burlesque con Scarlett Martini e anche una area con musica dal vivo, djset e lezioni di boogie boogie e rockabilly jive gratuite.

P.S. Se clikkate sul banner qui a fianco potete richiedere la riduzione del biglietto di ingresso.

(alice lombardi)

13-15 marzo, Fiera del Vintage, Forlì, quartiere fieristico, via Punta di Ferro. Info: fieravintage.it

“E’ qui la festa?” Mi sa di no

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jova tv

 

Dunque niente. Molto semplicemente questo post è il riassunto delle mie elucubrazioni mentali dello scorso week end. Tutto comincia quando in autoradio danno la canzone di Jovanotti, “SABATO”. Sabato è una parola molto interessante per noi italiani effettivamente, per vari motivi. Perché la carichiamo di significato nonostante non ce ne sia bisogno ma anche perché nella poesia e nella canzone italiana è sempre stata ricordata come metafora e catalizzatore di emozioni, speranze, significati secondari, e altro. Quindi insomma, sono in macchina che ascolto questa canzone che tra l’altro mi incuriosisce molto, perché ne avevo sentito parlare parecchio, poi insomma Jovanotti non è che in fatto di pubblicità sia di primo pelo quindi è normale che sia così (non mi sto giustificando!).

Il tema mi è chiaro fin da subito “Sabato sabato è sempre sabato. Vorrei tornasse un altro lunedì”. La disoccupazione. Beh sì insomma la disoccupazione è brutta ed è un tema avvilente che sono sicura che a persone molto interessate ai temi sociali come Jovanotti stiano particolarmente a cuore.

Ma soprattutto questi temi stanno a cuore all’italiano medio (passatemi l’espressione) e a ragione. Quindi insomma per lo meno se non populista (termine da me odiato), questo testo risulta per lo meno facilino.

Che poi, se vuoi, c’è modo e modo di parlare della nullafacenza e dei problemi a esso annessi e sicuro c’era chi lo fece meglio di lui (Morrisey, anche se ultimamente, devo dire, si sta esagerando con le hipsterate nei suoi riguardi)

sunday

Ad ogni modo, si dice in giro che Jovanotti sia un grande comunicatore, lo dimostra il fatto che ha creato questo bellissimo sito, la Jova TV, dove si racconta, mettendosi a nudo (altra espressione orrida) davanti alla sua Gopro e parlando di ogni argomento che lo colpisce, con una bella sezione dedicata alle recensioni. Che “figata”, no?

Guardiamone subito una.    Jovanotti – “Ogni cosa è illuminata”

 

Ecco. Così vi siete resi conto. Anche se da questa recensione non si riesce a capire un gran chè del libro, al primo minuto e ventitré accade una magia: lo zavaglio (termine romagnolo che si può tradurre con “sproloquio”) si trasforma in un vero e proprio atto di coraggio quando vengono pronunciate le seguenti parole “Io voglio comunicare la comunicazione”.

(CHEMMINCHIAVUOLDIREEE!!!!!)

So che anche voi a questo punto avete bisogno di un attimo di pausa e lo capisco.

Passata la furia omicida, abbiamo due possibilità. O immaginarcelo come Malcolm X che con fierezza e coraggio da prima linea si fa portavoce di un’intenzione che accomuna una parte della popolazione, oppure ci possiamo ridere sopra.

Prima possibilità.

Un po’ di anni fa il dibattito nel mondo della comunicazione era incentrato sull’importanza reale di significante e significato. “Il mezzo è il messaggio”, “Non è importante il cosa ma il come” ecc.

E fin qui ci poteva anche stare. Se non fosse che poi, giocando sulle potenzialità del mezzo di Internet, che ha consentito di sviluppare le capacità comunicative anche dei lemuri del Madagascar, tante persone si sono convinte di essere grandi comunicatori, urlando a gran voce il nulla.

In sintesi credo che la frase di Jovanotti (che, puntualizziamo, non vuol dire niente) possa essere sottoscritta come il manifesto della congrega dei cattivi comunicatori. Ciò è abbastanza triste e forse pericoloso e forse è il motivo per cui mi era venuto lo sbuzzo (altro termine romagnolo che può stare per “intenzione fantasiosa”, ma anche no) di scrivere questo post.

MA SICCOME NOI NON SIAMO DELLE PERSONE TRISTI, che ammorbano con considerazioni pessimiste su questioni triviali, ci facciamo una bella risata sopra come se tutto ciò non significasse niente, augurandoci ingenuamente che alla fine sia così.

Seconda possibilità.

A me ad esempio Jovanotti che recensisce cose mi ricorda tanto Owen Wilson (“Hansel”) in Zoolander che parla di Sting.

Ora va meglio, vero?

 

 

 

 

L’orto del riciclone

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vasi plastica usatiAbbiamo già affrontato l’argomento plastica, sogno-incubo dell’era moderna anche in campo agricolo. Chiunque  si occupi di giardinaggio ha a che fare con molti oggetti di plastica, in primis vasi e sottovasi. I vasi di terracotta sono effettivamente più costosi, più pesanti e più fragili, ma anche più naturali e pregiati: sono consigliabili per le piante che stanno fuori tutto l’anno, e per quelle che non necessitano di frequenti rinvasi. D’altro canto, spesso buttiamo via dei contenitori che possono essere riutilizzati come vasi, o con altre funzioni, riducendo così non solo la mole di rifiuti che produciamo, ma anche la necessità di comprare nuovi oggetti: vorrei per l’appunto dare alcuni suggerimenti in proposito.

I vasetti di yogurt, i contenitori per le uova e i bicchieri usaegetta sono dei vasini perfetti per le semine protette. Si bucano sul fondo con un punteruolo (eventualmente riscaldato su una fiamma), si riempiono di terriccio, e si mette un seme per vasino. Permettono di risparmiare terriccio e facilitano le operazioni di trapianto.

Con i sacchi del terriccio e le cassette nere da ortofrutta si fanno dei semenzai di piccole dimensioni, leggeri e comodi da trasportare: con i sacchi, aperti con le forbici in modo da avere dei fogli rettangolari, si foderano accuratamente le cassette, anche sui bordi, lasciando il lato nero dei sacchi verso l’interno. Si riempiono con un primo strato di 1 cm di sabbia e un secondo strato di terriccio e terra, spesso almeno 15 cm. poi si procede alla semina. Con un foglio di cellophane trasparente poco più grande della cassetta, legato al bordo, si protegge la semina dal freddo; questa protezione va rimossa quando le giovani piantine arrivano a toccarla.

I sacchi di cellophane servono per incappucciare i singoli vasi a mo’ di mini serra; anche dalle bottiglie di pet da 5, 8 e più litri si ricavano delle mini serre, per le piante seminate in pieno campo: conficcate nel terreno e fissate con qualche bastoncino, proteggono zucche e zucchine neonate dai temibili attacchi delle lumache.

Dalle bottiglie di pet da mezzo litro, riempite d’acqua e legate a un filo, si ottengono contrappesi per abbassare a portata di mano i rami fruttiferi, da quelle da 1,5/2 litri trappole per i parassiti da attaccare agli alberi… o mangiatoie per gli uccellini, che spesso anche di parassiti si nutrono! Invece le carte argentate delle uova di pasqua sono tradizionalmente appese alle chiome dei ciliegi per tenere lontani i volatili dai golosi frutti.

 

 

 

 

 

DAVID BOWIE “HEROES”

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Schermata 2015-03-09 alle 21.19.41Forse il suo nome vi dirà poco, ma di sicuro le sue immagini sono impresse nella memoria di molti di voi. Masayoshi Sukita è stato il fotografo ufficiale di David Bowie per quasi tutta la sua carriera, autore di scatti leggendari come la copertina di un brano altrettanto leggendario qual è “Heroes”. E non si fa torto a nessuno se si afferma che l’archivio di Sukita su Bowie è il importante tra quelli che riguardano l’artista londinese. Un’amicizia e un sodalizio artistico che ha dato vita a scatti intimi e di disarmante bellezza in mostra in questi giorni da ONO arte, la galleria bolognese dedicata al rock e alla musica d’autore degli ultimi cinquant’anni. La relazione tra Bowie e Sukita nasce nel 1972 quando il fotografo arriva a Londra per immortalare Marc Bolan e i T-Rex, e sebbene ignaro su chi fosse David Bowie, decide di andare ad un suo concerto perché irresistibilmente attratto dal cartellone di The Man Who Sold the World che lo promuoveva. Ha così inizio una relazione umana e professionale che dura fino ad oggi. La mostra, che si compone di circa quaranta scatti di Sukita è stata realizzata con il patrocinio del Comune di Bologna, del British Council e dell’Università di Bologna, Scuola di Lingue e Letterature, Traduzione e Interpretazione e si accompagna ad un catalogo edito da Auditorium Edizioni.

LEONARDO REGANO

Fino al 10 maggio

David Bowie “Heros”
Ono Arte Contemporanea
via S. Margherita, 10 Bologna
Info: 051/2624465; beatrice@onoarte.com; www.onoarte.com

Orari: mar-mer 10-13 e 15-19.30, gio-ven 10-13 e 15-21.30, sab 10-21.30, dom (da ottobre a marzo) 16-21

Mater. Percorsi simbolici sulla maternità

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Schermata 2015-03-09 alle 20.54.42Tra archeologia e contemporaneo, la mostra “Mater. Percorsi simbolici sulla maternità”, inaugurata al Palazzo del Governatore di Parma, ripercorre il ruolo della maternità nella cultura mediterranea, enfatizzandone l’aspetto sacrale e archetipico. Il racconto, suddiviso in quattro sezioni, analizza la figura femminile durante tutta la storia dell’umanità, partendo dalle Grandi Dee Madri scolpite in pietra durante il neolitico e ripercorrendo le tappe salienti della storia dell’arte occidentale, passando per le veneri romane e le madonne del Rinascimento, fino alle rivisitazioni contemporanee delle avanguardie, proponendo opere, tra gli altri, di Rosso Fiorentino, Pinturicchio, Veronese, Moretto, Hayez, Felice Casorati, Giacometti, Escher,  Michelangelo Pistoletto, Mat Collishaw e Bill Viola.  La mostra-evento promossa dal comune di Parma ha ottenuto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e si fregia dei Patrocini del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, della Regione Emilia Romagna e della Diocesi di Parma.

 

LEONARDO REGANO

 

Fino al 28 Giugno

Mater. Percorsi simbolici sulla maternità

Parma, Palazzo del Governatore, p.zza Giuseppe Garibaldi, 2

Orari: lunedì: 14:30-20:00 martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, domenica: 9:30-20:00; sabato: 9:30-23:00

Info: www.mostramaterparma.it; info@mostramaterparma.it

Dan Stuart, the revenge

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dan stuart
Ironico, nevrotico, autodistruttivo, scomodo per principio e polemista per hobby, Dan Stuart scrive canzoni e nel farlo dimostra di essere un uomo sensibilissimo e dotato di un talento superiore. Leader dei Green on Red, la band che negli ’80 a Los Angeles, insieme ai Dream Syndicate, i Bangles, i Long Ryders ha inventato un genere: l’Americana, definizione che lo stesso Stuart detesta e rifiuta.

Si definisce, piuttosto, un punk rocker. “Appartengo al punk-rock, la nostra cifra era la libertà di espressione” ci ha detto in una video intervista l’anno scorso.

Così, volente o nolente, è diventato il punto di riferimento e l’ispiratore di parte della musica americana, quella dei Wilco, di Ryan Adams e di tanti altri che negli Stati Uniti hanno riscoperto il folk mescolandolo a qualche altro genere.

Dopo l’avventura con i Green on Red Dan Stuart è stato lontano dalla musica per più di dieci anni, ma poi è tornato, in veste solista, grazie al fallimento del suo matrimonio e all’incontro con Antonio Gramentieri.

Così è nato, nel 2012, The Deliverance of Marlowe Billings prodotto da Antonio Gramentieri (Sacri Cuori) e Jack Waterson (Green on Red) e uscito per Cadiz Records / Interbang Records che racconta, come in un romanzo, la fine del suo amore e la discesa agli inferi della malattia mentale fino alla redenzione con il trasferimento a Oaxaca in Messico. Marlowe Billings è il suo pseudonimo. Con lo stesso titolo ha pubblicato anche un romanzo sempre con Cadiz: una falsa autobiografia che dimostra, come ha detto lui stesso più volte, che in realtà la sua ambizione è sempre stata quella di diventare uno scrittore e non un musicista.

Alla fine del 2013 Cadiz Records ha poi ristampato con il nome “Arizona: 1993-95″ il primo album solista “Can O’ Worms” del ’95 e l’album il collaborazione con Al Perry “Retronuevo” del ’93 e tra qualche mese uscirà il nuovo lavoro dal titolo Marlowe Billing’s revenge.

Dan Stuart è in tour in Italia accompagnato dalla solida chitarra di Antonio Gramentieri in un concerto intimo e potente. Le ultime due date sono in Romagna. Il 9 dicembre a Cesena alla Vigna Porta Santi e il 10 dicembre all’Irish Pub di Campiano nella campagna ravennate.

Da non perdere.

 

9 marzo, Cesena (FC), La Vigna di Porta Santi, Sobborgo Valzania 59, ore 22, info: lavignadiportasanti@gmail.com

10 marzo, San Pietro in Campiano (RA), Primary Irish Pub, ore 21,30, via del Sale 51, info: 0544 562040

 

Nina’s Drag Queens a Ravenna per un 8 marzo ai confini dei generi

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dragqueensLeggerezza e ironia. Panda Project, una delle compagnie di teatro più fresche e intelligenti, cresciute in Romagna negli ultimi anni, celebrano al Valtorto di Ravenna la festa delle donne con Women in love!, lo spettacolo delle Nina’s Drag Queens che gioca con i i ruoli femminili al di fuori di ogni confine di genere. Uno show divertente che sa unire teatro, cabaret e performance in un viaggio nell’universo femminile, tra numeri musicali – rigorosamente in playback – e divagazioni scanzonate, tacchi vertiginosi, colpi di scena e colpi di sole, battiti del cuore e battiti di ciglia.

Da non perdere.

 

Ravenna, Women in love, Centro culturale Valtorto, via Faentina 216, ore 21, info: 347 0743593

La donna nella poesia, la donna nella ceramica

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Pablo Picasso, Grande vaso in terracotta con figure femminili

 

Pablo Picasso, Grande vaso in terracotta con figure femminili
Pablo Picasso, Grande vaso in terracotta con figure femminili

Poesia e ceramica. Il MIC di Faenza celebra l’8 marzo raccontando la donna sia come rappresentazione nella ceramica d’arte, sia come immagine utilizzata nella poesia. Così la visita guidata, tenuta dalla studiosa Elena Dal Prato, sarà intercalata dalla lettura di poesie interpretate dagli attori della Compagnia delle Feste.

Una visita che spazia dalla Guanyin cinese del XVIII secolo (si tratta di una divinità buddhista che accoglie sempre le richieste dei fedeli, particolarmente quelle riguardanti il desiderio di prole) alla tenera figura femminile islamica con ramo di fiori (Turchia, sec. XVIII), dagli eleganti ritratti riportati su crateri ed oinochoe (brocche a bocca trilobata) della Grecia Classica alla visione trasgressiva di Mattia Moreni, dalla bellissima scena di parto collettivo di cultura Colime (Precolombiana, I sec. A. C.) al grande vaso di Pablo Picasso nel quale, accanto a tre immagini di donne bianche, si trova anche la rappresentazione di una nera (l’opera fu realizzata dal grande artista come rimando all’inizio del suo periodo cubista quando, con il suo celeberrimo Le Demoiselles de Avignon, dimostrò il suo interesse per i temi etnici africani), dalla sirena riportata su alcuni vasi di manifatture europee alla Faenzerella, opera con la quale l’artista Guido Gambone vinse ex aequo l’VIII Concorso Nazionale della Ceramica di Faenza, nel 1949.

Ad ognuno di questi capolavori, sapientemente descritti da Elena Dal Prato, sarà associata una poesia letta dagli attori della Compagnia delle Feste; anche in questo caso si spazierà nella letteratura di tutti i tempi, dal cinese Li Po (Dinastia Tang, VIII sec. D. C.), alla greca Saffo (VII – VI sec. A. C.) per giungere a tempi più recenti con Alfonso Gatto, Evgenij Evtusenko, Charles Bukowski, Agostinho Neto (il quale, oltre che poeta, fu il primo Presidente dell’Angola ed eroe nazionale di quel Paese), Pablo Neruda, William Butler Yeats, Lorena Del Fazio.

Il percorso del pubblico sarà preceduto dalle note del sax del giovane musicista Giacomo Casadio che eseguirà alcuni brani da lui appositamente scelti in abbinamento alle opere descritte ed alle poesie che verranno lette.

In conclusione si potrà festeggiare insieme gustando una fetta di torta mimosa offerta dalla ditta di ristorazione Gemos.

Inizio visita: ore 18,00. Per informazioni e prenotazioni: 0546 697311