Opera Morta. “Si tout est sculpture pourquoi faire de la sculpture?”

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Scultura, opera morta? Quali possibilità di sopravvivenza questa forma d’espressione nella nostra contemporaneità, segnata dalle categorie liquide del postmoderno e dalla dematerializzazione dei nuovi media? Nel suo saggio, Sculpture in the Expanded Field, la storica dell’arte americana, Rosalinde Krauss, avanza l’idea di una scultura come categoria  “espansa”, aperta ad infinite contaminazioni, rendendo quindi legittima la domanda che si poneva Ben Vautier: “se tutto è scultura, che senso ha fare scultura oggi?”  Di qui parte la mostra inaugurata lo scorso sabato alla Otto Gallery di Bologna, che per l’occasione riunisci quattro autori di diverse generazioni uniti nell’indagine sullo statuto della scultura contemporanea in Italia.  La pratica di Giovanni Termini (Assoro, 1972) è fortemente radicata nel linguaggio plastico, erede di una precisa linea italiana. L’artista esprime una concezione costruttiva del medium che trova la matrice fondamentale nel fare dell’homo faber, riattivando materiali e processi provenienti da mondi diversi, come quello del lavoro.
Con un’attitudine improntata a una leggerezza calviniana, Davide Mancini Zanchi (Urbino, 1986) rivisita alcuni archetipi dell’arte – come l’astrazione – aprendone i confini verso il valore d’uso, in una dialettica fra la tradizione aulica della storia dell’arte e l’iconografia popolare più banale. Il lavoro di Eugenio Tibaldi (Alba, 1977) indaga le nozioni di margine e periferia secondo una molteplicità di prospettive – sociale, economica, politica, geografica. Attraverso una pratica fondata sulla ricerca sul campo, l’autore mette in atto processi partecipativi che trovano la sintesi in una riflessione personale formalizzata in un’opera sempre rispettosa delle ragioni dell’altro. Daniele Puppi (Pordenone, 1970) espande l’immagine in movimento e il suono attraverso un investimento dello spazio, concepito come «potenziale di forze in movimento». Il cinema è una fonte importante nell’immaginario dell’artista, che lo rianima attraverso un dispositivo tecnologico indirizzato al coinvolgimento dello spettatore.

Fino al 15 gennaio 2019

Bologna, Otto Gallery, Via D’Azeglio 55

Info e orari:  tel. 051.6449845; www.otto-gallery.it – info@otto-gallery.it

 

(l.r.)