Ubriacarsi della luce. Intervista a Enzo Vetrano e Stefano Randisi sul nascente spettacolo Caravaggio con Luigi D’Elia

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da sx: Stefano Randisi, Luigi D'Elia, Francesco Niccolini, Enzo Vetrano

 

Caravaggio. Di chiaro e di oscuro è il titolo (provvisorio) dello spettacolo, scritto da Francesco Niccolini e interpretato da Luigi D’Elia, che Enzo Vetrano e Stefano Randisi dirigeranno e che debutterà nell’estate 2023. Caravaggio. Di chiaro e di oscuro è una coproduzione di Compagnia INTI di Luigi D’Elia e di Le Tre Corde-Compagnia Vetrano/Randisi.

Come è avvenuto l’incontro con Francesco Niccolini e Luigi D’Elia e come è nata l’idea di collaborare a questo progetto?

Stefano: L’incontro con Luigi è avvenuto tramite Francesco, con cui abbiamo già collaborato in passato – durante e dopo l’allestimento di Riccardo III ci siamo spesso raccontati del nostro lavoro. A Francesco è piaciuto farci conoscere Luigi, con cui da anni collaborava. I primi due spettacoli scritti da Francesco e interpretati da Luigi che abbiamo visto sono Zanna Bianca e Cammelli a Barbiana. Ci siamo ritrovati con una modalità e una presenza sceniche che abbiamo riconosciuto come simili alla nostra.

Enzo: Per il suo modo di stare in scena userei la parola credibilità. Si dimentica il palcoscenico. Si dimentica che sta fingendo. È una grande dote.

Stefano: Dopo qualche tempo, Francesco e Luigi ci han proposto di curare la regia di questo nascente Caravaggio. Ne siamo stati felici.

 

Caravaggio, Riposo durante la fuga in Egitto, 1597

 

Nelle note di regia dello spettacolo parlate di verità. Quale verità è possibile, secondo voi, in quel luogo della finzione per antonomasia che è il teatro?

Enzo: il nostro maestro Leo de Berardinis ci ha insegnato ad essere, non a fare, il personaggio. Non sto parlando di realismo: anche nel personaggio più grottesco si deve essere veri.

Stefano: Il teatro è il luogo della finizione ma anche il luogo in cui la verità viene portata, dando per scontato che quel che vi avviene è fittizio.

Enzo: Altrimenti non scatterebbe nello spettatore l’emozione che scavalca la finzione: lo spettatore viene lì anche per farsi ingannare.

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Quali libertà vi prenderete rispetto al testo di partenza di Francesco Niccolini?

Stefano: La libertà dipenderà direttamente dalla nostra necessità di verità. Se dovesse capitare che una battuta sviasse dalla possibilità di identificarsi dello spettatore troveremo il modo di rivederla, o eventualmente di eliminarla.

Enzo: Abbiamo già lavorato con Francesco, ha grandissima sensibilità nel cogliere le esigenze dello spettacolo, non è geloso delle sue parole.

 

Caravaggio, Madonna di Loreto, 1604-1606

 

Uno spettacolo su Caravaggio: quale rapporto avete con le arti visive, e in particolare con questo artista, nella vostra pratica scenica?

Enzo: Da sempre siamo attentissimi alla luce, a come viene illuminato lo spettacolo. Abbiamo più volte collaborato con lo straordinario disegnatore luci Max Mugnai, che lavorerà anche in questa produzione.

Stefano: La luce crea drammaturgia visiva: è una eredità che ci ha lasciato Maurizio Viani, che ha scritto le luci per molto spettacoli di Leo e poi anche nostri.

Enzo: La luce, in scena, è un altro linguaggio che si aggiunge alle parole. In questo senso il legame con Caravaggio è perfetto.

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È la prima volta che dirigete un monologo teatrale altrui. Quali accortezze occorrono, in un lavoro di coppia su un unico interprete? Nello specifico: come sarà diviso il lavoro tra voi due?

Stefano: Dirigiamo insieme da oltre quarant’anni. Abbiamo lavorato con moltissimi attori. Diamo indicazioni spesso complementari. Schematizzando: io sono più razionale, Enzo più creativo, insieme uniamo comprensibilità e follia. Gli attori che han lavorato con noi di volta in volta reagiscono meglio all’uno o all’altro, in base a ciò calibriamo la nostra azione.

Enzo: Lavoriamo molto sull’emotività dell’interprete. È fondamentale che si emozioni, per poter emozionare gli spettatori. Abbiamo una imprecisata ma al contempo precisa idea di cosa deve essere, o meglio di cosa non deve essere lo spettacolo.

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Cosa non deve essere?

Stefano: Non deve essere finto. Non deve allontanare dal cuore del racconto. O meglio: non deve distanziare dal mondo che crea il racconto.

Enzo: Cerchiamo di tenere il punto del rigore nell’evitare toni falsi.

 

Caravaggio, Giuditta e Oloferne, 1598–1599

 

Nello specifico, in quanto registi ma anche attori come si può rendere l’interprete non “malacopia” del vostro modo di stare in scena?

Enzo: Stimolandolo costantemente. Stefano cerca di farlo con modalità emotive. A volte gli attori hanno bisogno del mio esempio, ma poi non c’è imitazione, perché ciascuno mette sé stesso nel lavoro.

Stefano: La verità è unica, ma al contempo ciascuno ne ha una, non si può copiare quella dell’altro.

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Quanti dettagli servono per raccontare la storia di Michelangelo Merisi da Caravaggio? Detto altrimenti: come non fare dello spettacolo solamente un bignami della sua biografia personale e artistica, ma un’opera che dica qualche cosa in più, o almeno di altro, rispetto alle vicende già note?

Stefano: È fondamentale l’identità di chi racconta, di chi parla. Deve essere quella di qualcuno che vive ciò che sta dicendo, non lo narra come qualcosa di esterno a sé. La bellezza dei colori e delle luci in scena deve essere per lui ricreata ogni volta. Il fatto che Luigi abbia dipinto, in passato, che si sia avvicinato al teatro attraverso la pittura per noi è stato illuminante: ciò diventa un fuoco interno che ti permette di non essere spettatore di una cosa o di una vita altrui, ma interprete, fino a identificarti con quella ricerca di luce e di colore.

Enzo: Luigi si dovrà ubriacare della luce di Caravaggio. Se ciò avviene, agirà in maniera diversa, racconterà come qualcuno che ha assorbito quella umanità, non solo quel racconto.

Stefano: In tal modo farà diventare santo anche un pezzente. Le ali sono dentro agli occhi, non sono sulle spalle. 

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Dopo quasi cinquant’anni di collaborazione artistica cosa vi potrebbe sorprendere, di questo progetto?

Enzo: Per noi è sempre una sorpresa quando affronti una regia. Non c’è mai un progetto prefissato. L’incontro con gli attori è sempre sconvolgente, rispetto alle nostre idee: loro ci guidano.

Stefano: Abbiamo una linea, ma molto libera, che accoglie la sorpresa.

Enzo: Penso alla cecità di Caravaggio nelle ultime fasi della sua vita. Le sue ultime tele sgranate sono per me molto ispiranti. Forse nello spettacolo dovremo partire dal buio, dalla cecità, e poi tornare indietro?