“Batty Bwoy” è un’espressione usata in Giamaica per indicare le persone queer. In questa performance, Harald Beharie, artista norvegese di origine giamaicana, se ne riappropria, distorcendo e trasformando il mito del corpo queer per invocare sensibilità demoniache e affascinanti crudeltà, smascherando possibili vulnerabilità in un gioco tra ingenuità e consapevolezza. Il lavoro trae ispirazione dai miti più diffusi, dai peggiori stereotipi, da sensazioni e fantasie legate ai corpi e alle identità queer, dai testi omofobici di alcune canzoni dance, dai film gialli italiani anni ’70, dalla resilienza della comunità giamaicana Gully Queens – costretta a fronteggiare le conseguenze di un’omofobia dilagante -, da voci dalle comunità queer giamaicane e norvegesi che hanno preso parte al processo di creazione. “Batty Bwoy” attraversa la porosità dei corpi e dei linguaggi, attacca e abbraccia le narrazioni sedimentate attorno alla paura di un corpo queer visto e percepito come una figura perversa, deviante, mostruosa; evoca un essere ambivalente che esiste sul confine di un corpo precario: è potenza liberata, è gioia, folle energia.