“Il Furioso” di Lenz Fondazione, lo specchio vorticoso della malattia chiamata destino

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Lenz Fondazione, Il Furioso - © Francesco Pititto

 

Il tempo è un luogo d’ombra, lo spavento del desiderio. Ci sta addosso con abilità da funambolo e lascia solchi di storie, volti e cuori, soprattutto, come vini fermentati in una botte inquieta. L’Orlando de Il Furioso di Lenz Fondazione è uomo innamorato in perpetua corsa contro quel tempo con frenesia fantasmagorica, eccessiva e paradossale. Attorno a lui, si stringe il sortilegio invincibile di multiformi voci e diversificati corpi, bacchetta magica che sposta l’avventura mai sazia dai metri reali in confini mitici e lontani, mari, isole, nuvole. Un’esplosione spaziale dei versi di Ludovico Ariosto in un intreccio di contesti narrativi, rocambolesche emozioni e bestialità cieche e improvvise.

Dopo i capitoli #1 La Fuga e #2 L’Isola, installati l’estate passata nel sorprendente Museo Guatelli di Ozzano Taro, frazione di Collecchio nel parmense, Lenz Fondazione ne ha presentati due nuovi, #3 L’Uomo e #4 Il Palazzo, insieme a una mise-en-site dei precedenti, nel novembre scorso nel Padiglione Rasori, Ospedale Maggiore di Parma, per la 20° edizione del Festival internazionale Natura Dèi Teatri. Gli ultimi quattro per un totale di otto episodi performativi e visuali sono previsti per la prossima stagione (il progetto sull’Orlando Furioso è biennale). La creazione è di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto. In scena la loro compagnia di attori ‘sensibili’, cioè con disabilità psichica o intellettiva, ma sarebbe meglio chiamarli semplicemente attori, come hanno proposto Tommaso Chimenti e Giulio Sonno, a sottolineare ciò che sono diventati attraverso il teatro e diventano, ogni sera, davanti al pubblico: itineranti quadri poetici della mente senza le stimmate del passato, colpa non voluta, vita scampata con l’esercizio dell’immaginazione.

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Lenz Fondazione, Il Furioso - © Francesco Pititto
Lenz Fondazione, Il Furioso – © Francesco Pititto

 

#1 La Fuga

Angelica fugge, scappa il più veloce possibile, tutto è sfumato, chiaro sul grande schermo che abbiamo di fronte. Una corsa di luce e pelle che l’occhio non mette a fuoco esattamente. Carlotta Spaggiari (Ermengarda nell’Adelchi manzoniana) pare allora un’allucinazione di zoom avanti e indietro. Intorno sale e scende il verde dei campi lungo il Museo Guatelli, mentre noi siamo seduti su sedie d’ospedale. Lo scompiglio nell’accampamento di Carlo Magno dove Angelica è tenuta in custodia è rappresentato dai 60.000 oggetti del “museo del quotidiano” conservati dal collezionista-maestro-contadino Ettore Guatelli, un altrove che ha la sua eco nel disfacimento del Padiglione Rasori, che le cronache parmigiane raccontano come un vecchio sanatorio che non risponde più ai moderni requisiti ospedalieri. Dopo gli ultimi tre anni di traslochi nelle nuove ali, al Rasori sono rimasti il Day hospital e gli ambulatori pneumologici. I polmoni sono l’emblema dell’incompletezza che avvolge il respiro e anche il fiato della corsa, come vano è il tentativo di Orlando di appagare l’estenuante ricerca della sua soddisfazione amorosa.

I cavalieri sono pugili con le Adidas, l’accappatoio sgargiante, il casco e le piume di struzzo a far da criniera, perché sono un tutt’uno con il loro cavallo, con la velocità. Inseguitori del vento di Angelica, incantesimi che si schiudono sul viso di Orlando. Siamo nel prologo della furia che esplode nell’invincibile cavaliere prima puro e perfetto. Sulla sua bocca si disegna il bacio amaro della follia: vede tutti i compagni morti e lui stesso cadavere.

Insegue l’uomo la donna, ma anche la donna l’uomo. Ecco Bradamante, interpretata da Barbara Voghera (Amleto in Hamlet Solo e Fool in Verdi Re Lear), e Ruggero. I due si incontrano e si stringono solo nel video, girato in un altro tempo, forse del ricordo o della speranza, mentre qui, adesso, le loro mani sono separate dallo schermo, come da una prigione, velo di ciò che non si può cambiare.

Poi, compaiono e scompaiono Angelica e il suo doppio, l’una le ore l’altra i minuti che corrono lontano dal video degli oggetti ‘banali’ del Guatelli, immagini di qualcosa che potrebbe non esserci più. Scappano e scappano, dunque, dalla loro testimonianza, fosse anche soltanto dalla possibilità della loro esistenza.

#2 L’Isola

Ruggero vola su un’isola incantata con l’Ippogrifo, un cavallo alato, ovvero due tagli di luce nel corridoio su cui davano i letti dei degenti. Laggiù in fondo parla con un mirto secco che in realtà è Astolfo, trasformato da Alcina, fata maligna, simile alla Maga Circe, che muta in piante e bestie gli uomini che si innamorano di lei. Lo schermo alle loro spalle chiude lo sguardo ancora sulla moltiplicazione degli utensili raccolti voracemente da Ettore Guatelli, le innumerevoli righe che si ripetono nelle rime di Ariosto.

Entrano ed entriamo nella stanza di Alcina, interpretata da Delfina Rivieri (l’Ofelia di Hamlet e la Monaca di Monza de I Promessi Sposi). Sembra la tenutaria di un bordello del sud-est asiatico, il kimono rosso sgargiante, il trono e i tappeti pregiati, sulla sinistra un tavolino su cui mangiano due uomini con la testa di animale, a destra un letto di gommapiuma. Sulle tre pareti altrettanti schermi rimandano gli interni del Museo di Ozzano Taro: decontestualizzati, quegli arnesi da lavoro comune trasmettono un’inquietudine sconsolata e sconsolante senza il conforto dell’umanità del luogo per cui sono conservati. Una finzione manifesta e misteriosa, un incanto dei sensi come le sembianze di giovane bella e fascinosa che nascondono il vero corpo della maga, brutta e sdentata. Su questa isola la verità del tempo è lo sguardo muto e ossessivo delle centinaia di orologi ripresi nella camera privata di Guatelli: le lancette sono ferme, il tempo passa anche se noi non lo vediamo.

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Lenz Fondazione, Il Furioso - © Francesco Pititto
Lenz Fondazione, Il Furioso – © Francesco Pititto

 

#3 L’Uomo

Nella stanza attigua i cavalieri de-cantano con i pugni chiusi in aria i pregi e i difetti degli uomini che amano le donne. Hanno busti artificiali con seni in silicone, la femmina del resto è essenziale per il godimento, la passione. Bisogna uccidere chi tradisce? La sofferenza è una forma d’amore? È la donna che decide con chi stare, ma che succede se non sa quello che vuole? La ragione passa dalla parte del torto, e viceversa, in una schermaglia dei sessi (dopo i cavalieri la parola passa alle damigelle) che segue Doralice nel bosco mentre sta andando da Rodomonte per sposarsi. Qui Mandricardo, che sa della sua bellezza, ma non l’ha mai vista, uccide le guardie per poterla ammirare da vicino, se ne innamora e la rapisce. Soltanto dopo la convince che lui è l’uomo giusto, non Rodomonte.

Un episodio, questo, che frena un poco lo slancio dei primi due, forse per via di una verbosità insistita e di una scarsa carica inventiva: la magia non riesce, l’incantesimo pare svanito, vogliono farci credere vero qualcosa che chiaramente non lo è.

#4 Il Palazzo

Usciamo dall’aula del processo alle intenzioni d’amore e seguiamo Bradamante in corridoio. Un fiocco di luce ci indica la via. Dietro l’ultima porta del nostro peregrinare nell’eroismo e nella pazzia si spalanca una fantascienza da trovarobato, un gioco di carnevale raggelante. Neon blu, bare d’acciaio e tutti i personaggi incontrati fino a qui ricoperti come di batuffoli di cotone. Fuori dalle finestre la notte è immobile, non un soffio di vento. Ci troviamo in cielo, tra le nuvole, nel palazzo di Atlante, labirinto di cavalieri intrappolati dall’inseguimento di immagini fatue e inafferrabili. Più hanno camminato e meno si sono avvicinati. Ruggero si muove tra le tombe di questo mondo post atomico in cui il sonno è il lascito più dolce del freddo. È tutto ghiaccio, gelo, mistero.

Orlando fugge dal palazzo e Ruggero prende il suo posto nel giaciglio di mezza morte. Con lui torniamo al punto di partenza, all’ingresso del corridoio, davanti al grande schermo. Il bianco che ci accecava si colora di blu instabile: è il negativo, la radiografia acida della facciata del Padiglione Rasori. Il palazzo di Atlante, più in generale il sistema nervoso de Il Furioso è rappresentato dallo stesso Ospedale Maggiore di Parma. Gli attori di Lenz Fondazione hanno sovvertito il luogo di cura nella cura del luogo, trasformando la malattia in ribellione poetica. Rappresentare il mondo per imparare a starci con le proprie gambe e farsi una ragione che Angelica non ricambierà mai l’amore di Orlando. Ragione cercata ogni sera e ogni sera diversa: il teatro è il continuo tentativo di abbracciare l’infinità mutevole dell’uomo, ma inspiegabile resta il destino più di ogni cosa.

MATTEO BRIGHENTI.

Visto sabato 28 novembre 2015 – info: https://lenzfondazione.it/?lang=it/

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