Lambchop, noi oltre il silenzio

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Lambchop

 

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Lambchop, o dell’impossibile leggerezza di un peso massimo.

Kurt Wagner in prima fila, con un nome forte di consonanti a spigoli e immaginari sonori muscolari, ma poi maestro di piccoli miracolosi sottovoce, di sussurri educati che incorporano e restituiscono trasfigurato il senso di sessant’anni di canzone d’autore americana. Intorno a Kurt un collettivo-famiglia mobile, diversamente modulabile, sempre elegante, d’un’eleganza aristocratica senza boria, sempre con un piede nella tradizione e l’altro nell’avventura.

C’è qualcosa di segreto e meraviglioso nei Lambchop, qualcosa che si trova solo nella grande musica americana. Le radici, certo. Ma anche quel distacco intellettuale dalle radici che ti consente di non rimanere invischiato nella maniera, e di trattarle, filtrarle, rileggerle, superarle, innestarne una sull’altra. Con un senso della misura che talvolta pare quasi austero, un’orchestrazione classica revisited, tutta sottrazioni e strati minimi, in educato ma costante corteggiamento del silenzio.

È musica che dalla natìa Nashville mutua il senso della melodia ma non l’ammiccamento, che delle grandi orchestrazioni eredita l’eleganza ma non l’alterigia, che del rock raccoglie un qualche nervo scoperto ma non il gesto ad effetto. Che si confronta anche con l’elettronica, con la musica da camera, con il soul, il crooning più raffinato. Un’impalcatura formale esemplare sotto cui vibra sempre lo spleen di Wagner, sotto forma di una voce grezza, imperfetta, emotiva, personalissima. Ideale contrappeso a un suono del gruppo che negli anni si è fatto sempre più elegante e – a suo modo – sinfonico. Poi, sopra a tutto, aleggia un senso quasi metafisico del fare musica, un essere sempre dentro e fuori alla canzone, allo stesso tempo, come ad officiare un rito più alto di chi lo celebra, a ribadire di essere solo mezzo, tramite della musica, e non il soggetto.

Ognuno ha la Grande Bellezza che si merita. Quella di chi scrive è targata Ferrara, qualche anno fa. Piazza piena d’estate Sotto le Stelle, giorno senza fretta di tramontare, aria tiepida e mossa dopo un pomeriggio troppo caldo. Lambchop sul palco. Sono forse in dieci. Cominciano, e subito succede qualcosa, qualcosa che svuota d’aria il respiro della piazza, e lo fa proprio. La prima nota è una fessura nel silenzio, o poco più, una brezza di movimenti minimi e corde appena sfiorate, un suonare insieme che è un soffio, un’increspatura nella sera che scende. Kurt canta della dolcezza e della malinconia, di storie piccole e grandissime. Della luce e delle tenebre dietro la luce. Dello stupore e del vuoto che lascia la sua assenza.

La piazza è sospesa a mezz’aria in una bolla di levità assoluta e assoluta meraviglia. Concerto da mettersi in ginocchio e rendere grazia al proprio personale dio della Bellezza. Chè rendere grazia è, in fondo, ciò che chiediamo alla grande musica. Tornano in regione, i Lambchop, e arrivano a Strade Blu, al Teatro Masini. Buona notizia.

 

PS – Mr. T, l’ultimo disco dei Lambchop, è il mio album dell’anno 2012. E Gone Tomorrow è la ballata che tutti vorrebbero scrivere, almeno una volta nella vita.

 

ANTONIO GRAMENTIERI

 

 

21 giugno,

Strade Blu

LAMBCHOP

Faenza, teatro Masini, piazza Nenni 3, ore 21.30

Info: 320 0374633, stradeblu.org