Il posto migliore dove mettere le storie

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Luigi D'Elia - Aspettando il vento
Luigi D'Elia - Aspettando il vento
Luigi D’Elia – Aspettando il vento

«Quando ero piccolo, mio padre aveva uno strano modo di svegliarmi. Entrava nella mia stanza in silenzio, si sedeva sul bordo del letto, e cominciava, piano, a raccontare. […] Me le raccontava a modo suo, quelle storielle, divertendosi, mettendoci dentro un po’ di manuali di storia e un po’ di Totò: e io mi svegliavo, al suono della sua voce, assaporando quelle storie come una colazione al miele, appoggiandomi con i gomiti sul letto, ridendo, osservando il babbo narratore gesticolare nella penombra»: questo “meta-racconto” (propriamente rivoluzionario, nel senso che riguarda storie raccontate “per svegliare” e non “per addormentare”) è di Marco Martinelli, regista e drammaturgo del Teatro delle Albe di Ravenna. È stato scritto venti anni fa, in occasione di Griot Fulêr, spettacolo nel quale si incontravano la ricerca di Luigi Dadina sul fulêr, narratore di fiabe itinerante della tradizione romagnola, e quella di Mandiaye N’Diaye sul griot, maestro della Parola nella tradizione orale dell’Africa occidentale. Questo ricordo “afro-romagnolo” pare perfetto, ora, per introdurre il Festival internazionale di narrazione di Arzo, in Svizzera, che di tutto questo si prende gran cura. Racconti di qui e d’altrove, appunto.

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Ma che cos’è la narrazione?

Esiste un teatro di narrazione?

Che cosa accomuna e che cosa distingue i percorsi di chi per mestiere racconta storie?

Spiega Natalia Lepori, componente della Commissione artistica del Festival assieme a Claudio Fenaroli e ad Annamaria Lupi: «La caratteristica del teatro di narrazione, così come viene definito grossolanamente, è la presenza in scena di un attore che racconta. Al suo fianco possiamo magari trovare dei musicisti che lo accompagnano, ma nessuna scenografia o al limite una scenografia molto povera.

L’attore narra una storia, di solito senza interpretare i personaggi. I paesaggi, i profumi, i suoni, vengono evocati attraverso la sua voce e il suo corpo.  La narrazione richiede una partecipazione attiva dello spettatore: a lui l’attore si rivolge direttamente, coinvolgendolo nella storia e chiedendogli di ricostruire con la sua immaginazione tutto ciò che circonda la vicenda.

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Possiamo, anche se un pochino arbitrariamente, distinguere due filoni: da un lato gli spettacoli che affondano la loro ricerca nelle vicende storiche o nell’inchiesta giornalistica per riportare alla memoria storie dimenticate o soffocate e farne patrimonio collettivo. Dall’altro spettacoli che sono frutto di un’ indagine antropologica tesa a recuperare racconti e  fiabe della tradizione.

Le direzioni sono diverse ma gli esiti si avvicinano nell’intento di recuperare una memoria collettiva attorno alla quale ricostruire il concetto e l’energia di una comunità.

È significativo che i “padri fondatori” del  teatro di narrazione in Italia condividano la provenienza dal teatro ragazzi e dal movimento dell’animazione teatrale. Questa radice “educativa” si riflette nella ricerca di un teatro che rifugge il puro intrattenimento per farsi strumento di riflessione e azione, e prosegue nel lavoro di quei narratori che costruiscono e propongono teatro di narrazione per bambini e ragazzi, un movimento importante e variegato che il festival si impegna a far conoscere.

Da sempre il programma del Festival comprende racconti per bambini, ragazzi e adulti, nella convinzione che l’educazione all’ascolto e l’esercizio dell’immaginazione siano preziosi per tutti.

Claudio Milani
Claudio Milani

Il Festival ospita prevalentemente narratori italofoni. Tuttavia la riscoperta dell’arte del narrare attraversa culture diverse e fin dalle prime edizioni si  sono ospitati ad Arzo artisti provenienti dalla Francia, dal Canada, dalla Spagna, dal Centro America. Numerose sono state anche le presenze africane, che hanno permesso di far conoscere al pubblico artisti che recuperano e rinnovano l’arte del griot, tradizione diffusa nell’Africa occidentale o quella dei conteurs  arabi del Nord Africa. Racconti di qui e d’altrove è il nome del Festival di Arzo, che riconosce nella narrazione un valido strumento per abbattere le frontiere e costruire ponti».

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Arzo è un Festival che, ben lontano dallo stereotipo “Svizzera = montagne di soldi nascosti in qualche caveau”, si regge sul lavoro volontario di cinque persone (più una segretaria a tempo parziale), impegnate tutto l’anno in coordinamento organizzativo e scelte artistiche: ogni spettacolo è visionato con attenzione prima di essere messo in programma, i singoli narratori conosciuti uno per uno, con grande impiego di tempo, energie e risorse individuali. Questa dedizione è la grande forza del Festival di Arzo: la si respira tra le viuzze e le corti del paese ben prima di leggere il libretto quadrato del programma.

Pino Petruzzelli
Pino Petruzzelli

A proposito: la quattordicesima edizione del Festival si apre il 29 agosto con Apocalisse di Lucilla Giagnoni, per poi ospitare, tra gli altri, Giulio Cavalli (con gli spettacoli Duomo d’onore e Nomi, cognomi e infami), Pino Petruzzelli con Io sono il mio lavoro, Antonella Questa con Vecchia sarai tu, la narratrice canadese Renée Robitaille e l’attore siciliano (ma che vive e lavora in Colombia) Salvatore Motta. E ancora: Luigi D’Elia, Claudio Milani e Ombretta Zaglio. E tanto, tanto altro (Corte dei Miracoli, Corte del silenzio, Storie del Monte San Giorgio, progetto I muri parlano, Progetto Ligabue, Giardino sensibile, …), impossibile da riassumere qui.

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Fra i molti artisti che certo meritano piena attenzione sta Bruno Tognolini, che  ad Arzo presenta Rime Vitamine, «incontro sull’uso e sulla manutenzione della poesia nella vita di tutti». Tognolini, sardo di nascita e bolognese d’adozione, è uno dei più importanti scrittori italiani per l’infanzia: dopo una decina di anni di teatro con Vacis, Paolini e Baliani (a proposito di narrazione…) e di lavoro come autore di programmi televisivi (per quattro anni dell’Albero Azzurro e per tredici di Melevisione), ora lavora a tempo pieno come scrittore (una trentina i titoli pubblicati dal 1991 a oggi). Per raccontare il proprio lavoro, Tognolini cita lo stesso testo a cui si ispirava lo spettacolo Storia d’amore e alberi andato in scena ad Arzo nel 2011: «Suonano ormai i vent’anni da che giro l’Italia per incontrare i lettori, bambini e adulti. Avrò parlato di storie e rime, e dell’incanto di scriverle e leggerle, con decine di migliaia di persone. Conquistare i lettori uno per uno è impresa folle e dolce come quella narrata nel libro L’uomo che piantava gli alberi di Jean Giono: un pastore che aveva deciso di rimboschire da solo, piantando albero per albero, anno dopo anno, un’intera valle. Qualcosa di simile accade a me, dal Piemonte alla Sicilia, scuolina per scuolina, libro per libro, lettore per lettore. Bene, posso dire di aver visto crescere negli ultimi due decenni in Italia un bel manto di foresta: una florida rete di incontri coi lettori, coltivata con commoventi e misconosciute abilità e alacrità da bibliotecarie, insegnanti, dirigenti scolastici, funzionari e imprenditori della cultura, e altri e variegati piantatori di alberi».

Bruno Tognolini
Bruno Tognolini

Ci sarà da ridere, al Festival di Arzo, ne siamo certi.

E da commuoversi.

E da ringraziare.

 

MICHELE PASCARELLA

 

29 agosto-1 settembre 2013, XIV edizione del Festival di narrazione, Arzo (Ticino, Svizzera), info