Robert Storr: la domanda (sulla domanda) dell’arte

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Robert Storr con Louise Bourgeois a New York nel 1995

 

Un poderoso volume edito da il Saggiatore racchiude ventisei dialoghi tra uno dei maggiori critici e curatori al mondo e il gotha dell’arte contemporanea: da Louise Bourgeois a Félix González-Torres, da Jeff Koons a Bruce Nauman, da Gerhard Richter a Richard Serra, rivelandone pensieri, desideri e miserie.

«Critico-artista»: l’ibrida nozione suggerita da Diderot, sviluppata da Baudelaire e strutturata da Wilde è del tutto riferibile a Robert Storr, autorevolissimo intellettuale americano a cui si devono le illuminanti conversazioni contenute in Interviste sull’arte.

Critico, appunto, ma anche artista in prima persona e curatore: «uomo di genio» (Diderot, ancora) a cui i più vivaci creatori d’arte del secondo Novecento e dei primi anni Duemila hanno confidato progetti e rivelato retroscena in una sorprendente intimità, ora finalmente condivisibile con il lettore italiano grazie al progetto editoriale de il Saggiatore.

 

 

Quale ne sia la causa (sentirsi affini, in un dialogo “alla pari” fra colleghi artisti? l’intento utilitaristico, essendo Storr in veste di curatore qualcuno che può procacciare commissioni?) ciò che accomuna l’altrimenti proteiforme panorama tracciato da queste conversazioni è forse sintetizzabile nella formula: la domanda (sulla domanda) dell’arte.

«Con il loro tono intimo, questi dialoghi ci ricordano come un’intervista sia un processo di scoperta: essa mette in rilievo le questioni, sollecita ulteriori domande, anziché tentare di risolverle» sintetizza efficacemente nella prefazione la curatrice Francesca Pietropaolo.

Pur nella sacrosanta molteplicità delle forme assunte dal fare dei diversi soggetti intervistati, il frutto del loro lavoro è espressione di una idea e una prassi di arte affatto distante dall’imitazione della (bella) natura che, nei secoli passati, designava «ciò che gli uomini chiamano arte», per dirla con l’incipit del celeberrimo saggio di Gombrich.

Arte come occasione di attivazione etimologicamente estetica dei sensi, di rinnovato e dialettico incontro con le forme del pensiero sul mondo.

Ma non solo.

 

Richard Serra, The Matter of Time, 2005

 

Mediante i racconti di Louise Bourgeois sulla misoginia di André Breton e Marcel Duchamp così come l’analisi formale e simbolica di alcune sue opere scultoree o ambientali, attraverso il «grado quasi medievale di afflizione» presente nelle opere di Joseph Beuys secondo Francesco Clemente e «la teoria nei libri» utile a «mostrarti alcuni modi di costruire la realtà» nelle parole di Félix González-Torres, tramite l’attitudine pienamente inclusiva di Robert Ryman e i sopralluoghi di Richard Serra al Gran Palais («uno dei più bei palazzi di vetro del XIX secolo, strutturato in modo predominante dalla luce»), ciò che emerge con forza non è una più o meno compiuta sintesi unificatrice ma un ben più fecondo relazionismo (non relativismo), in cui una “cosa” (sia essa un’opera, un pensiero, una biografia) importa non tanto per la forma che assume o per la sensazione immediata che produce, quanto per il mobile sistema di relazioni che origina e che la riguardano.

Non sistema chiuso, piuttosto sistematicità: i dialoghi attivati da Robert Storr si approssimano a un sapere accogliente della molteplicità e della complessità perché assumono una prospettiva non valutativa né giudicante, ma in ascolto.

 

Gehrard Richter, Betty, 1988

 

In conclusione di queste brevi note, ci sia permessa una digressione. Fra le molte scoperte che Interviste sull’arte ha portato, vorremmo segnalarne due, di segno opposto: le “eccentriche” e invero piuttosto discutibili dichiarazioni di Jeff Koons (in merito alla «dimensione politica» del suo lavoro, all’orso che «intimidisce sessualmente» il poliziotto in una sua scultura e a Jeff and Ilona (Made in Heaven) che sarebbe «l’equivalente» di una ruota di bicicletta di Duchamp) si contrappongono al rigoroso ragionare di Gerhard Richter sul proprio operato e sul mondo dell’arte (ad esempio nel dirsi sospettoso rispetto al virtuosismo esibito così come alla goffaggine usata come bandiera di presunta «sincerità»), sulla connotazione «quasi morale» che accosta bellezza e bontà nella percezione dei più e su uno degli stilemi che lo hanno reso riconoscibile, la sfocatura, da lui usata come «una specie di macellazione d’emergenza»: «Quando voglio rendere il quadro in qualche modo attraente per l’occhio, lo sfoco». Parola di uno dei più grandi pittori dell’ultimo secolo.

Ci sono atti di umiltà che ingrandiscono un uomo, direbbe Erri De Luca. E anche un artista, aggiungiamo noi.

 

MICHELE PASCARELLA

 

Robert Storr, Interviste sull’arte, Milano, il Saggatore, 2019, pagine 416, € 38