EVERYDAY DESIGN/60: Ti conosco, mascherina…

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Chi l’avrebbe mai immaginato, che l’oggetto più iconico del nostro tempo sarebbe stata la mascherina protettiva?

Fino a pochi mesi fa, non sapevamo affatto cosa fossero le FFP1, le FFP2 o le FFP3, sigle e protezioni che sono entrate a gamba tesa e all’improvviso, nelle vite di tutti noi.

La più diffusa, la cosiddetta mascherina chirurgica, è un dispositivo progettato per essere indossato dal personale medico, in sala operatoria, per evitare che batteri o virus – dispersi in goccioline respiratorie – possano diffondersi nell’ambiente e contagiare i pazienti esposti. È una mascherina monouso, e altruista, perché blocca il passaggio di goccioline di saliva che potrebbero contenere virus e batteri, ma non protegge altrettanto chi le indossa dall’eventualità di un contagio…

La sigla FFP sta per filtering face piece, ovvero maschera filtrante. Nascono come mascherine antipolvere, e ovviamente il numero indica il crescente grado di filtraggio.

Abbiamo già tutti imparato che, per evitare il contagio di agenti patologici dell’influenza, occorre indossare almeno una FFP2.

Naturalmente la maschera deve essere correttamente adattata alla forma del viso: una striscia di metallo flessibile nascosta nel bordo superiore, detta stringinaso, permette l’aderenza attorno al setto nasale. La mascherina può essere flessibile, pieghevole o rigida. Se dotata di valvola, consente di espellere l’umidità dovuta all’espirazione.

Anche se solo recentemente questi dispositivi hanno raggiunto un livello di efficienza ragguardevole, la storia della mascherina è piuttosto lunga.

Già Plinio il Vecchio, quasi 2000 anni fa, cita l’uso di pelli di vescica animale per proteggere i lavoratori dell’antica Roma dalle polveri di ossido di piombo delle miniere, e pare che pure Leonardo si cimentò in una specie di proto-maschera: un panno bagnato che potesse proteggere i marinai da un’arma tossica in polvere, che peraltro aveva inventato lui stesso…

Per molti secoli i miasmi – misteriose esalazioni malsane – furono considerati i principali diffusori delle malattie e, per evitare di respirarli, si usavano panni, garze (anche fazzoletti di seta, per i ricchi), posti davanti a bocca e naso.

Fu la nota peste del ’600 – quella descritta ne I Promessi sposi – a portare alla realizzazione di appositi dispositivi protettivi di tipo sanitario. Un medico francese, Charles de Lorme, disegnò una maschera molto grande, dal lungo naso adunco, che si riempiva di spezie e aromi: lavanda, timo, chiodi di garofano, fiori secchi, pure spugne imbevute di aceto, e paglia. Questa veniva indossata, con cappello e guanti, sopra a una lunga veste nera, e il paziente si visitava a distanza con l’uso di un sottile bastone.

Insomma, se non ti uccideva il virus, ti uccideva la scenografia inquietante…

Nel XVIII secolo l’olandese Anton van Leeuwenhoek osservò per primo alcuni batteri, e la teoria dei miasmi fu gradualmente abbandonata dalla scienza. Alla fine del secolo successivo, i medici iniziano a indossare le prime maschere. Fu il tedesco Carl Georg Friedrich Wilhelm Flügge a dimostrare per primo il fenomeno della di dispersione di batteri o virus tramite le goccioline respiratorie, e basandosi sulle sue ricerche, il francese Paul Berger intuì quanto questo pericolo fosse particolarmente allarmante in sala operatoria. Berger fu quindi il primo a sperimentare l’uso di mascherine durante gli interventi chirurgici, nel 1897.

Giusto per dare un dato quantitativo: nel 2019 il mercato globale delle maschere monouso è stato stimato in 0,79 miliardi di dollari, e nel 2020 sta raggiungendo i 166 miliardi di dollari. Se avete risparmi, adesso sapete in quali titoli investire, ahimè.