Visto da noi: Piccolo corpo

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Piccolo corpo è il titolo suggestivo di un film del 2021 che, dopo il passaggio in concorso alla Settimana della Critica del Festival di Cannes nello stesso anno, dallo scorso febbraio è in distribuzione nelle sale italiane.

Indagare nel profondo la fitta rete di arcaiche relazioni e arcaiche corrispondenze che costituisce la trama tuttora irriducibile, ancorché inattuale, dell’esserci femminile, relazioni e corrispondenze che sembrano sprofondate nel nulla dell’oblio e dell’irrilevanza, ma da cui in realtà non possiamo e dobbiamo prescindere, è il filo che lega assieme e dà trama robusta e coerente a questa narrazione cinematografica rara e purtroppo poco conosciuta al grande pubblico.

Tutto questo però senza alcuno spirito superficialmente documentario ma per indagare con altrettanta profondità l’oggi della condizione femminile, che sembra essere stata sradicata dalle fonti che perpetuamente e irriducibilmente l’hanno alimentata.

 

 

Identità, essenzialità e appunto irriducibilità comuni all’essere umano, ma che hanno ragioni e specificità di genere che non possono non essere ancora una volta ‘rivendicate’ per contrastare la confusione e la sovrapposizione, le quali, ben lontane dal creare libertà, soffocano nella fluidità del sé ogni istanza di sincerità, rendendoci, uomini o donne o anche ‘altro’ che siamo, tutti subordinati all’onda pesante di un potere che vede solo economia e mai umanità.

Una storia femminile, finalmente, che deve rivolgersi al passato per ritrovare il suo presente, perché è in quelle relazioni arcaiche, faticosamente sottratte alla occhiuta oppressione del patriarcato, che sembra ritirarsi timoroso e anche indifferente, che ha la possibilità di svilupparsi, non a favore di qualcuno o per il potere di qualcun altro, ma per far sì che non ci dimentichiamo di quello che ognuno di noi è.

Un ritrovare anche, senza timore o ingiusto pudore, la ‘Natura’, con la enne maiuscola, che sta sempre e nonostante tutto dentro i comportamenti umani facendoli, al di là del genere, diversi ma coerenti l’uno all’altro, diversi ma uguali.

 

 

È un ritrovare qui un pensiero femminile, e anche femminista, spesso disperso in una confusa tempesta rivendicativa in cui ogni cosa sembra legittima, anche quando non lo è, un voler sottrarre la propria unicità a questa notte in cui “tutte le vacche sono nere”.

Friuli inizio ‘900, ma i luoghi geografici e lo stesso tempo storico poco contano in questa narrazione dai ritmi universali che sembra godere di una sorta di extra-territorialità e di extra-temporalità, la figlia della giovane Agata nasce morta e non avendo respirato neanche una volta, per la tradizione cattolica, non può essere battezzata restando condannata al ‘Limbo’ ove le anime sono chiuse per sempre senza la speranza di potere essere ri-viste dopo la vita (tra l’altro solo nel 2007 il catechismo della Chiesa Cattolica ne ha dichiarato la “non esistenza”).

Il dolore mette Agata in contatto con un mondo che le era sconosciuto ma che da tempo immemore viveva accanto a lei e a tutte le donne che avevano vissuto quello che lei stava vivendo. Si avvia così una peripezia che non raccontiamo.

 

 

Ciò che conta è che questo film parla soprattutto di due cose, della creatività che sta nel dono femminile della procreazione, insieme al desiderio di rivedere un giorno quelli a cui si vuol bene e di cui si condivide ogni goccia di sangue, e poi dell’Amore, insieme al dolore che spesso ad esso si accompagna, innesco misterioso e imperscrutabile in grado di attivare la vita nonostante tutto.

Un film delicato e profondo, capace di suscitare quella commozione che, con le lacrime, sviluppa un respiro profondo ed uno sguardo che improvvisamente va oltre la nebbia che ci circonda e di cui non avevamo consapevolezza.

Un film da trattare con la delicatezza che si dedica a chi vive con sincerità.

 

 

Una prova di esordio al lungometraggio della giovanissima Laura Samani, giustamente premiata per questo al David di Donatello di quest’anno, cui l’11 di questo stesso mese si sono aggiunti il “Gobbo d’oro” e il premio “Beppe Ciavatta”, due importanti riconoscimenti del Bobbio Film Festival promosso e diretto da Marco Bellocchio.

Una prova valorizzata, tra l’altro, dalla prestazione attoriale delle due principali protagoniste Celeste Cescutti e Ondina Quadri.

Belli i costumi, mentre l’intensa fotografia scruta luoghi di un fascino antico e sfuggente.

Anche la scelta di utilizzare la lingua friulana (con sottotitoli in italiano), infine, valorizza il sentimento inattuale e dunque universale di cui si nutre il racconto drammaturgico. Torna alla mente in questo il primo Pier Paolo Pasolini delle poesie in friulano, la lingua della madre non a caso, attraverso le quali egli tentava di recuperare alla propria poetica quel irrinunciabile substrato di profonda naturalità che si andava disperdendo nella incauta modernità.

 

 

Scriveva al riguardo Francesco Ferri in un suo saggio su Pasolini: “Mentre il dialetto è di per sé linguaggio poetico, il suo italiano-lingua attende di esservi tramutato”.

Questo doppio legame femminile/madre-natura è leggibile nei bei versi di Luna:

Pluma dal sèil
luna in cal,
trasparinta,
ràmpia,
imortal,
i puàrtitu un murmurà di animis?

[ Piuma di cielo / così velina / arida, / trasporti il murmure d’anime spoglie? ]

 

Piccolo corpo. Anno: 2021. Regia: Laura Samani. Attori: Celeste Cescutti, Ondina Quadri, Marco Geromin, Giacomina Dereani, Anna Pia Bernardis, Angelo Mattiussi, Luca Sera, Teresa Cappellari, Marzia Corinna Mainardis, Marisa Rupil. Paese: Italia, Durata: 93 min. Distribuzione: italiana Nefertiti Film, internazionale Alpha Violet. Sceneggiatura: Marco Borromei, Elisa Dondi, Laura Samani. Fotografia: Mitja Licen. Scenografia: Rachele Meliadò. Montaggio: Chiara Dainese. Musiche: Federica Stahl. Produzione: Nefertiti Film con RAI Cinema, in coproduzione con Tomsa Films e Vertigo

 

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Ho conseguito la Laurea in Estetica al DAMS dell'Università di Bologna, con una tesi sul teatro di Edoardo Sanguineti, dando così concretezza e compimento alla mia passione per il teatro. A partire da quel traguardo ho cominciato ad esercitare la critica teatrale e da molti anni sono redattrice e vice-direttrice di Dramma.it, che insieme ad altri pubblica le mie recensioni. Come studiosa di storia del teatro ho insegnato per vari anni accademici all'Università di Torino, quale professore a contratto. Ho scritto volumi su drammaturghi del 900 e contemporanei, nonché numerosi saggi per riviste universitarie inerenti la storia della drammaturgia e ho partecipato e partecipo a conferenze e convegni. Insieme a Fausto Paravidino sono consulente per la cultura teatrale del Comune di Rocca Grimalda e sono stata chiamata a far parte della giuria del Premio Ipazia alla Nuova Drammaturgia nell'ambito del Festival Internazionale dell'eccellenza al femminile.